La legge spalmadebiti

Berlusconi Dopo quattro anni di plusvalenze selvagge il calcio italiano si è ritrovato praticamente allo sfascio, con molte squadre senza i requisiti necessari all’iscrizione al campionato. Anche società tradizionalmente “ricche” come Inter e Milan sono state costrette a guardare in faccia alla realtà. Una realtà fatta di conti sempre più in rosso e di costi insostenibili:

Infatti, era avvenuto che il "sistema calcio" si era avvitato su stesso: da un lato le plusvalenze hanno consentito alle società che vi hanno fatto ricorso di migliorare sulla carta i bilanci annuali, dall’altro però il maggiore plusvalore di un anno genera automaticamente un peggioramento dei conti dell’anno successivo dal momento che chi vi ricorre è costretto ad iscrivere quote di ammortamento sempre maggiori. Quando le società si sono rese conte di non essere in grado di far fronte a quei bilanci che pure avevano redatto ed approvato, hanno chiesto aiuto alle istituzioni. Sarebbe a questo punto un utile esercizio di stile domandarsi se è stato corretto tale atteggiamento da parte delle istituzioni o se non sarebbe stato il caso di correre ai ripari. (Giannicola Rocca, ildomenicale.it)


Il calcio italiano, nell’autunno del 2002, mostra tutti i segnali dello sfascio. Solamente Juventus, Bologna e qualche società di minor livello possono dichiararsi “in salute”, tutte le altre sono in una situazione prefallimentare. Il sistema rischia di crollare e l’eventualità non è gradita alle banche le quali vantano crediti enormi con quasi tutti i club della massima serie.
I presidenti, spaventati, corrono in Parlamento a chiedere una mano alla politica: non ci sono più soldi. Carraro, che come presidente di Mcc, banca d’affari di Capitalia, ha interesse che tutto funzioni per il meglio, si consulta con Berlusconi, all’epoca capo del governo. Sono giorni di febbrile attesa, fino a quando la coppia se ne esce con una trovata straordinaria: perché non inventare in quattro e quattr’otto una legge che tolga il pallone dalle sue pastoie? Detto, fatto. Il 22 dicembre 2002 il Governo emana il Decreto 282 che la XIV Legislatura Parlamentare tramuta in legge il 27 febbraio 2003. Il dado è tratto: definita e salutata in molti modi, tra cui “spalmadebiti”, “spalmaperdite” e “spalmaammortamenti”, la nuova legge può avere una sola, credibile, denominazione: “Salvacalcio”.
La porcheria è servita e tutti lo sanno. La Legge 27 (altra sua definizione) viola il Codice Civile italiano e la IV Direttiva Cee ma non interessa a nessuno. L’importante era trovare una soluzione momentanea, un escamotage che permettesse di “tirare avanti”, nonostante la certezza delle rimostranze future della Commissione Europea. “Un falso in bilancio legalizzato” la definisce Victor Uckmar, ex presidente della Covisoc.

