Buona notte, Inter

moratti

Stamattina avevo avuto un segnale, ma ve ne parlerò più avanti.
Per prima cosa voglio segnalarvi l’immagine della serata, quella che immortala i volti di Bedy Moratti e Paolillo a fine partita, pescati dalle telecamere con lo sguardo di chi non vuole crederci.
I chiacchieroni per antonomasia erano convinti di venire a Torino e spadroneggiare, forti della loro “straordinaria rimonta” targata Leonardo.
Anche il Massimo dei minimi in settimana aveva regalato perle degne del suo repertorio, e aveva indirizzato la sua proverbiale verve contro vari bersagli (ex allenatore spagnolo compreso) riservando la solita particolare attenzione per il suo incubo eterno: la Juventus.
Quella Juventus che schierava giocatori passati alla storia quando la squadra del Massimo dei minimi si esaltava con i Recoba, i Dalmat e i Brechet.
Quella Juventus che, truffando e maneggiando, gli impediva di ottenere i risultati che secondo lui e i suoi cortigiani meritava.
Quella Juventus alla quale lui, Massimo, aveva sottratto lo scudetto del 2006, quello che secondo lui, Facchettino e gli interisti tutti era lo scudetto dell’Onestà, il risarcimento dovuto dopo tanti anni di vessazioni e soprusi.
Quella Juventus che dal 2006, da quando è successo quello che sappiamo, nel bilancio dei confronti diretti in campionato è ancora in vantaggio contro l’Armata del Presidente più Onesto della Galassia.
Chiaro, a contare è il successo finale, ma la “corazzata interista” (come amava definirla il mai rimpianto ex presidente Cobolli) prima subìva gli avversari e incolpava la Cupola, mentre in realtà “quando vedevano le nostre maglie si cagavano addosso” (cit. Mauro German Camoranesi); invece oggi non riesce a prevalere sugli odiati rivali neppure con la benevolenza di arbitraggi compiacenti.
Perché, oltre all'ammonizione risparmiata a Cordoba per la trattenuta plateale a Toni, immaginate l’episodio Matri-Cordoba a maglie invertite: che ne so, un Bonucci-Pazzini, concluso magari con uno dei celebri avvitamenti del “Pazzo” in stile derviscio.
Rigoreeeeee!!! Netto, senza dubbio.
E invece dobbiamo ascoltare giudizi allucinanti: da parte dei soliti (C. & B.), ma anche dei cosiddetti opinionisti che dovrebbero essere imparziali.
Almeno teoricamente.
Un nostro grande ex capitano che lavora per la stessa emittente del “duo di Berlino” si è distinto per una valutazione surreale sull’episodio: “E’ rigore, al rallentatore è rigore netto. Ma nei panni dell’arbitro non l’avrei dato perché sembra proprio che la palla la prenda Cordoba”.
Siamo alle solite, cosa si nasconde dietro alla proverbiale “generosità morattiana”?
Perché tutti hanno timore non dico di dirne male, ma di contrariarne (almeno un pochino…) l’illuminato (???) parere?
Ora, il Massimo dei minimi è lo stesso presidente Onesto che fece il diavolo a quattro persino per un gol correttamente annullato a Ganz: si giocava un Inter-Juve risalente al lontano 1997, e un fuorigioco di tre metri non rilevato lanciò l’attaccante friulano verso la porta di Peruzzi che venne trafitto dal sinistro dell’avversario.
Collina (toh…) fece retromarcia spinto dai giocatori della Juve che lo invitarono a confrontarsi con l’assistente che aveva segnalato l’offside del centravanti nerazzurro.
Decisione corretta, sacrosanta, ma il Massimo dei Minimi la prese male, e nei giorni successivi regalò ai suoi amici giornalisti lo scoop, in relazione all’annullamento dell’azione incriminata a causa delle proteste dei giocatori juventini: “Mai vista una roba del genere, il gol era stato convalidato e tale doveva rimanere… ”.
Che signore, eh?
