Cessione Roma: stelle, strisce e qualche punto poco chiaro

sensi rosellaI giornali, sportivi ed economici, danno la cessione in dirittura d'arrivo: un mese di trattativa in esclusiva e la Roma dovrebbe diventare americana, o forse sarebbe più giusto dire italo-americana, visti i nomi degli investitori con i quali la trattativa va avanti (Di Benedetto capocordata e poi, tra gli altri, anche D'Amore e Pallotta). I tifosi della Roma, a cominciare da Totti, sognano giustamente dollari e scudetti: staremo a vedere la conclusione ufficiale dell'affare, memori che già altre volte le trattative per la cessione della società hanno riservato sorprese; ma intanto vanno segnalati alcuni punti poco chiari rispetto ad un'ipotesi di cessione che, si diceva, doveva allettare tanti pretendenti in Italia e all'estero.

Intanto la scelta del gruppo Di Benedetto, con i massimi dirigenti di Unicredit che per due volte sono andati negli Stati Uniti a illustrare l'affare, come fossero loro più interessati a trovare un compratore, e magari proprio quello, piuttosto che la controparte a comprare. Prassi insolita per una grande banca che ha miliardi di crediti incagliati e difficilmente esigibili (mentre nel caso della Roma siamo ormai scesi a meno di cento milioni), e scelta, si direbbe incomprensibile, se si valuta la scarsa visibilità degli investitori americani nel panorama degli operatori finanziari internazionali. Cos'abbia "mosso" Unicredit e Italpetroli a guardare con tanta attenzione oltre-Atlantico a tutt'oggi non è ancora chiaro.
La banca ha dichiarato che l'offerta "a stelle e strisce" è la più solida e affidabile, ma nel frattempo si legge che l'acquisto sarebbe effettuato a debito e che la stessa Unicredit resterebbe azionista al 40%. Da un lato viene da pensare a quello che è successo con altri finanzieri americani che hanno scalato società della Premier e alle polemiche e ai problemi che ne son seguiti; in ogni caso sembrerebbe per il momento accantonato il progetto della banca di rientrare completamente dei propri crediti e uscire dal calcio giocato. Dall'altro, una grande banca azionista importante di una società di prima fascia del massimo campionato è un fatto altrettanto insolito e c'è da augurarsi, per tanti motivi, solo temporaneo, visto che il gruppo Unicredit finanzia, per così dire, quasi tutta la serie A.

Di poco chiaro c'è anche la questione nuovo stadio. Nonostante l'Olimpico resti semivuoto in quasi tutte le partite, di un nuovo stadio per la Roma si parla da tempo e la famiglia Sensi, con l'incoraggiamento praticamente di tutte le più importanti Autorità che hanno voce in capitolo, ha già presentato un suo progetto; adesso si dice che anche la cordata italo-americana prevede la costruzione di un nuovo stadio e qualcuno scrive che del 40% di azioni che resterebbero ad Unicredit la metà sarebbe poi girata ad un costruttore pure lui interessato alla costruzione del nuovo impianto. Resta ancora indefinito se si tratta di progetti alternativi e il dubbio chiama in causa, in particolare, le attese della famiglia Sensi.
E' vero che per il gioco del calcio i Sensi hanno finito per giocarsi gran parte del loro patrimonio, ma è vero anche che fino al 2010 la gestione della Roma, tra presidenza, incarichi in cda, gestione delle controllate e consulenze, fruttava loro circa due milioni di compensi all'anno. Sulla passione per la Roma niente da dire ma, dato che alla favola dei presidenti mecenati non crede più nessuno, sembra poco credibile che l'ipotesi del nuovo stadio escluda gli interessi commerciali degli ex-proprietari della società. Non si può, quindi, che tornare al dubbio iniziale sulla scelta di investitori stranieri e poco noti aggiungendone un altro: e cioè se Unicredit abbia agito in totale autonomia alla ricerca della soluzione più solida e affidabile per la banca, oppure in qualche modo in raccordo con i vecchi proprietari, obbligati sì a vendere, ma in prospettiva ancora interessati alla " crescita" della società.
Se così fosse, e l'ipotesi è verosimile, non sarebbe neanche da escludere che quella italo-americana sia una soluzione-ponte, magari in attesa di una situazione dei mercati più favorevole rispetto a quella attuale che penalizza fortemente le società calcistiche. E' sorprendente che a questo aspetto le cronache sportive siano poco attente, e addirittura singolare il fatto che in tutte queste cronache ricorra comunque il nome di Franco Baldini come prossimo manager. Singolare perché finora la stampa nazionale non ha avuto contatti diretti con gli investitori della Di Benedetto & co.; deve allora presumersi che su Baldini punti la stessa Unicredit o magari che ci abbia puntato fin dall'inizio, dalla scelta della cordata italo-americana.

A proposito, infine, di dollari e scudetti non sono ancora note le cifre "dell'affare", se non che la valutazione complessiva della società sarebbe inferiore a quella dei prezzi correnti di Borsa; si sa invece (fonte: Il Sole 24-Ore del 5 febbraio) che il bilancio consolidato della società evidenziava una perdita di 22 milioni al 30 giugno 2010 che potrebbe aumentare a 30-40 quest'anno, che il patrimonio netto consolidato al settembre 2010 era negativo per 18 milioni e che è necessaria una capitalizzazione tra gli 80 e i 100 milioni.
Di dollari, quindi, ne serviranno e tanti prima di riparlare di scudetto. Piuttosto, ci sarebbe da chiedersi - e l'abbiamo fatto tante volte sul nostro giornale - come abbia fatto la Roma a continuare a iscriversi al campionato e a superare i paletti dei famosi parametri fissati dalla normativa federale e sottoposti ai controlli della Covisoc.

Un altro punto, questo, poco chiaro, uno dei tanti; ma forse questo si comprende meglio (!?) se si ricorda che il presidente della Covisoc è dirigente di una società del gruppo Unicredit.