Ma cosa fa la legge? Permette di ricalcolare il valore del patrimonio calciatori, cioè consente di “svalutarlo”. Supponiamo di possedere una società di calcio con un patrimonio calciatori di 200 milioni di euro. Questa cifra è un costo che l’azienda ha sostenuto e che sosterrà perché lo sta ammortizzando, secondo le leggi, in base alla durata di contratto dei singoli giocatori. Una mannaia impietosa che si aggiunge ai normali costi di gestione e all’elevatissimo monte ingaggi. L’unico metodo per ovviare al problema è ridurre il patrimonio calciatori, in modo da pagare annualmente quote più basse di ammortamento. Un’operazione consentita, anzi obbligatoria, ma che nessuno ha mai fatto. Il Codice Civile afferma che un bene deve essere iscritto a bilancio al minor valore tra quello di acquisto e quello di possibile realizzo (Comma 3 dell’articolo 2426: «l’immobilizzazione che, alla data della chiusura dell’esercizio, risulti durevolmente di valore inferiore a quello determinato secondo i numeri 1 e 2 deve essere iscritta a tale minor valore». Ad esempio: ho comprato Kakà a 10 milioni e, dopo due anni, considerati gli ammortamenti, vale 6. Anche se vendendolo presumo di poter realizzare 40 milioni, a bilancio devo iscrivere comunque 6. Al contrario, un giocatore della Primavera che ho fittiziamente acquistato a 10 milioni, deve essere iscritto a bilancio con il valore di possibile realizzo [cioè il vero valore di mercato], per esempio 1).
Invece nei bilanci delle società di calcio, come si è visto, giocatori di bassissimo valore di realizzo (es.giovani) sono stati iscritti a cifre folli, per reggere il sistema delle plusvalenze. Quindi il patrimonio calciatori reale è molto inferiore a quello dichiarato. Tuttavia, se opero una corretta svalutazione si generano delle perdite: se un patrimonio che vale 200 viene svalutato a 100, la differenza tra i due valori è una perdita secca che entra direttamente nel bilancio d’esercizio e che mi trovo costretto a ripianare in una volta sola. Immaginiamo di possedere una bellissima casa, acquistata per 500 mila euro. Se di fianco viene costruita una fabbrica, è molto probabile che la mia casa perda di valore Da 500 mila è possibile che ora valga solo 150 mila: 350 mila euro di differenza sono letteralmente sfumati.
Questa è la norma che viene però abilmente aggirata nel caso delle società di calcio: grazie alla Legge Salvacalcio le società svalutano il loro patrimonio e la perdita che ne consegue viene “spalmata” in dieci anni, al posto che pesare tutta e una volta sola su un singolo bilancio di esercizio (come indicato dal Codice Civile). Un bel vantaggio. In questo modo chi ha fatto il furbo con le plusvalenze se la cava con un buffetto sulla guancia. Chi invece si è comportato correttamente rimane con un pugno di mosche: basti pensare alle quattro squadre di Roma e Milano che hanno complessivamente operato svalutazioni per ben 900 milioni di euro i quali, se iscritti ad un solo bilancio, avrebbero sancito il fallimento delle stesse.
La Legge 27 non solo è iniqua nei suoi fondamenti ma presenta anche due evidenti incongruenze: la prima è l’irregolare procedimento attraverso il quale la svalutazione del patrimonio giocatori viene iscritta, nell’attivo patrimoniale, alla posta “oneri pluriennali”. Ma cosa sono gli oneri pluriennali? Sono “costi d’impresa che generano utilità per più esercizi. Fra essi, tuttavia, non sono contemplati gli acquisti di beni o diritti (come i diritti allo sfruttamento delle prestazioni dei calciatori). Gli oneri pluriennali sono infatti dei costi con i quali non si acquista alcunché di definito. L’art.2426 del Codice Civile li distingue in costi di impianto e ampliamento, costi di ricerca e sviluppo, costi di pubblicità. La normativa è stretta e ammette solo questi tre casi. Ci si chiede perciò come è stato possibile che una svalutazione (cioè una perdita secca) sia considerata alla stregua di qualcosa in grado di generare utilità per più esercizi. Secondo il Codice Civile tali costi vanno iscritti nella misura in cui ci si attende di recuperarli grazie a maggiori entrate future, il quale non è il caso della svalutazione in esame. E pazienza se il codice prevede che gli oneri pluriennali possano usufruire di un limite massimo di ammortamento di cinque anni. La seconda incongruenza si riferisce a due differenti interpretazioni che della Legge 27 hanno fornito la Lega Calcio e l’Oic, l’Organismo Italiano della Contabilità. Le squadre, ovviamente, hanno scelto quella della Lega, in quanto più vantaggiosa per le loro casse. Leggiamo il resoconto della vicenda pubblicato da Il Manifesto il 12 novembre 2003:


