Un'occasione buttata. L'ennesima

blonStamattina inviavo un sms ad un carissimo amico, uno di quei tre o quattro che conosci sui banchi di scuola e per via di quella strana e bellissima cosa che si chiama amicizia, ti rimangono vicini per tutta la vita. Il motivo? Auguri di buon compleanno per un neo papà che è tale da 4 mesi. Inizia lo scambio di messaggi e la chiusura del mio amico è stata: “…oggi soprattutto spero in un regalo da Londra”. Lo speravamo, ci credevamo ragionevolmente tutti, nonostante le oggettive difficoltà, ma senza essere tifosi senza obiettività, il “regalo” era possibile. Ma ancora una volta quando conta, non è arrivato.
E’ normale, normalissimo, ricordiamoci chi allena la Juventus. La allena chi infonde una mentalità perdente, una mentalità da “complimenti per la simpatia, la buona immagine e la partecipazione”, ma il bottino se lo prendono gli altri. Stasera la Juve ha buttato via la qualificazione, come già avvenuto in passato, ma a questo Chelsea si poteva e si doveva far male. Delittuoso non aver segnato, con le occasioni avute e quelle potenziali sfumate per via di troppe palle sprecate in modo banale. Se per il tennista (non stiamo parlando di Blanc…) si parla di “braccino”, stasera per molti si è trattato di “gambetta”. Troppo timoroso l’approccio, troppo negativa la mentalità, la stessa mostrata non più tardi di 4 giorni fa a Palermo e già emersa in altre occasioni. La sconfitta di stasera è figlia dei soliti vizi, quelli di una squadra alla quale manca il “killer instinct”, che si consegna timidamente all’avversario e si sveglia solo quando prende schiaffi. La reazione dopo il gol non fa che aumentare la rabbia: perché non reagire prima? Aggravante: l’azione Sissoko-Tiago-Del Piero è la più bella della partita; l’occasione di Amauri, a saltare comodamente con Cech in clamoroso ritardo (e Terry scivolato), è, gol a parte, l’occasione più grossa del match.
Il Chelsea di Hiddink, aggressivo e determinato, si limita al primo quarto d’ora, ed è sufficiente per chiudere il conto svelando tutti i difetti recenti della Juve: e meno male che Guus si rammaricava di non aver mai visto la Juve dal vivo… Era ampiamente prevedibile che Bosingwa sarebbe stato una risorsa, e che con Kalou avrebbe rappresentato la chiave della partita. Lo sanno tutti quelli che vedono le partite dei “blues”. Ranieri ha lasciato Molinaro solo a se stesso e solo quando Nedved ha capito, Kalou ha cominciato ad accentrarsi, risultando comunque decisivo con l’assist sul gol, preso col metodo-Cassano. Che non si discosta molto dal metodo-Matri, o Jeda: difesa aperta che sale coi tempi sbagliati e addirittura due avversari liberi di battere a rete. Che poi Drogba segni pur sbagliando a calciare, è solo un dettaglio che non giustifica l’errore madornale. Eppure la Juve potrebbe ribattere colpo su colpo dalla parte opposta, perché, come prevedibile, Ashley Cole non scende mai e la Juve, quando finalmente prende coraggio, crea le sue occasioni migliori da quel lato, forse troppo poco frequentato dalle punte. Soprattutto Del Piero apparso ancora statico e appannato, mentre Amauri è preso nella morsa di Alex e Terry ma prende e rende colpo su colpo, anche se su di lui pesa quel gol mancato di cui sopra. Il migliore del primo tempo è sicuramente Tiago, oggetto misterioso ma abituato a giocare certe partite più della metà dei suoi compagni; il portoghese imposta e distribuisce palloni per gente che pasticcia e che più che un pallone sembra maneggiare la classica bomba alla quale sta per esaurirsi la miccia. Davvero imbarazzante la carenza mostrata in fatto di personalità, al cospetto di una squadra nettamente ancora in bacino di carenaggio e di uno stadio-salotto che forse è il meno ”terrorizzante” tra tutti quelli inglesi. Registrato l’ennesimo infortunio muscolare per Camoranesi (e siamo a 41 in stagione, terzo per Mauro: complimenti al preparatore, e ormai non ci facciamo più caso) e il Trezeguet inserito a 5 minuti dalla fine (quando il Chelsea era sulle ginocchia da almeno un quarto d’ora), la sensazione che si tratti di occasione persa è sotto gli occhi di tutti, e la delusione sui volti dei ragazzi nel dopo gara (Buffon, Del Piero) la diceva lunga sulla cronica abitudine di questa squadra nel fallire l’ultimo salto, quello che potrebbe farla crescere solo se mostrasse un atteggiamento un pochino più “palluto”.
Ma il problema è sempre il solito, perché se i giocatori hanno chiaramente in testa cos’è mancato, Ranieri nel post partita si prende i complimenti di tutti e pensa che “la rimonta è possibile ma sarà dura” e che “il Chelsea ha grandi mezzi e può permettersi grandi giocatori, noi dobbiamo arrangiarci con altri mezzi”. Bravissimo. Da allenatore del Cagliari mi sta bene. Anche da allenatore del Valencia. Da allenatore della Juve un po’ meno. C’è un allenatore, che al suo primo anno di Juve vinceva con alcuni giocatori ritenuti (a torto, ma fu lui a renderli coscienti delle loro potenzialità) mediocri comprimari (Conte, Alessandro Orlando e Jarni, Porrini e Di Livio, Ravanelli e Torricelli), e altri considerati finiti (Carrera e Kohler, Vialli e Marocchi). Eppure, questo giovane allenatore proveniente dal Napoli, ripeteva continuamente quanto i suoi giocatori fossero “i migliori del mondo”. La differenza non la fanno i fenomeni, la fa la mentalità. O ce l’hai o non ce l’hai. Lippi l’aveva, e senza voler far la figura della vedova inconsolabile del Marcello, ci sono in giro parecchi personaggi che quella mentalità vincente ce l’hanno. La carriera dell’allenatore attuale della Juventus è esplicativa in tal senso e fuga ogni dubbio sulle sue attitudini al successo: non ne ha proprio. “Lui” vive per i buoni sentimenti, per le celebrazioni che “Stamford Bridge” gli ha dedicato. E “lui”, che da queste parti era soprannominato “Tinkerman”, ha ringraziato commosso, lasciando la posta al suo ex club. Roman Abrahmovic, in tribuna con gli U2 quasi al completo, per qualche momento è sembrato assumere un'espressione diversa da quel caratteristico ghigno indecifrabile, tra l’ebete e il sorridente, che di solito elargisce alle telecamere. Sembrava più sorridente, e non penso che tutta questa ilarità fosse dovuta alla copia del nuovo disco che Bono e soci gli avranno sicuramente regalato, bensì al compiacimento che gli regalava la constatazione sulla bontà della scelta effettuata quattro anni fa. Quella di licenziare il maneggione che si complica la vita da solo.
Ora ci aspetta il ritorno, dove il Chelsea, notoriamente squadra da trasferta (che recupererà Deco, oltre a Carvalho, anche se probabilmente non sarà ancora pronto Essien) sguazzerà negli spazi che la retroguardia bianconera sarà costretta a concedere. Parere personale, mi sbilancio: non abbiamo più del 10% di possibilità. Ed è un vero peccato, l’ennesimo. E’ troppo augurarsi che possa servire a qualcosa? Caro John Elkann, ci senti?

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