Odio calcistico e razzismo: dal dopo Juve-Roma a Carlo Tavecchio

Non capirò mai la sottile distinzione tra “razzismo” e “accoltellare un tifoso avversario” con il motivo di quello che si potrebbe definire "odio calcistico". Perché, allo stato delle cose, sembra che il razzismo sia fare il verso della scimmia ad un giocatore nero (e va punito duramente), mentre tirare sassi o, addirittura, colpire con vere e proprie armi i tifosi avversari, tra insulti di ogni genere, è “solo” delinquenza.
Faccio un esempio: il CSKA di Mosca dovrà giocare a porte chiuse i prossimi tre match casalinghi di Champions League, dal momento che nel corso del match contro la Roma, disputato allo Stadio Olimpico, i suoi supporters si sono resi protagonisti di comportamenti razzisti, punibili secondo l’art. 14 dei Regolamenti Federali UEFA (oltre che di intemperanze e lancio di fumogeni, come da art. 16). Decadute, invece, le accuse di lancio di fumogeni e di organizzazione insufficiente (art. 38 regolamento Sicurezza UEFA) per la Roma. Niente da dire, sia chiaro: i giallorossi sono talmente forti che non fa alcuna differenza se un’avversaria del girone resterà senza supporters nel match di ritorno; e niente da eccepire sulle sanzioni comminate ai russi, il cui comportamento non può trovare certo giustificazioni. Tuttavia, appare lacunosa la valutazione del quadro complessivo se non si considerano, come evento scatenante dei fatti successi all’interno dello stadio, quei soliti scontri che da anni infiammano i dintorni degli impianti calcistici italiani, specie in alcuni importanti palcoscenici, e che vengono sempre etichettati come “episodi” di “delinquenza” e che “non hanno niente a che vedere con il calcio”.
Sebbene questa vicenda sia stata qui presa in considerazione come il più recente esempio di applicazione delle norme antirazzismo, ma che non fanno piena chiarezza su di una vicenda più complessa, viene da chiedersi se le manifestazioni di violenza (o meglio, di odio calcistico”) nei pressi dello stadio possano davvero essere escluse dai provvedimenti  e mai catalogate come “razzismo”. Il razzismo non andrebbe inteso, a mio avviso, solo con l’odio (e le sue estrinsecazioni) verso persone con colore diverso della pelle, ma, più in generale, contro ogni categoria di individui, che per talune caratteristiche (fisiche, religiose, culturali) non appartengano ai canoni accettati dal gruppo. Il concetto di “violenza nel calcio”, tuttavia, soprattutto se gratuita e difficilmente motivabile, oltre ad intersecarsi – solo a volte - con il razzismo, meriterebbe qualcosa in più di una condanna unanime che puntualmente resta senza adeguati provvedimenti.
L’UEFA, dal 2013 ha inasprito le pene da comminare alle società ed agli stadi in seguito a manifestazioni di razzismo, nell’ambito di un progetto che va certamente elogiato, quanto meno negli intenti. Si prendano da esempio l’entrata in campo dei calciatori con lo striscione “NO TO RACISM” e l’analoga campagna pubblicitaria in cui si susseguono i diversi volti dei più grandi campioni europei, a voler dimostrare che non è il colore o l’aspetto di un uomo a farne il suo valore. Simbolicamente e mediaticamente è forte, e credo che nel giro di qualche anno/decennio, la cultura, almeno quella calcistica, possa cambiare, con le buone o con le cattive.
Addirittura in Italia si è dovuto studiare un escamotage:  il termine (ed il corrispondente reato) di “discriminazione territoriale”, per far rientrare in pseudorazzismo chi viene insultato non per il colore della pelle, ma per la provenienza geografica. Unico vero  e proprio caso accaduto, peraltro plurimo e reiterato, è quello del Napoli, dove un’intera tifoseria viene spesso derisa per i trascorsi di epidemie di patogeni intestinali e con l’augurio di immani catastrofi naturali. Non c’è niente da ridere, è ignoranza (soprattutto quando poi in campo scendono, nella propria squadra, i vari Quagliarella o altri uomini che hanno vestito la maglia azzurra), ma ancora una volta, a mio avviso,  il problema non viene centrato nemmeno di striscio.
Sia chiaro, il razzismo non è opinabile. Va condannato sempre!
