Andrea, è ora di drizzar le gambe ai cani

andreaNon fatevi ingannare, il problema non sono gli arbitri. Gli arbitri sono solo una delle escrescenze finali del gioco delle parti perennemente in scena oltre le quinte del rettangolo verde. Tutti, tifosi compresi, sono ingranaggi volenti o nolenti di un intricato sistema meta-calcistico che trova nei novanta minuti di gioco l’ultima manifestazione fenomenica. Il campo non è un compartimento stagno, non è un locus amoenus schermato da ogni condizionamento. Al contrario, è lo specchio fedele di quanto si prepara, matura e sedimenta in tutte quelle sedi, dai campi di allenamento ai saloni dirigenziali, dagli studi televisivi a quelli di palazzo che, ricorrendo alla metafora dell’iceberg, rappresentano il 90% di sommerso su di un 10% di visibile. Negarlo sarebbe come proclamarsi dottore senza un decennio di studi, sostenere l’effetto sconfessando la causa.

Fuori dai denti: il problema è mediatico, dannatamente mediatico. Torino, non solo sportivamente, paga il dazio di una realtà stretta tra il martello milanese e l’incudine romana. La Mole è il simbolo freddo di un potentato che non è tale, di un regno senza sudditi, di una civiltà laterale e geneticamente poco smaliziata, granitica quanto poco modaiola.
Torino è il Lesotho dentro il Sudafrica, è i Baschi in Spagna. Torino è quello che si soffia il naso al concerto, è il vicino del primo piano che con fastidio incontri ogni volta che devi salire al secondo, è il parente noioso che non puoi evitare di invitare a Natale. Se volete è la metà oscura, senza la quale, però, l’opposto non esisterebbe. E’ Selene, la Luna, sorella di Elio, il Sole.
Ed è in questo scenario che si devono muovere la Juventus e i suoi sostenitori, sballottati tra il desiderio di appartenere ad un sistema riconosciuto e quello, opposto, di farsi élite autosufficiente. La Juve è una scheggia impazzita, il boccone ingoiato contro voglia e mai digerito. E’ il cerchio rosso in mezzo a quelli bianchi: in breve, il bersaglio perfetto per i media moderni.
E i media contano, eccome. Sono quelli che trasformano una ciarla sulle griglie in misfatto peggiore di ben più seri intrallazzi (il dossier di Paparesta, ora opinionista a Mediaset…, il trapianto di Rodomonti in Svizzera, il Puglisi ultrà milanista, il Copelli - e tutti gli altri - intimi di Meani) o in peccato più grave di un incontro al ristorante in giorno di chiusura, del potere di spostare le giornate di campionato e dei tentati taroccamenti di sorteggio (“non lo dovete fare” disse quel tale a Mazzei).
Sono gli stessi che hanno elevato un solitario ex capostazione ad entità di potenza superiore a capi di governo, banchieri e industriali. Gli stessi del rigore su Ronaldo dimenticando West, quelli del gò di Turone ma non di Mijatovic, quelli che dicono “sì, ma col Cagliari” ma che glissano sul resto (rigore non dato a Matri col Parma, a Marchisio contro l’Inter, i due di Catania, uno con la Fiorentina, i due in Coppa Italia, il mani di Vergassola, Vucinic a Lecce, gli scempi di Parma). Il tutto nel ponziopilatismo più completo su altre faccende (rigori pro-Milan a Bergamo, Genova, Bologna, mani di Seedorf, simulazione di Boateng, gol di Thiago Motta annullato e quant’altro).
Se poi volete i numeri, allora sbizzarritevi. Questo il saldo rigori post-2006 (pro-contro):

