FIGC commissariata? Sì, a patto che…

A cinque giorni esatti dall’assemblea elettiva che incoronerà il successore di Giancarlo Abete alla guida della Federcalcio l’incertezza sembra farla da padrone: Carlo Tavecchio resta il favorito numero uno, anche se un giorno sì e l’altro pure il numero uno dei Dilettanti deve fare i conti con società che annunciano un voto contrario, mentre Demetrio Albertini continua a sperare che la perdita di consensi del rivale gli permetta di risalire la china fino a realizzare un clamoroso sorpasso al fotofinish.
 
Eppure ora è emersa la possibilità di imboccare una terza strada: quella del commissariamento, caldeggiata dal presidente del CONI Giovanni Malagò con dichiarazioni che hanno lasciato intendere che il Comitato Olimpico nazionale sarebbe pronto a prendere in mano la situazione nel caso in cui si dovesse determinare una spaccatura che impedisca di mettere in atto quelle riforme di cui il calcio italiano ha bisogno da diversi anni.
 
Malagò potrebbe dunque emulare (in prima persona oppure attraverso un suo uomo di fiducia) quanto fatto tredici anni fa dal suo predecessore Gianni Petrucci, che gestì la fase di transizione in FIGC a cavallo tra la presidenza di Luciano Nizzola e quella di Franco Carraro, anche se il precedente non è certamente di buon auspicio. Intanto perché il commissariamento di Petrucci ricoprì il ruolo di trait d’union tra due gestioni che esprimevano lo stesso gruppo di potere (basti pensare che, negli anni in cui Nizzola presiedeva la Federcalcio, Carraro presiedeva la Lega); ma soprattutto è bene ricordare che in quei mesi il calcio italiano si ritrovò a fare i conti con vicende spinose come Passaportopoli (vicenda che terminò a tarallucci e vino anziché produrre, a termini di regolamenti federali, stangate nei confronti delle società coinvolte, ma che soprattutto produsse l’ormai famosa sentenza retroattiva della Corte Federale che permise alla Roma di schierare Nakata nel match-scudetto giocato contro la Juventus appena due giorni più tardi) e la denuncia dell’allora patron del Napoli Giorgio Corbelli circa la contemporanea proprietà, da parte di Calisto Tanzi, di due società di Serie A ovvero Parma e Verona (vicenda poi confermata da successive sentenze della magistratura ordinaria che ha indagato sull’affare Parmalat e che, poiché i regolamenti federali vietano al medesimo soggetto il controllo di due società militanti, avrebbe dovuto sancire la retrocessione per illecito sportivo della società ducale e di quella scaligera).
 
Dunque, se alla fine commissariamento dovesse essere, Malagò lo organizzi all’insegna della discontinuità con il passato. Casi come quello di Petrucci nel 2001, quello dello stesso Carraro nel 1987 (all’indomani del secondo scandalo del calcioscommesse, scoppiato un anno prima) e quelli di Guido Rossi e Luca Pancalli tra il 2006 e il 2007 hanno insegnato come spesso commissariare la Federcalcio abbia significato calmare le acque per poi ripristinare, magari con qualche timido cambiamento di facciata, il precedente status quo. E questa è decisamente l’ultima cosa di cui il calcio italiano ha bisogno in questo particolare momento storico…