Altra figuraccia. Dirigenza e proprietà senza alibi

marotta

Vorrei parlare della partita, dell’eliminazione dalla Coppa Italia, del gol di Vucinic con la complicità di quella sciagura che si chiama Marco Motta - che lo tiene in gioco sbagliando il centesimo movimento della sua disgraziata partita - e del sedativo che Melo deve aver assunto dopo la follia ai danni di Paci; dell’arbitraggio di Damato ai limiti dell’irritante (pro-Roma, nessun dubbio); dei fischi dell’Olimpico spazientito. Avrei voluto parlare di calcio, ma non me la sento. A dicembre salutai l’eliminazione dall’Europa League come un segnale della Divina Provvidenza: pensai che sarebbe stato meglio concentrarsi sul fronte interno e sugli obiettivi principali; far bene in campionato, come effettivamente stava avvenendo, e magari provare a fare una figura dignitosa in Coppa Italia. Adesso che la Juve esce (ed esce male) dalla Coppa Italia è doveroso che qualcuno si prenda le proprie responsabilità. Dopo le critiche estive in merito ad una campagna acquisti degna di un minestrone fatto con ingredienti recuperati rovistando in una pattumiera, l’equilibrio che la cura Del Neri sembrava aver portato dopo l’avvio da incubo aveva costretto molti (in primis il sottoscritto) a rimangiarsi le critiche e a riconoscere che, forse, proprio male questa squadra non era. Almeno lo spirito della vecchia Juve, quello sembrava ritrovato. Invece niente, il 2011 ci ha riconsegnato la solita squadraccia brutta e involuta che adesso sembra non averne proprio più, dissolta nelle avversità che l’hanno colpita dai minuti finali di Verona fino a quelli iniziali della gara interna col Parma. Lì è svoltata la stagione della Juve, ora prigioniera delle stesse paure che vivemmo per l’intera stagione scorsa: qualità scadente, squadra molle, fragile, pavida e senza attributi, nuovamente falcidiata in maniera beffarda dagli infortuni. Ora, nonostante “maghi e maghetti di muscoli e garretti” (perdonatemi la stupida filastrocca) gli acciacchi si moltiplicano raggiungendo picchi grotteschi per tempistica (Traoré, ko dopo pochi secondi a Genova) e il destino, si sa, ama farsi beffe di chi lo sfida: impiegare Amauri, il peggior attaccante degli ultimi 40 anni juventini, almeno basandosi sul rapporto qualità-aspettative-costo, e Motta - al cui cospetto, l’odiato (dai tifosi) e ripudiato Zebina è Djalma Santos - significa aprire un conto con la sfiga. E in questi casi la sfiga non si fa per nulla pregare e presenta il conto pieno, visto che colpisce anche uno dei pochi che si guadagna sempre la pagnotta, Simone Pepe. Questa Juve non segnerebbe nemmeno se giocasse per dieci ore di fila: i limiti tecnici sono evidenti, e la differenza sostanziale fra una grande squadra e un gruppo di mediocri dipende da due fattori: i campioni veri, quelli che fanno da riferimento per i compagni più modesti, e l'atteggiamento mentale. I primi non ci sono e nemmeno si è provato ad acquistarli in estate, preferendo ripiegare su acquisti degni del periodo Blanc-Secco; e quanto all’atteggiamento, quello trasmesso dall'attuale Juve, afflosciatasi alle prime difficoltà, è un segnale che denota quanto da Ferrara e Zaccheroni a Del Neri le cose sembravano cambiate, ma in realtà lo erano solo in apparenza. Ma Del Neri cosa può fare con un attacco che ha nel pensionabile Del Piero l’uomo ancora più valido e per giunta più integro? Cosa può fare Del Neri se non raccomandarsi agli Dei sperando che prima o poi la sua squadra non dico segni, ma almeno crei i presupposti per rendersi pericolosa? Cosa può fare Del Neri se gli si spacca Quagliarella e Marotta gli porta in dote il malconcio Toni che, puntualmente, segue il proprio trend degli ultimi anni, e abbandona l’attacco bianconero nelle mani del pessimo Amauri. A scanso di equivoci: con Vucinic e il brasiliano meno brasiliano che sia mai esistito a maglie invertite avremmo sicuramente assistito ad un finale diverso. Del Neri è in difficoltà e si vede, e necessiterebbe di aiuto (leggasi: giocatori decisivi). Aiuto che il principale responsabile del