Una giustizia sportiva a proprio uso e consumo

Abete e Palazzi"Non lo dico solo per me, ma per tutti, perché una cosa del genere può capitare a tutti. E dico un'altra cosa ai miei colleghi ed ai calciatori: oggi è successo a me e a tanti, domani può accadere a loro. Non mettiamo la testa sotto la sabbia, perché tanto è successo a lui, può succedere a tutti, e aprite gli occhi’.
Sono le parole con cui un Antonio Conte amareggiato e furioso come solo può esserlo un innocente condannato immotivatamente concludeva la sua conferenza stampa il 23 agosto 2012.
Parole profetiche, anche se bastava riflettere sui fatti con animo scevro da partigianeria per intuirne la fondatezza. Antonio non fu creduto, si preferì demonizzarlo per colpe mai commesse, e anche per il suo sfogo.
Adesso trovano un senso.

La Commissione Disciplinare, rimodulando le richieste di Palazzi, che aveva chiesto un anomalo -1 per il Napoli e 9 mesi per Cannavaro e Grava, ha sanzionato il club con un -2 (more solito, i -1 erano arrivati a seguito di patteggiamenti) e ha squalificato per 6 mesi per i due difensori.
Il Napoli strepita e non ci sta, ma la sanzione è dovuta al fatto che Gianello era un suo tesserato e la società, per il principio della responsabilità oggettiva, deve risponderne: che poi si tratti di una regola profondamente ingiusta, irragionevole e da rivedere è un altro discorso. Al club di De Laurentiis ha già risposto a suo tempo Abete: "Non abbiamo bisogno di chi vorrebbe una giustizia a proprio uso e consumo, di chi parla nella logica di non conoscere il sistema delle regole correndo così il rischio di dire cose che non stanno né in cielo né in terra. La sofferenza per certe decisioni può essere comprensibile, ma poi le sentenze vanno rispettate così come gli organi di giustizia sportiva che sono chiamati a un compito improbo, che è di dare dei giudizi, e hanno doti professionali idonee per farlo. Oltretutto non c'è accanimento verso nessun tesserato né motivo perché ci sia. Un giudice può giudicare bene o male ma non si può demonizzarlo, va sempre salvaguardato il rispetto dei ruoli e riconosciuta la funzione della giustizia che non è appiattita su interessi personali”.

E al Napoli è andata ancora di lusso, perché Mazzarri è rimasto fuori, a livello di omessa denuncia lui poteva non sapere: lui non è un accentratore come Conte, e dunque quel che accadeva nel suo spogliatoio non doveva interessarlo. Che poi anche l’omessa denuncia faccia parte del pacchetto giustizia da rivedere non cancella la disparità di trattamento riservata a Conte, e di riflesso alla Juve, che ha dovuto fare a meno del suo tecnico in panchina (ed è inutile dire che non conta, che dall’alto la partita si vede meglio e altre stupidaggini assortite) per quattro mesi, ivi compreso tutto il girone eliminatorio di Champions, con tutti gli interessi economici connessi.
Quanto alla squalifica dei due tesserati, 9 mesi o 6 mesi all’atto pratico non fanno differenza perché sarebbe stagione finita: può contare solo in virtù delle riduzioni che abbiamo visto piovere soprattutto dal Tnas.
Resta il fatto che ora tutti sembrano stracciarsi le vesti sulle iniquità della giustizia sportiva, mentre ben diverso trattamento fu riservato a Conte: fiumi di inchiostro e di parole quasi ad irridere che osasse ribellarsi ad un’ingiustizia, tutti a dire che c’era un pentito contrito e che cercare riscontri nella realtà era fatica peregrina; e guai a dire che i pentiti fossero comunque soggetti da maneggiare con molta cautela perché il loro pentimento non era esente da un tornaconto personale, la loro presunta redenzione sembrava un valore da tutelare a tutti i costi, altro che la necessità di avere la certezza al di là di ogni ragionevole dubbio per esprimere una condanna: principio calpestato anche dal Tnas (organo di quel Coni il cui numero uno, Petrucci, bacchettava le coscienza con infinite pantomime sull’etica ed è tuttora convinto che una giustizia sportiva ‘che non assolve’ sia vera giustizia, quasi che compito della giustizia stessa non sia cercare la verità ma solo un capro espiatorio).