I criteri interpretativi appositamente riferiti alla legge 27 e fissati dall’Oic, l’organismo italiano della contabilità, sono stati disattesi. Secondo l’Oic “la svalutazione è determinata e rilevata nel bilancio dell’esercizio primo luglio 2002-30 giugno 2003, con riferimento alla data del 30 giugno 2003”. In parole semplici, le società avrebbero dovuto calcolare il valore contabile al 30 giugno 2003 e su quello effettuare la svalutazione consentita dalla legge. Invece, esse hanno agito diversamente, svalutando rispetto ai valori al 20 giugno 2002. Non sono quisquilie: secondo quanto ha ammesso ad esempio la Lazio a pagina 8 del suo bilancio, “l’adozione dell’impostazione contabile raccomandata dall’Oic avrebbe comportato una maggior perdita al lordo dell’imposta di 54,4 milioni di euro”.
Un esempio che può chiarire meglio la questione: ipotizziamo che una società avesse iscritto a bilancio un calciatore al 30 giugno 2002 a 20 milioni, con contratto quadriennale. In tal caso l’ammortamento contabile annuo, che rappresenta un costo, sarebbe dovuto essere di 5 milioni. Al 30 giugno 2003 il valore di bilancio sarebbe perciò sceso a 15 milioni. Ipotizziamo anche che l’intervento della perizia ne avesse portato il valore a 7 milioni. Secondo l’Oic la svalutazione sarebbe stata pari a 8 milioni e la legge ne avrebbe consentito la “spalmatura” in dieci anni, con un costo annuo di 800 mila euro. Secondo la Lega la svalutazione sarebbe stata pari a 13, con un costo annuo di 1,3 milioni. Nell’interpretazione Oic, il costo totale sopportato nell’esercizio 2002-03 per quel calciatore sarebbe stato dunque pari a 5,8 milioni. In quella della Lega, invece, avrebbe inciso soltanto per 1,3 milioni. Se ripetuto per tutto il patrimonio giocatori ben si comprende la portata dei risparmi conseguiti.


Un bel pastrocchio, che non ha impedito alle società nostrane di trarne tutti i vantaggi possibili. La prima ad usufruire della Legge è la Lazio, alla quale si accodano tutte le altre squadre in difficoltà. Le cifre sono da capogiro: l’Inter, che prima dell’entrata in vigore della Salvacalcio sosteneva di avere un patrimonio calciatori di 357 milioni di euro, dopo si ritrova con un patrimonio di soli 38 milioni. Magia. Una differenza record di 319,39 milioni che pone la società di Moratti in testa alla speciale classifica degli “svalutatori”. Al secondo posto il Milan, che ha abbattuto il patrimonio per 242 milioni, a seguire la Lazio con 212,91, infine la Roma con 133,6. Poi molte altre società minori che non giungono però a queste stratosferiche somme. Come è noto la Juventus NON si è avvalsa della Legge.
Certo risulta difficile pensare a come il Milan avrebbe potuto vincere lo scudetto 2003/04 senza l’intervento salvifico della nuova legge. Senza di essa avrebbe dovuto ricapitalizzare per 242 milioni. A questo proposito vediamo un interessante tabella:
  • Inter: 305 (giu02) – 38 (giu03, con Salvacalcio) – 357 (giu03, reale)
  • Lazio: 272 (giu02) – 27 (giu03, con Salvacalcio) – 239 (giu03, reale)
  • Milan: 271 (giu02) – 70 (giu03, con Salvacalcio) – 312 (giu03, reale)
  • Roma: 169 (giu02) – 78,4 (giu03, con Salvacalcio) – 212 (giu03, reale)
  • Juventus: 220 (giu02) – 174 (non usufruisce della legge Salvacalcio)


Nella colonna di sinistra vengono mostrati i valori iscritti al bilancio 2002. In quella centrale, quelli a bilancio 2003. Come si può facilmente notare il patrimonio di tutte le squadre, ad eccezione di quello della Juventus, è vertiginosamente sceso, con percentuali che variano dal 53% al 90%. La colonna di destra mostra invece i reali valori del parco giocatori prima della svalutazione.
Anche un occhio non avvezzo alla lettura di tali cifre può rendersi immediatamente conto delle differenze sostanziali tra i due valori e dei considerevoli risparmi che le squadre hanno potuto realizzare. I 36 milioni di svalutazione della Juventus sono finiti in un’unica soluzione nel bilancio chiuso al 30 giugno 2003 mentre i 319 dell’Inter, i 242 del Milan, i 212,91 della Lazio e i 136 della Roma sono stati suddivisi in dieci anni. Incredibilmente l’Inter, grazie alla Salvacalcio, riesce a contabilizzare una perdita inferiore a quella della Juventus (31,9 contro 36) e questo nonostante dieci anni di “generosa” gestione morattiana. In poche parole, prima le plusvalenze gonfiano il valore dei calciatori, poi il decreto salvacalcio lo abbatte.


