Prove tecniche di sentimento popolare?

beha...Io se fossi Dio
maledirei davvero i giornalisti
e specialmente tutti
che certamente non sono brave persone
e dove cogli, cogli sempre bene.
Compagni giornalisti avete troppa sete
e non sapete approfittare delle libertà che avete
avete ancora la libertà di pensare
ma quello non lo fate
e in cambio pretendete la libertà di scrivere
e di fotografare.
Immagini geniali e interessanti
di presidenti solidali e di mamme piangenti.
E in questa Italia piena di sgomento
come siete coraggiosi, voi che vi buttate
senza tremare un momento.
Cannibali, necrofili, deamicisiani e astuti
e si direbbe proprio compiaciuti.
Voi vi buttate sul disastro umano
col gusto della lacrima in primo piano...


(G. Gaber, Io se fossi Dio)


Ci risiamo. E’ notizia del 30 agosto scorso l’estromissione di Oliviero Beha dal Tg3 della domenica sera, insieme alla rubrica nella quale il giornalista toscano commentava la giornata di campionato con puntuali riferimenti al contesto politico, economico e giudiziario che da sempre permea il nostro sconquassato mondo pallonaro. Ma non solo. In particolare quest’anno la suddetta rubrica era stata una delle poche “voci” che puntualmente riportava in maniera obiettiva gli sviluppi del processo di Napoli e le sue infinite contraddizioni e incongruenze. Il “fattaccio” è stato comunicato dallo stesso Beha con un intervento a Radio24, intervento che ha provocato la piccata risposta del direttore del Tg3 Bianca Berlinguer e della stessa Rai con un comunicato. In sostanza Beha accusa il Tg3 di censura bella e buona, a causa del collegamento fra il campo e tutto il contorno di interessi, di aspetti sociologici, antropologici, culturali che riguardano il fenomeno (calcio) contenuto nella sua rubrica, dall’altra parte si ribatte accusando il noto giornalista di voler decidere autonomamente quando intervenire, a dispetto delle scelte della redazione.
Scatterebbe automatico a questo punto parlare di censura preventiva. Ma non voglio “fare il polemista per mestiere”, sarebbe troppo facile e scontato. Quindi ammettiamo che non ci sia stata censura e che si sia trattato di una scelta redazionale. Certo è che dopo Giampiero Mughini, la scarsa rappresentanza di gente che vuole fare luce su quanto è veramente successo quattro anni fa si riduce drasticamente se non si annulla del tutto. Ma se il primo rientra nella categoria degli illustri tifosi bianconeri, il secondo, prima di due anni a questa parte, faticava ad entrare nelle grazie dei sostenitori della Juventus. Stiamo parlando di Oliviero Beha, fiorentino di nascita e di tifo, colui che ha coniato il nomignolo “Licio Moggi” e che nei primi giorni dello “scandalo” era convinto che tutta la questione dovesse beatamente pascolare nel recinto della famosa “Moggiopoli” di gazzettiana memoria. Non certo uno che se la Juve, e in particolar modo quella Juve, vinceva, facesse i salti di gioia. Ma, tralasciando per un attimo fatti juventini, c'è da dire che Beha tirò fuori la vicenda di Italia-Camerun '82 (anche se nel 1984, a torto o a ragione). Sicuramente stiamo parlando di uno che con le indagini sui poteri forti che si celano dietro al nostro calcio va a nozze. Però, diversamente da quei colleghi che ancora insistono con i “ti ricordi Paparesta chiuso nello stanzino?”, Beha ha subito aggiustato la mira, definendo quasi subito “Calciopoli” il tutto. E a dimostrazione della sua buona fede giova ricordare che definì “capro e capretto espiatorio” i due Moggi dopo la sentenza Gea, che ha sempre sottolineato che gli errori arbitrali sono aumentati dopo il 2006 e sempre a favore delle stesse squadre, che man mano che procedeva il processo di Napoli ha messo in luce il ruolo dell’Inter (caso Coppola), ha invocato parità di trattamento all’uscita delle nuove intercettazioni, ha suscitato legittimi dubbi sull’operato di chi ha lavorato con le intercettazioni nel 2006. Fino alla richiesta che la giustizia ordinaria indaghi sulla giustizia sportiva, alla sarcastica invocazione di Moggi nel ruolo di presidente degli arbitri, al commento sull'ipotizzato spionaggio illegale ai danni di Moggi stesso da parte di Telecom su commissione “nerassurra” in occasione della presentazione del suo libro ”Dopo di lui il diluvio” a Padova, dove erano presenti il sottoscritto e il nostro Nicola Negro.
E ora chi avrà l’onestà intellettuale di dire queste cose e di continuare ad indagare in nome della verità? Con la “dipartita” televisiva di Mughini e Beha, non si vede chi possa farlo. E tutto questo succede quando il processo sta per entrare nella fase clou (deve sfilare la maggior parte dei testimoni delle difese), dopo le infinite contraddizioni dei testi dell’accusa (peraltro quasi mai riportate dai giornali accusatori, se non per distorcere il significato delle testimonianze, come sottolineato anche da Beha) e quando la Juventus ha fatto chiaramente capire, per bocca del suo presidente, che la linea d’espiazione permanente inaugurata quattro anni fa forse è terminata. Ma ho detto di lasciar perdere i complottismi, trattasi in un caso di scelta personale, nell’altro di scelta redazionale. Ma ammettendo per assurdo che censura ci sia stata, questo non si allineerebbe perfettamente con il mutismo sul tabù ”Calciopoli” portato avanti senza un minimo di pudore da chi nel 2006 ipotizzava associazioni a delinquere? Non è che si vuole preservare l’antico sentimento popolare della Juventus ladra e di Moggi come il peggiore dei mafiosi per attutire il colpo in caso di assoluzione a Napoli? 'Sospetto, sospetto, tremendo sospetto', direbbe Beha. In fondo però, questa è solo un’ipotesi fatta per assurdo. Ma se così fosse la classe dei giornalisti sportivi ancora una volta si avvicinerebbe alla descrizione fatta da Gaber nel 1981 a proposito della categoria. Di sicuro c’è che, censura o non censura, si prospettano tempi duri per gli juventini veri. Ah già, ma è vero, quelli leggono i libri di Mughini.


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