Archiviata la parte relativa ai “sassolini nelle scarpe” veniamo al fatto tecnico: Del Neri vince la sfida con Leonardo, schierando una coppia di torri (Toni e Matri) a infastidire i centrali di riserva nerazzurri.
E i due centravanti bianconeri riescono eccome a infastidire gli avversari diretti: Toni è praticamente impossibile da spostare e difende palla in modo egregio; Matri illustra movimenti da attaccante che mancavano da anni in questa squadra, segna un gol e ne manca di un soffio altri due: un errore suo il primo, una zuccata uscita di un soffio che avrebbe probabilmente chiuso il match ad inizio ripresa; una mezza prodezza il secondo tentativo, ad incontrare con un movimento rapidissimo un cross di Pepe, con Julio Cesar immobile e la palla che termina sul fondo a pochi centimetri dal palo.
Benissimo il solito encomiabile Marchisio; in netto miglioramento, anche e soprattutto fisico, Krasic; bene i centrali di centrocampo, esausti e imprecisi al termine ma autori di una gara esemplare sul piano del contenimento.
Bene la difesa, con Chiellini piazzato a sinistra ma vero leader emotivo del gruppo, seppur con qualche pasticcio, e la coppia Bonucci-Barzagli, bravi a garantire piazzamento e sicurezza.
Sorprende ancora una volta il giovane Sorensen, ideale in quel ruolo (vista la concorrenza, poi…) e impeccabile su Eto’o, l’incubo della vigilia limitato dal danesino.
Immagino già l’obiezione: Eto’o si é mangiato un gol clamoroso.
Rispondo: quell’occasione è stata originata da una sciocchezza astronomica di Pepe in condizioni di inferiorità numerica effettiva (Matri era di fatto già out) e con un reparto posizionato male nell’insieme.
L’Inter? L’effetto-Leonardo è durato quasi un mese e mezzo: ora arriva una battuta d’arresto, la seconda in poche settimane dopo quella di Udine.
Questa fa più male per tanti motivi, ma soprattutto perché la rimonta frena e i difetti rimangono: fase difensiva approssimativa e approcci teneri alle partite.
Nel primo tempo l’Inter non è esistita, e all’inizio della ripresa ha rischiato di capitolare per la seconda volta in più occasioni, arrivando ad impensierire Buffon solo con un colpo di testa di Pazzini.
Il forcing finale nerazzurro è stato propiziato dalle condizioni di superiorità numerica dovute all’infortunio occorso a Matri senza possibilità per Del Neri di operare un cambio.
Ora viene il bello, mancano 13 partite e dovranno essere 13 finali.
Alla Juve tutta chiediamo semplicemente: niente proclami, solo lavoro.
E visto che parliamo di lavoro, ecco il segnale cui accennavo in apertura.
Stamattina mi trovavo in auto, diretto in una località valdostana in cui si praticano (ovviamente…) sport invernali.
Ad un certo punto, mentre affrontavo gli ultimi tornanti per giungere al parcheggio in cima alla salita, incontro un tizio che sta salendo nella mia stessa direzione.
Però io sono al volante, lui è di corsa.
Lo guardo, mi avvicino e non riesco a nascondere la meraviglia.
E’ Pavel Nedved, agile, potente e aggressivo come ai tempi in cui indossava la nostra maglia.
Lo supero, mi fermo ad una piazzola di sosta e lo attendo, ma non ho il coraggio di disturbarlo, è concentrato, guarda il cronometro e non accenna a diminuire l’andatura.
Lo lascio andare, perché anche a me piace correre, e so benissimo che un podista odia chiunque lo infastidisca mentre sta cercando la performance.
Però, non mi vergogno di dirlo, ho pensato alla volontà di quell’omino di ferro che non mollava mai per tutto il giorno, e immaginavo: chissà se stasera i suoi eredi riusciranno ad esserne degni…
Per una volta Pavel, che stasera era al suo posto all’Olimpico, può essere fiero di loro.

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