Il decreto “spalmadebiti” rappresenta anche una paradossale tipologia di quel “welfare all’incontrario” di cui è piena la legislazione italiana. Certo, siamo di fronte ad un caso limite, ma non può sfuggire che l’essenza dei benefici concessi alle società di calcio equivale ad un paracadute della collettività allo stipendio dei calciatori. (Calcioinborsa.com)


Un altro esempio può far capire meglio la situazione: a fine 2003 la perdita dichiarata a bilancio dall’A.C. Milan è di 29,5 milioni. Senza il decreto spalma-ammortamenti e senza le plusvalenze fittizie che abbiamo visto sopra, questa sarebbe stata di 112,71 milioni. E, se avesse voluto svalutare tutto in una volta il parco giocatori la perdita sarebbe salita a 217,8. Non è difficile capire come l’intervento del Governo abbia consentito alle squadre di ripresentarsi “pulite” ai nastri di partenza della serie A 2003/04, senza preoccuparsi di difficoltose ricapitalizzazioni e potendo addirittura fare mercato. Mercato che, altrimenti, sarebbe stato in mano alla sola Juventus, con le altre grandi costrette a privarsi dei loro giocatori migliori per ripianare i bilanci.
Come si è detto in precedenza, la fantasiosità dei legislatori italiani non è sfuggita alla Commissione di Controllo della Comunità Europea che, l’11 novembre 2003 ha inviato al nostro paese una richiesta di spiegazioni. Secondo la IV Direttiva Cee i bilanci devono infatti esprimere con evidenza e verità, chiarezza e precisione la situazione economico-patrimoniale delle società. Cosa che non è accaduta dopo l’entrata in vigore della Legge:


La commissione europea ha chiesto di richiedere all’Italia informazioni concernenti due aspetti di una recente legge nazionale relativa al rendiconto dei bilanci da parte di società sportive professionistiche – comprese le squadre di calcio di serie A – in Italia. In primo luogo, la Commissione teme che la legge possa contravvenire alla normativa dell’Unione europea in materia di contabilità e, in secondo luogo, che essa possa comportare la concessione di aiuti di Stato. […] Se a determinate società sportive vengono effettivamente concessi vantaggi finanziari rispetto ad altre in Europa, ciò rappresenta una distorsione della concorrenza sia in termini commerciali che, per estensione, in termini sportivi.


E la motivazione è semplice:


Per effetto di questa legge, alcune società sportive, in particolar modo le società di calcio le cui maggiori uscite sono rappresentate dagli stipendi dei giocatori, possono presentare rendiconti che sottostimano i costi effettivi di un dato esercizio, nascondono perdite reali e forniscono un quadro distorto e fuorviante della situazione agli investitori, i cui finanziamenti sono messi a repentaglio. Un altro effetto collaterale consiste nel fatto che le società sportive in questione possono, almeno nel breve termine, acquistare giocatori a prezzi esorbitanti e pagarne gli elevati stipendi anche quando la loro effettiva situazione finanziaria non glielo consentirebbe, trovandosi quindi in una posizione di vantaggio La quarta (78/660/CEE) e Settima (83/349/CEE) direttiva del Consiglio (direttive contabili) relative ai conti annuali e ai conti consolidati dispongono che i contratti con i giocatori, quando siano considerati immobilizzazioni immateriali, debbano essere ammortizzati durante il periodo della loro utilizzazione, che corrisponderebbe in linea generale alla durata dei contratti stessi. Il contratto non può essere ammortizzato su un periodo più lungo della sua durata. Le direttive contabili dispongono inoltre che il valore contabile assegnato alle immobilizzazioni debba essere diminuito al loro valore effettivo alla data del bilancio qualora si ritenga che la diminuzione del loro valore avrà carattere permanente. La Commissione ha pertanto motivo di credere che la legge italiana contravvenga alle direttive contabili in quanto consente che i contratti con i giocatori, considerati immobilizzazioni immateriali, siano ammortizzati su un periodo più lungo della loro utilizzazione.