disastro, Marotta, non può garantire. L’ex AD sampdoriano, evidentemente rimasto immedesimato nella vecchia realtà, non può neppure nascondersi dietro la scusa della proprietà spilorcia che non caccia soldi, perché al suo arrivo, una volta resosi conto della situazione finanziaria, si è imbarcato in una strategia di mercato suicida e dal profilo basso, tipica di chi gestisce società come Venezia e Samp (le sue precedenti società), raccattando una dozzina fra prestiti onerosi e scommesse rischiose. Marotta sostiene di aver seguito le linee guida della proprietà: chissà che gioia sarà per i proprietari vedere milioni andare in fumo anche quest’anno. O forse è proprio questo che la proprietà che da circa novant’anni influenza i destini di quella che un tempo era la società di calcio più importante d’Italia vuole? Se così fosse, entrare nel nuovo stadio con l’appeal di una provinciale meriterebbe uno sciopero da parte di tutto il popolo juventino. Immaginate che bello: lo stadio nuovo, “lo stadio che cambierà il calcio”, un modo nuovo di vivere la partita. Con lo stadio vuoto. Immaginate che smacco. Ma io lo farei, perché provate solo a pensare a quello che è successo stasera, ennesimo segnale che a mio parere qualcosa non quadra. Stasera si affrontavano una delle poche società dal bilancio equilibrato e in linea con i parametri del futuro Fair Play finanziario, una società che vogliono farci credere che, per questioni di conti, non acquista nessun campione vero; mentre l’avversario, che viene tenuto a galla da anni da una banca che deve lustrarne al massimo il blasone per ingolosire i probabili (ma per ora solo virtuali) acquirenti, in estate si era prodigato per rendere più competitiva una rosa già quasi campione d’Italia. C’è qualcosa di troppo strano e contorto in tutto questo, come l’andamento di certe operazioni di mercato che si sono concretizzate in questo mese di gennaio. Incompetenza, menefreghismo, o forse, molto più realisticamente, qualcuno dall’alto ha deciso che la Juve di questi anni deve essere questa?

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Vorrei parlare della partita, dell’eliminazione dalla Coppa Italia, del gol di Vucinic con la complicità di quella sciagura che si chiama Marco Motta - che lo tiene in gioco sbagliando il centesimo movimento della sua disgraziata partita - e del sedativo che Melo deve aver assunto dopo la follia ai danni di Paci; dell’arbitraggio di D’Amato ai limiti dell’irritante (pro-Roma, nessun dubbio); dei fischi dell’Olimpico spazientito. Avrei voluto parlare di calcio, ma non me la sento. A dicembre salutai l’eliminazione dall’Europa League come un segnale della Divina Provvidenza: pensai che sarebbe stato meglio concentrarsi sul fronte interno e sugli obiettivi principali; far bene in campionato, come effettivamente stava avvenendo, e magari provare a fare una figura dignitosa in Coppa Italia. Adesso che la Juve esce (ed esce male) dalla Coppa Italia è doveroso che qualcuno si prenda le proprie responsabilità. Dopo le critiche estive in merito ad una campagna acquisti degna di un minestrone fatto con ingredienti recuperati rovistando in una pattumiera, l’equilibrio che la cura Del Neri sembrava aver portato dopo l’avvio da incubo aveva costretto molti (in primis il sottoscritto) a rimangiarsi le critiche e a riconoscere che, forse, proprio male questa squadra non era. Almeno lo spirito della vecchia Juve, quello sembrava ritrovato. Invece niente, il 2011 ci ha riconsegnato la solita squadraccia brutta e involuta che adesso sembra non averne proprio più, dissolta nelle avversità che l’hanno colpita dai minuti finali di Verona fino a quelli iniziali della gara interna col Parma. Lì è svoltata la stagione della Juve, ora prigioniera delle stesse paure che vivemmo per l’intera stagione scorsa: qualità scadente, squadra molle, fragile, pavida e senza attributi, nuovamente falcidiata in maniera beffarda dagli infortuni. Ora, nonostante “maghi e maghetti di muscoli e garretti” (perdonatemi la stupida filastrocca) gli acciacchi si moltiplicano raggiungendo picchi