Il sogno è finito

Blanc e RanieriCi interessa poco parlare della partita, dell’eventuale malasorte, dell’impegno lodevole dei ragazzi applauditi giustamente dal pubblico, delle illusioni create dal gol di Iaquinta e dal regalo sul rigore trasformato da Del Piero, regali di una squadra che ha tenuto palla ma che non ha mai spinto pesantemente sull’acceleratore nonostante l’eccellente Drogba.
Nemmeno ci interessa parlare del Buffon incerto di questi tempi, che, da stasera è assodato, non è più il miglior portiere del mondo. Una serata amara anche per Del Piero, che ha mostrato quanto non ne abbia più. L’età conta, il crepuscolo si avvicina.
"Dream is over", cantava John Lennon. E lo stesso ritornello possono intonarlo i tifosi della Juventus dopo la triste eliminazione dalla Champions League, ad opera del club nel quale si identifica da sempre la parte più chic di Londra, quella “swinging London” che i Beatles contribuirono a rendere ancora più frizzante. Si dirà: i Beatles venivano da Liverpool. Altra ferita: anche da quelle parti, non più tardi di 4 anni fa, tornammo con il nostro carico di cocenti delusioni. Delusioni per una qualificazione buttata all’andata, dove osammo troppo poco e subimmo puntualmente la nostra brava lezione, salvo non riuscire a rimontare nel ritorno. Esattamente come stavolta. Ci sono differenze, certo; quella Juve era più forte e, se da un lato rappresenta un’aggravante, dall’altro ci rendeva tranquilli sapere che le probabilità che a maggio si potesse festeggiare il 28° scudetto erano altissime. Era quella squadra che rimase 76 giornate consecutive in testa alla classifica. Quella squadra che annoverava talenti che tutti invidiavano, nemici storici per primi, ma si guardavano bene dal riconoscerne il valore e a dichiararlo apertamente. Quella squadra che venne distrutta, lacerata, stuprata e saccheggiata in seguito all’immonda farsa chiamata Calciopoli, con la proprietà immobile, se non addirittura regista della sceneggiata.
Quella squadra che non c’è più, è stata sostituita da un’altra squadra, costruita sulle macerie del disastro con vecchi elefanti al crepuscolo (fumo negli occhi per il tifosotto sempliciotto) più alcuni rincalzi (perché, a proposito di Zanetti e Marchionni, di rincalzi si trattava nelle intenzioni della precedente Dirigenza), giovanotti di belle speranze ma ancora acerbi e probabilmente non del tutto degni della maglia che portano e, infine, una pletora di mediocri mestieranti, meglio se con una carriera agli sgoccioli oppure densa di fallimenti.
Il risultato di questa serata è l’emblema dell’assoluta inesistenza di una programmazione, di una precarietà che non può portare a nulla se non a vivere di illusioni e frottole. Mediocrità, e dove non ci fosse mediocrità tra gli atleti (in pochi di loro, per la verità), il “contorno” fa la differenza. In negativo. La Juventus si è presentata all’appuntamento cardine della stagione, quello per il quale dalla scorsa estate tutti, dai dirigenti ai giocatori, si sono spesi in proclami e hanno promesso grandi cose, ammiccando alla finale di Roma almeno ogni settimana. E come si è presentata all’appuntamento, la Juventus? Con l’infortunato numero 54 di stagione (fonte Tuttosport), e se Sissoko era a rischio, quindi complimenti all’allenatore (la micro frattura è cosa vecchia, perché schierarlo per 10 minuti, recupero compreso, nel derby?), quello di Marchionni è il 43° infortunio muscolare di stagione.
Numeri da casa di riposo, più che da società di calcio ai massimi livelli professionistici. Giocatori logorati dalla carriera? Per molti può essere così, e lo sapevamo da tempo. Preparazione approssimativa? Sembra impossibile sostenere il contario. Quel che è certo è che al Chelsea è bastato cambiare allenatore tre settimane addietro per cambiare radicalmente volto, condizione e spirito. Hiddink ha riesumato un Drogba dato per morto e anche stasera decisivo. Noi, invece, rimaniamo ancorati alle solite titubanze, ai soliti timori, le solite precarietà che allo stato attuale dobbiamo definire, purtroppo, certezze ineluttabili. E con questo spirito affrontiamo il finale di stagione. Bell’affare.
Cercheranno di riempirci la testa con le belle, straordinarie prove della fase a gironi, le due sfide “eroiche” contro il Madrid meno Real degli ultimi 30 anni, che stasera becca quattro pappine a Liverpool dopo aver perso già all’andata in quello che un tempo era l’inviolabile “Bernabeu”, oggi terra di conquista per nobili e barbari. Proveranno ad abbindolarci con la scusa della sfortuna e del destino cinico e baro, dell’infortunio di Nedved (che chiude malinconicamente la sua carriera europea: almeno lui non lo meritava), della sorte avversa che ci ha riservato l’avversario più difficile, quello che ha perso la scorsa Champions League per uno scivolone del suo capitano, l’ennesima corazzata (termine, che, sinceramente ha scassato i maroni) quasi fossimo i parenti poveri, una minoranza, una provinciale.
Questi signori rappresentano la Juventus; riusciranno a capirlo prima o poi che cosa significa? E, ciliegina sulla torta, alla fine ci tocca pure sentire e vedere Montezemolo, l’uomo che ha avvelenato la storia della Juve in maniera devastante in due riprese, l’uomo che era allo stadio a far cosa non si sa, ma che ha rischiato di far lievitare il mercato dei televisori, perché alla sua apparizione davanti alle telecamere di Sky, nelle case degli juventini veri, siamo certi che molti oggetti abbiano rischiato di essere lanciati verso gli apparecchi. Commento lapidario dell’amico di Tronchetti? “Peccato per la Juventus. Guardiamo avanti”. Emblematico quanto schifoso. A questo signore, al suo amico Cobolli e a tutta la stramaledetta proprietà, possiamo augurare solo di soffrire per cose alle quali tengono veramente, come noi soffriamo e abbiamo sofferto dall’estate del 2006. Noi che alla Juventus teniamo.

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