Inter 38-28
Juve 26-25
Milan 52-18
Roma 51-29

I dati parlano da soli, ma nessun opinionista si è mai sentito in dovere di indignarsi, né di annunciarlo a tutta pagina.
Chi comanda i media comanda il gregge e in Italia il bene telegiornalistico sportivo ha tutto l’aspetto di un fondo d’investimento comune, una sorta di libretto di risparmio condiviso e redditizio cui tutti - tranne uno - possono attingere. La Juventus in questo contesto, infatti, è un asset irrinunciabile: da una parte le si concedono titoletti ad effimero consumo, dall’altra la si sventra per servirla all’affamato di turno. La Juve è la cattiva contro la quale sognare riscatto, il Golia che ogni Davide può ambire a distruggere, è l’animus pugnandi dei fenomeni di provincia, dei Doni, dei Cossu, degli Zampagna e dei Lucarelli. E’ l’illusione di fare qualcosa contro il potere, l’inganno del libero arbitrio per chi del vero potere, quello che orienta il gregge, nemmeno avverte l’esistenza.
Per tornare agli arbitri, ecco cosa li influenza davvero. Ricordate Pieri a Pairetto? (intercettazione del 13.12.2004) “Figurati se davo un rigore alla Juve, mi fucilavano!”. Si riferiva proprio ai mezzi di informazione. Provate a digitare queste parole su Google, non troverete nessun articolo di Gazzetta, Corriere o Repubblica, ma solo blog e siti amatoriali a farne menzione.

Ci sarebbe da farne un libro, non un articolo, perché il processo di costruzione del mostro è opera quasi artistica, meritevole di studio. Fatevi queste domande:
Avete mai visto uno speciale televisivo su Marsiglia-Milan del ’91?
Chi si ricorda della meschina furberia in Atalanta-Milan di Coppa Italia 1990?
E del gol (pallone mezzo metro dentro) non dato al Bologna contro il Milan nella stessa giornata della monetina di Alemao?
L’hanno mai fatta una puntata de “La tribù del calcio” sulla nebbia di Belgrado?
Avete mai inteso sospetti televisivi sullo scudetto del 1988?
E un approfondimento in prima serata sui bilanci farlocchi o sulla vendita del marchio?
Una puntata di “Sfide” sugli ultimi scudetti interisti (quelli delle 53 partite senza rigori contro) o su quelli dell’epoca di Herrera (lì arrivarono a 99!)?
Un’analisi giornalistica sui favori nerazzurri nella Champions 2010?
Una puntata di “Report” sulle romane salvate dal fallimento?
Avete mai assistito a dibattiti sul caso Lentini e sui fondi neri del Milan (i tre olandesi patteggiarono pene pecuniarie, Galliani se la cavò grazie alla prescrizione, in seguito a una modifica legislativa promossa dal suo presidente)?
Avete mai visto qualcuno correre in Grecia ad intervistare Georgatos (presunte sostanze illecite negli spogliatoi interisti)?
Avete mai assistito a una telefonata all’espertone per chiarire i misteriosi rifiuti milanisti (ancora più misteriose le spiegazioni) di sottoporsi ai controlli del sangue?

Sono domande. Mica per accusare, mica per puntare il dito, sia chiaro. Ma solo – uso parole loro – per fare giornalismo, per informare il cittadino, per chiarire, approfondire, per dovere di cronaca, per il bene dello sport. E anche per l’etica, s’intende.
E perché, alla fine, bisogna chiedersi che cosa in realtà abbiamo visto. Vi aiuto a ricordare.
Avete visto la flebo di Cannavaro (all’epoca al Parma…), avete visto gli opinionisti del Processo del Lunedì, le moviole chilometriche della domenica sera, le pagliacciate delle tv locali, i salotti televisivi otto contro uno, l’acciaio scadente del nuovo stadio, il doping, le prostitute del Viva Lain. Ma ne avete viste anche di più curiose, talmente singolari che forse non le ricordate: all’epoca della Juve di Capello le classifiche, oggi inspiegabilmente sparite, del rapporto falli-ammonizioni, in cui inevitabilmente i bianconeri erano avvantaggiati. Nel periodo del Capello milanista, invece, la classifica era quella senza errori arbitrali in cui il Milan, già primo, era ancora più primo, il Foggia (casualmente rossonero) diventava secondo e la Juve precipitava dal sesto posto in giù. Avete anche visto Montero mazzulatore e la santificazione di Gattuso e Materazzi. Avete visto Vialli, Padovano e Iuliano sbattuti in prima pagina per faccende inesistenti o ancora tutte da chiarire (ma non avete mai sentito parlare di Paolo Maldini rinviato a giudizio per un’ipotesi di corruzione, o dei cinque mesi di condanna a Franco Baresi per truffa, o della figlia segreta e mai riconosciuta di Arrigo Sacchi). Avete visto titoli come “Ecco come truccavamo i sorteggi”, “Ecco le 29 partite falsate”, “Juve non così”, “Processateli”, “Juve, così non si può”, “Terrorizzati da Moggi”. Avete visto interviste assortite a chiunque gravitasse in orbita antibianconera (Zeman, Gazzoni Frascara, Travaglio, Boniek, devo andare avanti?) e persino all’ex presidente Cobolli, usanza questa diventata ormai ciclica (ma chi ha mai intervistato Pellegrini, Fraizzoli, Giussy Farina, Goveani e Tilli Romero?).
Avete visto di tutto. E anche peggio.

