Disastro totale

Clau71Juventus-Atalanta doveva passare alla storia come la prima partita del campionato italiano da disputarsi a porte chiuse a causa di una motivazione senza precedenti: i cori razzisti.
Una pena prima sospesa e poi tradotta in squalifica per la prima volta nella storia.
E vabbè; abbiamo fatto da cavia anche per questo…
Ma le vicende del campo, rischiano di far passare alla storia questa partita per motivi strettamente sportivi.
Raccontare l’ennesima prova allucinante della Juve di questo finale di stagione non è facile.
Forse è la peggior partita dell’anno, considerate tutte le variabili in gioco.
Gente già in vacanza con la testa, gente con poca voglia di lottare (esclusi pochissimi effettivi) e probabilmente decisa a far capire a chi deve prendere certe decisioni che le voci sulla possibile conferma di Ranieri devono rimanere soltanto voci e nient’altro.
L’approccio è da museo degli orrori, una squadra mollissima e imbarazzante che subisce gol al primo affondo atalantino (deviazione colpevole, perché volontaria, ancorchè maldestra di Legrottaglie su una palla sostanzialmente innocua) e rischia concretamente di subire il secondo.
Una volta comparso sul tabellone luminoso il risultato di Firenze, la Juve coglie due traverse e segna due gol in pochi minuti.
Poi, la squadra ritorna a corricchiare per il campo, subendo il ritorno degli uomini di Del Neri e facendosi meritatamente imporre il pareggio a fine primo tempo.
Con un obiettivo vitale ancora da conquistare, con la Fiorentina a ridosso, è decisamente vergognoso tenere questo atteggiamento.
E nella ripresa, il leit motiv non cambia, con l’Atalanta che per ben tre volte colpisce i legni della porta di Buffon, in un’occasione apparso reattivo come un bradipo. Una costante dell’ultimo periodo, anche se, va detto, oggi sui gol non ha colpe specifiche, e nemmeno su altre opportunità create dall’Atalanta.
Oggi gli avversari arrivavano al tiro con una facilità disarmante.
Un reparto difensivo imbarazzante, un Mellberg che da quella sera in cui Drogba gli prese tre metri in mezzo secondo non fa che compiere una sciocchezza dietro l’altra, rivelando di essere quello che il suo status di parametro zero e la sua carriera illustravano da subito: un cambio buono per drammatiche emergenze.
Un Legrottaglie che, come nella scorsa stagione, crolla nel finale, forse timoroso di sbagliare per non abbassare la propria media voto in prospettiva Confederation Cup.
Inutile presentarsi con la maglia recante la scritta “Gesù vive” davanti ai microfoni.
Gesù sarà anche vivo, ma il Legrottaglie calciatore sembra decisamente agonizzante.
Il brutto anatroccolo De Ceglie (sgraziato e impacciato come se ne son visti pochi con quella maglia addosso in passato) fa rimpiangere Molinaro, e chi scrive lo pensa da tempo.
Gente non da Juve, impossibile far conto su questi per il futuro.
Idem per Grygera, meno peggio degli altri se calcoliamo il rendimento di tutta la stagione, ma non gli si può chiedere neppure di essere lo Zambrotta dei tempi peggiori, e nemmeno il Cafù degli ultimi mesi di carriera.
E in tutta questa disgrazia, c’è ancora chi insulta e si oppone all’arrivo di Cannavaro, costato quanto Mellberg, ma migliore dello svedesone anche se giocasse con una gamba rotta e l’influenza suina.
Fatemi il piacere…
A proposito di mercenari, o professionisti attaccati alla maglia o meno, a centrocampo Zanetti (gran gol a parte) cammina per preservare i propri muscoli di seta nella speranza di arrivare a fine stagione senza ulteriori guai e strappare così l’ultimo consistente contratto della carriera.
Toglietemi dalla vista Poulsen, qualcuno gli dica che è primavera inoltrata e gli stivali invernali vanno sostituiti con qualcosa di più consono alle attuali temperature.
Il simbolo di questa Juve sciagurata e senza attributi è proprio lui: l’uomo venuto a Torino con la nomea del cattivone, mostratosi in realtà un pavido pollo dai mezzi tecnici inesistenti e dal senso tattico pari a quello di un difensore di una squadra di Zeman.
Due episodi di oggi che lo riguardano sono degni di un film di Wes Craven, il mago dell’orrore: il retropassaggio a Buffon con Plasmati a mezzo metro di distanza che quasi costava il 2-3, e un altro fatto ancora più imbarazzante, accaduto nel finale, quando il danese con gli stivali, ricevuta palla sulla trequarti avversaria, se ne libera dopo i soliti tre secondi di indecisione, con un tocco di due metri a favorire un avversario, una cosa a metà tra un colpo di zappa e una palata di letame.
Mai visto uno così alla Juve.