grotteschi per tempistica (Traoré, ko dopo pochi secondi a Genova) e il destino, si sa, ama farsi beffe di chi lo sfida: impiegare Amauri, il peggior attaccante degli ultimi 40 anni juventini, almeno basandosi sul rapporto qualità-aspettative-costo, e Motta - al cui cospetto, l’odiato (dai tifosi) e ripudiato Zebina è Djalma Santos - significa aprire un conto con la sfiga. E in questi casi la sfiga non si fa per nulla pregare e presenta il conto pieno, visto che colpisce anche uno dei pochi che si guadagna sempre la pagnotta, Simone Pepe. Questa Juve non segnerebbe nemmeno se giocasse per dieci ore di fila: i limiti tecnici sono evidenti, e la differenza sostanziale fra una grande squadra e un gruppo di mediocri dipende da due fattori: i campioni veri, quelli che fanno da riferimento per i compagni più modesti, e l'atteggiamento mentale. I primi non ci sono e nemmeno si è provato ad acquistarli in estate, preferendo ripiegare su acquisti degni del periodo Blanc-Secco; e quanto all’atteggiamento, quello trasmesso dall'attuale Juve, afflosciatasi alle prime difficoltà, è un segnale che denota quanto da Ferrara e Zaccheroni a Del Neri le cose sembravano cambiate, ma in realtà lo erano solo in apparenza. Ma Del Neri cosa può fare con un attacco che ha nel pensionabile Del Piero l’uomo ancora più valido e per giunta più integro? Cosa può fare Del Neri se non raccomandarsi agli Dei sperando che prima o poi la sua squadra non dico segni, ma almeno crei i presupposti per rendersi pericolosa? Cosa può fare Del Neri se gli si spacca Quagliarella e Marotta gli porta in dote il malconcio Toni che, puntualmente, segue il proprio trend degli ultimi anni, e abbandona l’attacco bianconero nelle mani del pessimo Amauri. A scanso di equivoci: con Vucinic e il brasiliano meno brasiliano che sia mai esistito a maglie invertite avremmo sicuramente assistito ad un finale diverso. Del Neri è in difficoltà e si vede, e necessiterebbe di aiuto (leggasi: giocatori decisivi). Aiuto che il principale responsabile del disastro, Marotta, non può garantire. L’ex AD sampdoriano, evidentemente rimasto immedesimato nella vecchia realtà, non può neppure nascondersi dietro la scusa della proprietà spilorcia che non caccia soldi, perché al suo arrivo, una volta resosi conto della situazione finanziaria, si è imbarcato in una strategia di mercato suicida e dal profilo basso, tipica di chi gestisce società come Venezia e Samp (le sue precedenti società), raccattando una dozzina fra prestiti onerosi e scommesse rischiose. Marotta sostiene di aver seguito le linee guida della proprietà: chissà che gioia sarà per i proprietari vedere milioni andare in fumo anche quest’anno. O forse è proprio questo che la proprietà che da circa novant’anni influenza i destini di quella che un tempo era la società di calcio più importante d’Italia vuole? Se così fosse, entrare nel nuovo stadio con l’appeal di una provinciale meriterebbe uno sciopero da parte di tutto il popolo juventino. Immaginate che bello: lo stadio nuovo, “lo stadio che cambierà il calcio”, un modo nuovo di vivere la partita. Con lo stadio vuoto. Immaginate che smacco. Ma io lo farei, perché provate solo a pensare a quello che è successo stasera, ennesimo segnale che a mio parere qualcosa non quadra. Stasera si affrontavano una delle poche società dal bilancio equilibrato e in linea con i parametri del futuro Fair Play finanziario, una società che vogliono farci credere che, per questioni di conti, non acquista nessun campione vero; mentre l’avversario, che viene tenuto a galla da anni da una banca che deve lustrarne al massimo il blasone per ingolosire i probabili (ma per ora solo virtuali) acquirenti, in estate si era prodigato per rendere più competitiva una rosa già quasi campione d’Italia. C’è qualcosa di troppo strano e contorto in tutto questo, come l’andamento di certe operazioni di mercato che si sono concretizzate in questo mese di gennaio. Incompetenza, menefreghismo, o forse, molto più realisticamente, qualcuno dall’alto ha deciso che la Juve di questi anni deve essere questa?