Fine delle illusioni

ranieriC’è tutta la Juve di Ranieri in una gara come questa, che consegna al grande nemico Mourinho una grande fetta di scudetto, nonostante i ripetuti tentativi operati dal portoghese di complicarsi il cammino elargendo chances ai rivali. C’è tutta la carriera di Ranieri, l’allenatore che (siamo anche noiosi di ripeterlo) graffia ma non morde. Ci sono le scelte sbagliate del mister, c'è una mancanza di grinta e cattiveria al momento in cui si deve far male all’avversario, c’è anche un pizzico di malasorte, che di solito colpisce preferibilmente quelli che mancano di coraggio. L’errore di Ranieri sta nel riproporre Tiago e Poulsen, il centrocampo da lui espressamente voluto, e se il portoghese tra pause e qualche imprecisione iniziale cresce alla distanza dispensando discrete dosi di qualità e ordine, soprattutto quando liberato dell’ingombrante e allo stesso tempo evanescente scandinavo e affiancato al leonino Nedved di oggi, il nordico conferma le impressioni destate nelle precedenti esibizioni. Il danese con gli stivali al posto delle scarpette, pagato oro (a Siviglia stanno ancora festeggiando per il pacco rifilato), viene nominato in telecronaca intorno alla mezz’ora; prima aveva offerto il solito contributo di nulla, un continuo girovagare per il campo alla ricerca di una posizione che sembra un miraggio, un piazzamento addirittura imbarazzante nell’occasione del gol doriano quando Cassano lo ringrazia per la libertà concessa nello smarcare Pazzini. Imperdonabile l’errore dell’uomo deputato a pressare il portatore di palla (tralasciando la collezione di marmi intenti ad osservare il Pazzo freddare Buffon), il ruolo che spetta solitamente a Sissoko e che Poulsen avrebbe dovuto ricoprire nell’occasione. Il cambio ad inizio ripresa con Giovinco (decisivo) profuma di ennesima bocciatura per l’ex giocatore dello Schalke 04, con Ranieri che una volta tanto capisce quanto inutile sia il centrocampista acquistato la scorsa estate. Ma regalare un uomo per tutto un tempo ad un avversario seppur modesto come la Samp (per infortuni e risultati non è esattamente il Barcellona…) è altrettanto imperdonabile, e non è determinante il fatto che Castellazzi e i pali della porta siano decisamente contrari ad un indemoniato Nedved (insieme al ritorno al gol di Amauri, è la notizia confortante della giornata: il ceko sente aria d’Europa e gioca una gara come ai bei tempi) e che per ben tre volte Amauri venga anticipato o frenato dalla retroguardia blucerchiata con molto affanno. Nella ripresa, l’ingresso del pimpante Giovinco al posto dell’inutile Poulsen cambia il ritmo sulla fascia sinistra, mentre sulla fascia opposta Camoranesi e Grygera, per motivi diversi, sono stremati: non ancora pronto l’oriundo, ormai bollito a causa del troppo impiego il ceko. Ma nonostante le occasioni vengano create, la squadra di Ranieri mostra imprecisione nell’atto conclusivo e una mancanza di cattiveria agonistica necessaria per sfondare il fortino di Mazzarri una volta ottenuto il pareggio. Una nota su Buffon, apparso un pochino sonnolento nell’occasione del palo rocambolesco colpito da Cassano e in altre occasioni non propriamente un modello di sicurezza per i compagni. Capitolo Del Piero: il capitano è sfortunato nell’occasione della punizione (colpire due pali con un tiro è un record poco invidiabile e condivisibile con pochi) ed è geniale nel tentativo di intervento di tacco dopo pochi minuti; genio che esprime anche quando serve Nedved nell’occasione del primo palo centrato dal biondo numero 11. Ma in generale, Del Piero mostra eccessivo nervosismo per la marcatura di Gastaldello e si incaponisce in una serie di giocate spesso inutili e fini a se stesse, rallentando l’azione e perdendo banalmente palloni che avrebbero meritato miglior destino. Un atteggiamento tipico del Del Piero in momenti di flessione fisica, che denotano quanto Ale abbia bisogno di riposo. A tal proposito urge recuperare al più presto Trezeguet, l’infortunato numero 40 alla voce “guai muscolari” (un primato che non sappiamo se faccia più ridere o piangere) perché, archiviata oggi la corsa allo scudetto più abbordabile degli ultimi dieci anni, resta da conquistare un piazzamento tra le prime tre (e meno male che dietro oggi rallentano tutte) e ci sono due competizioni da onorare nel migliore dei modi possibili, soprattutto se sei la Juventus. Resta l’amarezza aumentata dal dato statistico: nelle ultime due stagioni la Juve non ha mai battuto la Sampdoria, e classifica dei blucerchiati alla mano, ce ne sarebbe abbastanza per imprecare, atteggiamento che invece Ranieri nel dopo partita nemmeno si sogna di tenere; al contrario, il mister si lancia in una serie di sorrisi amabili e battute di dubbio divertimento davanti alle telecamere delle tv, dichiarando di non aver nulla da rimproverare ai suoi uomini. Tutto questo non fa che acuire la rabbia per l’ennesima occasione gettata malamente alle ortiche; di fronte ad un nuovo esame da grande per fare quell’ultimo passetto che distingue la buona dalla grande squadra, la Juve risponde anche stavolta assente. Come il suo allenatore ha fatto per tutta la carriera.

In chiusura, ci pare doveroso spendere qualche parola per una persona che non c’è più. Giovedì sera è scomparso Giacomo Bulgarelli, alfiere dell’ultimo Bologna scudettato e bandiera assoluta del sodalizio rossoblu al tempo in cui le bandiere esistevano e avevano un senso molto più di oggi. Chi scrive non ha molti ricordi del calciatore, lo ha conosciuto solo tramite filmati di repertorio, ma ha apprezzato il Bulgarelli pioniere (con Altafini) di quella figura che è la seconda voce nelle telecronache delle partite. Per la pacatezza e il garbo che ha sempre mostrato in questa seconda, altrettanto brillante carriera, senza mai scadere nel volgare e limitandosi sempre a giudicare il fatto tecnico, che è il succo di questo meraviglioso sport. Distante anni luce dagli urlatori beceri e faziosi che popolano le tv e le redazioni dei giornali, il supporto tecnico di Bulgarelli alle telecronache di calcio internazionale su TMC (in coppia con Luigi Colombo) resta indimenticabile, come certe sue frasi, pronunciate con cadenza profondamente emiliana, quali “il giocatore siende sulla fasia”, retaggio nostalgico di un altro mondo, di un calcio più genuino, quando il contropiede non era ancora ripartenza, i terzini non erano gli esterni difensivi e giocare col libero (non il centrale) non era considerato un sacrilegio.