Adesso, prendendo a pretesto il mancato coinvolgimento di Quagliarella, scagionato pubblicamente e a gran voce proprio dal pentito, si parla di diverso trattamento tra Napoli e Juve in base al diverso peso politico: ecco, questo è agghiacciante, questo lo è davvero. Agghiacciante e paradossale un’affermazione simile nei confronti di una squadra che da inizio stagione, una stagione che la vedeva alla prese subito con appuntamenti decisivi (dalla Supercoppa, proprio contro lo stesso Napoli, alla Champions), è stata letteralmente messa sotto pressione (oltre a Conte, c’è stata la vicenda di Bonucci e Pepe, una topica clamorosa, che nemmeno la ‘giustizia’ sportiva ha avuto lo stomaco di avallare), una mazzata anche psicologica che avrebbe ucciso lo spirito di qualsiasi gruppo: non di questi ragazzi, professionisti tosti dentro, alcuni dei quali, come Buffon e Chiellini, usciti ancor più temprati dalla catastrofe di Calciopoli: e al loro fianco il mister, che anche nei momenti più bui non ha mai perso la voglia di lottare, e un presidente che non ha ascoltato le ingannevoli sirene che lo esortavano a liberarsi di Conte e che, se reclamava, e reclama, una riforma della giustizia sportiva, non è per meri interessi di bottega, ma per una visione più alta, più istituzionale delle presenti istituzioni.

Di fronte a un sistema che ora De Laurentiis, come da mesi vanno facendo Agnelli e Marotta, definisce obsoleto, giustizia si traduce come equità, cioè uguaglianza di tutti davanti alle norme vigenti: il che non cancella e nemmeno annacqua le responsabilità di chi governa da anni un calcio defunto rispetto ai tempi in cui opera, sotto tutti i punti di vista, e ne dilaziona di volta in volta la riforma, mettendoci una toppa sopra l'altra, col risultato di farne un'arlecchinata: quindi, se ingiustizia vi è stata, è la disparità di trattamento per cui la Juve ha pagato subito, prima delle altre; Palazzi sul Napoli ha indugiato, e questo potrebbe anche aver salvato l’Europa League al club (in caso di penalizzazione non sarebbe stata a rischio?); e qualcuno ancora sta nel dimenticatoio, nemmeno esaminato (casi Mauri e Ranocchia), e si tratta di giocatori che militano in formazioni che lottano con la Juve, e più ancora col Napoli, per le prime posizioni; forse se ne parlerà in estate, bisogna aspettare Cremona e Bari e chissà chi, per Conte non si è aspettato niente e nessuno, uno sberlone e su in piccionaia; e c’era pure chi invocava una sorta di daspo e avrebbe voluto proibirgli financo l’ingresso a Vinovo, in casa sua.

Conte lo aveva gridato, in quella sua conferenza stampa dai toni accorati e accesi, ma lucida nei concetti: “Oggi è successo a me.. domani può toccare a voi!" Non ottenne solidarietà, troppo virulenta la meschinità del proprio orticello da difendere. E troppa l’invidia: “Antipatico perché vinco?”
E dunque, per chi ora si lamenta, vengono a fagiolo le parole di Medugno, il legale della Figc, un interprete dell’Abete-pensiero, il quale, di fronte ad un Agnelli che, a buon diritto sdegnato per la squalifica di Conte, chiedeva (e ancora, inascoltato, la sta chiedendo) una riforma della giustizia sportiva, ribatteva sprezzante: “Propositi di riforma non possono essere espressi solo perché sono coinvolti propri tesserati".

 

Twitter: @carmenvanetti1