Quella che, invece, andrebbe colpito con maggior vigore è la violenza, ossia quell’insieme di manifestazioni delittuose che scaturiscono dall’odio calcistico (…l’odio calcistico…in che mondo siamo finiti?!). Sassaiole, cariche contro polizia o steward, accoltellamenti, lancio di oggetti in campo, minacce a calciatori e società da parte degli ultras, pestaggi e risse negli autogrill, teppismo e vandalismo negli stadi. Per favore, non diciamo che col calcio non c’entrano niente. Potrà anche essere solo un pretesto, ma è più che sufficiente, evidentemente, a creare scompiglio, se non danni e vittime. E quante volte in TV ci dobbiamo sorbire celebri soloni che spiegano come il problema sia la società, ecc, ecc… Facciamoci un piacere, smettiamo di credere a questa fesseria! Quindi i giornali, dal canto loro, non sono mai responsabili? Ma può essere possibile che in Italia la maggior parte dei cittadini non abbia ancora capito il potere della propaganda (e di esempi storici se ne potrebbero fare parecchi)?
Le masse si infoiano tra di loro, mentre deve essere certamente edificante leggere “CAMPIONATO FALSATO” al posto di un ben più obiettivo “GRANDE MATCH! Le decisioni opinabili dell’arbitro Rocchi sono l’unica pecca in una grande serata di calcio” oppure “L’ITALIA C’È! Il calcio italiano ritorna grande”. No. Meglio gridare allo scandalo. Tanto chi ci casca sono solo gli ignoranti (che poi mica sono quelli che tirano i sassi? Bah…).
Il sentimento che trasuda da certa carta stampata è orientato all’odio, verso l'una o l’altra compagine, ma in questi giorni è tornata palpabile l’aria che si respirava negli anni ’80 e ancor più durante il regno di Moggi, il cui
 fantasma si è ora impossessato del perfido Andrea Agnelli, addirittura peggiore dell’abile ex-DG (Travaglio dixit, ma questa è un’altra storia).
A niente valgono le uscite mediatiche di Pavel Nedved e dell’AD Marotta, che condannano le parole degli addetti ai lavori, ma che, per obblighi televisivi, restano imbrigliate in una matassa di slogan e grida da parte dei più celebri ed attivi antijuventini incalliti.
Non si capisce se il lavoro del giornalista si sia evoluto in quello dell’opinionista; ciò che appare palese è che a priori arriva il giudizio e solo poi il racconto dei fatti, ormai alterato dalla prima sparata. Così non va, ed il rischio che il pentolone esploda un’altra volta è ben più che una semplice supposizione. Interrogazioni parlamentari sui fatti di Juve-Roma (ma se i problemi dell’Italia fossero questi, cari miei, potreste pure chiedere al Consiglio di Sicurezza dell’ONU che  bip-bip venga fatto fuori nell’ultima puntata), le parole sibilline del pupone, di facchettiana memoria (“quando smetterò, parlerò e dirò di più, ora non posso”), le moviole a ciclo continuo che omettono sistematicamente gli episodi che penalizzano la Juve, sono solo i primi esempi che mi sovvengono.
E per favore, non diciamo che è “solo calcio”, dato che l’azienda del pallone muove milioni, se non miliardi, di euro, in tutta Europa, ha tifosi ovunque (giornalisti e politici compresi), richiede l’impegno (e la relativa retribuzione statale) di numerosi agenti delle forze dell’ordine ad ogni evento calcistico, rappresenta il sogno dei ragazzini e dovrebbe essere l’esempio ed il modello per i giovani, dal momento che è lo spettacolo più seguito, almeno in Italia. Chi lo rovina non sono certo gli arbitri, né Moggi, ma chi ci guadagna attraverso falsi scoop o indagini mediatiche, forti come una bolla di sapone, e limpide come un pozzo di petrolio, che vengono gettate in pasto ai tanti appassionati che lo seguono e che non hanno sempre il tempo di approfondire.
Per ritornare al culmine della faccenda, alla distinzione o alla commistione di razzismo e clima di odio. È giunta in questi giorni la notizia che la Commissione disciplinare dell’UEFA ha formalmente inibito Carlo Tavecchio, presidente FIGC, “dal partecipare al Congresso della UEFA in programma il 24 marzo 2015 e ad astenersi altresì dal partecipare o dal farsi nominare in eventuali Commissioni UEFA per un periodo di sei mesi”.  
Ditemi voi come si fa ad andare avanti in un calcio simile, in cui chi governa non è in grado di rispettare una norma così importante, e chi deve informare lancia campagne denigratorie e violente, talvolta colme di fini allusioni pur di evitare guai giudiziari.
Un calcio italiano che sta per rimettere le basi nel calcio che conta, grazie a società accorte e serie, dopo gli sfaceli prodotti dalla più mediatica delle indagini (calciopoli), dopo il fallimento, sul campo, del mecenatismo, dopo il buio nel ranking UEFA… la lezione non è ancora stata imparata, ed ecco che esperti e vertici federali continuano a far di tutto pur di affossare nuovamente il giocattolo, perché da che mondo è mondo, in Italia, l’interesse personale vale più della costruzione di un futuro glorioso.
Non male come biglietto da visita!