Per l’attacco, bisognerà capire qual è il reale valore di Amauri, un gol in tutto il 2009 e gli infortuni c’entrano fino ad un certo punto.
Da salvare, Iaquinta, forse Camoranesi (non ne ha fisicamente, ci prova ma dura mezz’ora), e soprattutto, qualcuno inizi a piangere lacrime copiose e baci la terra sulla quale cammina Pavel Nedved, l’ultimo eroe, l’ultimo grande juventino vero a portare questa maglia che, purtroppo, il ceco svestirà definitivamente il 31 maggio.
Probabilmente schifato dal triste panorama che lo circonda.
Di Del Piero e di Trezeguet, quest’ultimo oggi riesumato per la disperazione ma ormai un ex a tutti gli effetti, preferiamo non dire altro che due semplici parole: grazie, arrivederci!
Ranieri eguaglia l’ennesimo record, arrivando a 7 partite consecutive di campionato senza vittorie, permette al dimissionario Del Neri di uscire per la prima volta in carriera imbattuto in campionato contro la Juve (i precedenti; 12 sconfitte su 12 incontri), e tiene aperta la serie negativa con la possibilità concreta di “migliorarsi” già domenica a Siena, mettendo a serio rischio l’obiettivo minimo, ovvero la Champions League diretta, con la Fiorentina ormai ad un solo punto.
La Fiorentina di oggi ricorda tanto il Milan di qualche settimana fa, con la freccia accesa in corsia di sorpasso.
Cobolli, nel post partita, richiama all’ordine e chiede massima concentrazione per le prossime “importantissime due partite”.
Un countdown ridicolo, scandito allo stesso modo da tre giornate a questa parte, da quando ci si è raccomandati, dalla proprietà a scendere fino al magazziniere, di “vincere le prossime cinque partite”.
Ovviamente, come da copione ormai triennale, i dirigenti hanno superato la barriera del ridicolo e non ne hanno più azzeccata una, nemmeno i pronostici contro squadre che non hanno alcun obiettivo da centrare.
Come l’avversario di oggi, che da tempo è a conoscenza delle scelte della sua guida tecnica, che ha deciso di abbandonare a fine stagione; ma la società bergamasca è stata brava a gestire la situazione e, pur non avendo alcun traguardo da raggiungere, i ragazzi chiudono la stagione con dignità.
A Torino, invece, la dirigenza parla con troppe bocche diverse, dal presidente all’amministratore delegato, passando per i fratelli rappresentanti della proprietà fino al consigliere esperto in bagher, e nessuno rilascia dichiarazioni convergenti, sulla questione allenatore.
Questi dilettanti allo sbaraglio si sono riuniti non più tardi di martedì e, pur rimanendo in sede per 10 ore consecutive, ormai è assodato che gli argomenti trattati non comprendevano cose serie e concrete come quelle di tenere una linea comunicativa ufficiale e soprattutto univoca.
Forse non è il pensiero di dover stipendiare un Ranieri dimissionato a far titubare i dirigenti sulla decisione di esonerarlo, essendo l’ingaggio del tecnico piuttosto irrilevante, se rapportato agli sprechi di questi anni (non ultimi i 3 milioni liquidati nei giorni scorsi ad Andrade, per la risoluzione di un contratto praticamente mai onorato): ma il vero problema potrebbe essere il mettere a tacere l’uomo Ranieri, che, con fare minaccioso, qualche settimana fa dichiarò “A fine stagione parlo io”.
Ora, una Juventus ostaggio di Ranieri da una parte, dei giocatori dall’altra, non è la Juventus.
Che i tifosi contestino, che i giornali partano con le critiche invece di riempire i propri articoli di buonismo ipocrita a uso e consumo del proprio interesse di parte, da tifosi avversari (una Juve così poco Juve non l’auspicava nemmeno il suo peggior detrattore nel più dolce dei suoi sogni; logico che la vogliano sempre a questi livelli).
Faceva impressione vedere in tribuna, a debita distanza dal gruppuscolo di facce inebetite e sorridenti che oggi gestiscono quel che rimane della Juventus, uno dei simboli veri della Juventus, seduto in disparte a rimuginare chissà quali pensieri.
Inquadrato dalle telecamere di Sky, un Roberto Bettega defilato rispetto ai nuovi “cirigenti” (cit.), ma avvicinato da qualcuno dei pochi spettatori ammessi (ai quali rispondeva con un sorriso amaro), sembrava soffrire per quello che stava vedendo in campo, e per quello che sicuramente saprà relativamente a ciò che succede fuori, laddove si decidono i magri destini della Nuova Juventus.
Destinata, se questi sono i presupposti, ad essere una comparsa anche nei prossimi anni.
Diego o non Diego, che giochi pure come il Diego di Messico ‘86, le cose non cambieranno e ci saranno veramente stagioni da etichettare come "strepitose" e "indimenticabili". Per i nostri avversari.

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