Mentana, Cannavò e l'informazione con e senza padroni

stampaEnrico Mentana, ex-direttore editoriale dell'informazione Mediaset e conduttore di Matrix, è attualmente disoccupato; lo hanno soprannominato Mitraglia e bisogna dire che negli ultimi giorni ha mitragliato a destra e a manca: è stato da Lerner (La7, gruppo Telecom), da Santoro (Rai2, l'operatore pubblico d'informazione) e domenica ha scritto sulla Gazzetta (gruppo RCS, quelli del salotto buono). Come un giocatore a cui è scaduto il contratto manda il procuratore a parlare con Inter, Milan e Juve, allo stesso modo Mentana è come se si stesse mettendo sul mercato offrendosi agli editori più importanti, fa intravedere di quali prodezze è capace, cerca di spuntare il contratto più ricco.

Niente che ci scandalizzi, così va il mondo; senza scandalizzarci vorremmo però commentare la sua performance sulla Gazzetta perché dedicata alla "lezione di Cannavò". Il timore di Mentana è che quella lezione venga dimenticata ("questa domenica di sport rischia fatalmente di essere quella che archivia la sua scomparsa") mentre noi abbiamo il timore che succeda il contrario: che, per ipocrisia e tornaconto, si inventi una lezione, quella dello sport pulito e leale, che non c'è mai stata, che realisticamente non poteva esserci.

Che non c'è mai stata lo dimostra il dato oggettivo della nostra non cultura sportiva. Guardiamo al calcio che ci è più familiare e chiediamoci quanto c'è di lealtà e di "sport pulito" in chi va in campo, in chi dirige, governa e gestisce, negli spettatori, in tutto quello che ci gira intorno; chiediamoci da dove nasce questa non cultura e ci renderemo conto che i casi sono due: se quella lezione mai c'è stata, ha avuto pessimi maestri oppure nessuno l'ha capita; più realisticamente, non c'è mai stata e abbiamo il calcio che ci meritiamo, giornalisti sportivi compresi. Mentana ricorda l'impegno di Cannavò nel sociale, niente da dire, ma questo riguarda la dimensione privata della persona scomparsa, non quella, pubblica, di direttore di un giornale sportivo per 19 anni che adesso si vorrebbe celebrare a imperitura memoria per una battaglia mai vinta, anzi mai combattuta.

Mai combattuta perché l'editoria, sportiva e non, nel nostro paese non dà nessuna lezione, non esistono editori "puri", giornali e giornalisti devono solo dar conto ai proprietari. Si direbbe una editoria impura in cui, non a caso, il mestiere di direttore è stato avvicinato a quello più antico del mondo e non su un sito di contro-informazione, ma in una intercettazione telefonica del direttore della Nazione. Quanto ai proprietari della Gazzetta, ci limitiamo a ricordare che tra di loro ci sono la Fiat e la Pirelli; la linea editoriale, con eventuali lezioni da impartire ai lettori, la fissano loro in base ai rapporti di forza del momento, la dettava anche Gianni Agnelli finché vivo, adesso la dettano, tra gli altri, Tronchetti Provera e John Elkann (che di Tronchetti risulta essere stato estimatore fin dai tempi degli studi universitari); la dettano loro, anche in base a obiettivi contingenti, in particolare davanti a fenomeni come quelli di Calciopoli che hanno avuto risvolti economici importanti.

E' allora evidente l'ipocrisia della celebrazione; l'ipocrisia e il tornaconto di un "sistema" che, celebrando il passato, tende a riproporsi immodificato nei suoi peccati d'origine, ma gattopardescamente improntato al sogno dello sport pulito e leale. Denunciamo ipocrisia e tornaconto in nome dell'informazione senza padroni, quella che si è sviluppata, e ancor più si svilupperà, via web; quella, senza falsa modestia, del nostro sito che ha studiato pazientemente tutti i documenti di Calciopoli avanzando l'ipotesi di una farsa, che ha seguito il processo Gea informando i lettori su tutto quanto era nascosto dalla Gazzetta e dagli altri giornali, che ha una sezione dedicata ai bilanci delle società di calcio, ai loro trucchi e agli illeciti tollerati dalle autorità di controllo.

Dato che l'argomento trucchi di bilancio è abbastanza d'attualità e all'attenzione dell'Uefa, riprendiamo un intervento di Candido Cannavò proprio sui falsi in bilancio dell'Inter; a suo tempo l'abbiamo già commentato sul blog, oggi proponiamo una riflessione diversa, come se l'articolo fosse una piccola lezione e noi alunni impertinenti che ci siamo dati da fare perché vogliamo capire.

L'articolo parla delle finte plusvalenze come di una infezione e aggiunge che qualche esperto cervellone evita semplicemente a Moratti il fastidio di dover fare qualche altro aumento di capitale. Proviamo a quantificare il fastidio: l'Inter di Moratti ha fatto ricorso nel 2003 alla Legge Spalmaperdite per più di 300 milioni di euro, nel 2005 ha sistemato il bilancio per 150 milioni con la discutibile compravendita del marchio da Moratti papà a Moratti figlio, nel 2006 ha generato plusvalenze patrimoniali per altri 150 e passa milioni con l'altrettanto discutibile operazione Inter Capital; siamo a più di 600 milioni e intanto i debiti viaggiano sopra i 400. L'Uefa ha definito vergognose situazioni come questa con debiti esagerati, più candidamente ci sentiamo di dire che si tratta di uno scandalo e che la partecipazione dell'Inter al campionato di serie A è un'offesa ai regolamenti federali.

E allora avanziamo una proposta. L'Uefa si sta battendo per il fair-play finanziario, vuole impedire ai presidenti ricconi di sfruttare la leva dei debiti e dei trucchi contabili per barare nelle competizioni sportive, visto che non lo fanno i compiacenti organismi di controllo nazionali; è una battaglia in nome di un calcio più leale com'è il sogno di tanti e allora diciamo: bene, perché la Gazzetta non si fa promotrice di una bella campagna di sensibilizzazione di tutto l'ambiente nostrano per una convinta adesione al fair play proposto dall'Uefa?

La Gazzetta che, per ricordare Candido Cannavò e il sogno di un calcio leale e pulito, illustra i bilanci delle varie società facendo notare ai presidenti le operazioni che finiscono per eludere la normativa federale e quindi falsano la regolarità dei campionati. Si potrebbe cominciare da Moratti; la cosa potrebbe dargli un po’ fastidio (per via di quei 600 milioni che dicevamo prima), ma pensiamo che aderirebbe non foss'altro perché era il più grande estimatore di Cannavò e del suo sogno.

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