Inoltre, la Salvacalcio non è in sintonia con l’articolo 87 del Trattato della Comunità Europea che vieta gli aiuti di Stato alle aziende:


Per quanto concerne l’eventuale violazione dell’articolo 87 del trattato CE, relativo agli aiuti di Stato, il vantaggio concesso potrebbe essere definito un ammortamento accelerato, secondo la definizione utilizzata nella comunicazione della Commissione sulle misure di tassazione diretta delle imprese. Tale misura può comportare la rinuncia da parte dello Stato italiano, nei confronti di determinate società sportive, ad un gettito fiscale ricavato invece da altre società in analoga posizione finanziaria. Si assiste dunque ad una distorsione della concorrenza nonché ad un’incidenza sugli scambi intracomunitari. Alcune attività esercitate dalle società sportive si svolgono evidentemente sui mercati internazionali, si consideri ad esempio l’acquisto di giocatori e la vendita dei diritti di trasmissione per competizione europee quali la Champions League.

Come opportunamente fatto notare da Antonio Maglie (La disfatta, Limina) il problema, visto dall’Italia, è il doping amministrativo, visto da Bruxelles è il doping legislativo. La bocciatura definitiva alla Legge infatti non tarda ad arrivare. Il 14 marzo 2005 il commissario europeo sulla concorrenza, Mario Monti, boccia irrevocabilmente la Legge, deferendo l’Italia per infrazione:

Il decreto spalmadebiti, trovata della politica italiana per salvare nella stagione 2003 quattordici club di serie A e B dal fallimento, viola la direttiva comunitaria sul bilancio di esercizio e sul bilancio consolidato, regole di contabilità generale. L’esecutivo dell’Unione Europea ha deciso: domani il decreto spalmadebiti sarà rinviato alla Corte di Giustizia. I quattordici club […] non potranno più spalmare su dieci anni, e su dieci bilanci, le perdite dovute alla svalutazione del patrimonio calciatori. È una novità di non poco conto. Le svalutazioni del 2003 sono state pari a 1.100 miliardi (di lire, nda), tra A e B. E i quattordici club ora dovranno ricapitalizzare, uno ad uno, per un totale di 550 milioni. […] in contemporanea con il deferimento arriverà una sospensiva di tre mesi: sono novanta i giorni concessi per trovare un compromesso che fermi il viaggio del decreto verso i giudici del Lussemburgo. (Repubblica, 15 marzo 2005)

Una stangata in piena regola che, come vedremo tra poco, non eviterà ai club italiani di ricorrere ad ulteriori escamotage pur di non dover ricapitalizzare.
Un’ultima constatazione va fatta riguardo a due obiezioni tipiche dei sostenitori delle squadre che hanno usufruito dello spalma-ammortamenti: la prima riguarda una presunta “utilità” sociale della Legge che, con il suo intervento, ha salvato il calcio dal crollo. Affidiamo la risposta ad uno stralcio tratto dal sito Calcioinborsa.com:

L’idea che vi sia da tutelare una qualche funzione sociale del calcio professionistico è priva di fondamento, tanto più mentre la finanziaria opera un “taglio” dei fondi provenienti dalle scommesse sul calcio stesso, destinati in misura preponderante, attraverso il Coni, a sostenere gli altri sport olimpici. Si tratta di una decurtazione pari a 52 milioni di euro

La seconda giustificazione è quella più classica e prevedibile: se è stata fatta una legge perché non usarla?
La risposta è semplice: le leggi possono anche essere sbagliate ed esiste un fenomeno, troppo frequente nel nostro paese, che prende il nome di legge ad personam. Va ricordato ancora una volta che la Salvacalcio è stata emanata dal governo Berlusconi (incidentalmente proprietario del Milan, di tre televisioni che trasmettono calcio, dell’agenzia pubblicitaria che si occupa della Nazionale italiana e “capo” di Adriano Galliani, sempre incidentalmente presidente di Lega) e fortemente voluta dal suo amico Franco Carraro, presidente di Federcalcio nonché di Mcc, ovvero la Banca d’affari del gruppo Capitalia, la quale ha “prestato” molti (molti) soldi ad alcune squadre di serie A. Come si poteva rinunciare ad un tale credito?