Adesso vi spiegate perché gli avversari contro la Juventus giocano tutti alla morte. Adesso capite in quale direzione fanno soffiare il vento dell’indignazione. Ora comprendete qual è la differenza tra il preparare le partite sul velluto oppure in mezzo alle polemiche e ai sospetti. I calciatori non sono macchine. Vivono nel nostro stesso ambiente, percepiscono il nostro stesso ambiente, un habitat frusto e ripetitivo dove le convinzioni sono poche, ma inattaccabili: lo spettacolo lo fanno il Milan, forse la Roma e sicuramente la simpatica di turno (provate a riempirvi la bocca declamando “Il Parma – o Chievo, o Udinese - gioca attualmente il miglior calcio in Italia”). La Juve… beh la Juve ruba e basta. Non deve protestare. Se gioca bene è un caso, perché è una squadra muscolare e operaia (quindi dopata, alluderebbero alcuni). Non è questione di singole stagioni o di singoli episodi, è un dogma radicato, preciso come il tg delle venti, rassicurante come un ovetto di cioccolato.

Dove vogliamo arrivare quindi? Per noi lettori, telespettatori e fruitori, da nessuna parte, se non proseguire nella strada già intrapresa (informarsi, non de-formarsi dietro a tv e giornali). A muoversi deve essere la Juventus, la società, l’establishment. L’obiettivo, infatti, non è quello di convincere gli altri o di sostenere verbalmente un’antitesi a fronte di una tesi dominante. Il risultato non si ottiene con ulteriori polemiche e fomentando dibattiti che, nel migliore dei casi, vanno a rinforzare lo status quo attuale. E’ necessario agire, nel vero senso del termine. Il calcio, come la vita, è un palcoscenico sul quale bisogna recitare. Una parte la si ha per forza, anche se non la si desidera. Il vero controllo, il potere reale è scegliere quale maschera vestire e saperla ben rappresentare.
E’ il momento di dire basta con lo stile Juve (che è solo uno dei tanti ammortizzatori ad uso e consumo dei soliti) e con l’accondiscendenza verso il mondo dell’opinionismo sportivo. Basta ai massacri gratuiti, ai processi settimanali, allo svisceramento maniacale di ogni cosa juventina e alla sua immancabile delegittimazione. Ma non deve essere un rifiuto da basso stomaco, quanto piuttosto un proposito da interiorizzare e recitare in silenzio: una presa di posizione definitiva, non un formula di facciata.
Lo sforzo è duro, tuttavia non impossibile. Un esempio: costa tanto dedicare due o tre persone che giorno per giorno vaglino e setaccino il panorama cartaceo e televisivo? E’ necessario monitorare ogni cosa e non lasciar passare niente. Si usino le querele (certe bocche si tappano solo con quelle), la diplomazia, la carota e il bastone. Si ingaggino esperti di comunicazione, si costruisca un marchio granitico, un business di valore assoluto e si facciano volare le sedie dove veramente conta. Si mandi in televisione solo chi è autorizzato dalla società e li si istruisca su cosa dire e quando (personalmente lascerei i salotti vuoti. Che i deliranti delirino, ma non in nostra presenza. Sogno una televisione juventina, gratuita, professionale ma gobba fino al midollo, che annulli ogni desiderio di abbeverarsi presso altre fonti). Ma che rimanga tutto nelle segrete stanze: senza uno spiffero, si agisca e basta.
L’occasione è fondamentale e il momento, anche se può non sembrare, è propizio. Le basi ci sono tutte: dalla solidità in campo a quella societaria, dalla rinnovata competenza tecnica alla passione sportiva. Non si faccia lo stesso errore già commesso in passato, un errore che ci costò carissimo e che spianò la strada verso Calciopoli: trascurare la comunicazione, non preoccuparsi dell’immagine di sé che si percepisce all’esterno. Senza un controllo su questo fronte può succedere di tutto. Questo è il passo definitivo per essere veramente grandi, purché lo si consideri, finalmente, come un obiettivo primario e irrinunciabile. Auguri Juve, preparati a drizzar le gambe ai cani.