L’Etica vittima della storia di Calciopoli

facchetti

L’Etica è una vittima incosciente della Storia, diceva nel 1980 Franco Battiato (Venezia-Istanbul): e la storia recente di Calciopoli, con tutto quel che ne è seguito, a livello mediatico e istituzionale ha dimostrato che non son solo canzonette. In questa brutta vicenda (e che lo sia lo spiegano, sgombrando dubbi e illazioni, le motivazioni della sentenza di Napoli, che affondano duri colpi alle indagini e raccontano di un campionato regolare, come Sandulli sapeva dal 2006), a cercar di salvare capra e cavoli e giustificare quella che ormai andava acclarandosi come una trucida farsa, è stata fatta irrompere l’etica. Così sempre Sandulli, il 10 febbraio del 2010, ebbe a dichiarare a ‘Tuttosport’: “Punim­mo la violazione di norme interne, nel 2006. In fondo anche noi, nella nostra sentenza evidenziammo soprattutto cattive abitudi­ni, mica illeciti classici. Si doveva far capire che quello che c’era nelle intercettazioni non si fa. E’ stata una condanna etica.“.
Quindi niente illeciti (ma si sapeva, lo sapevano tutti, tranne… Zaccone) e, dice la sentenza di Napoli, campionato regolare. Le conseguenze sono sotto i nostri occhi: una Juve distrutta (e umiliata).

Però gli illeciti poi sono emersi: non a carico della Juventus, no… sorpresona, a carico dell’illibata Inter cui, per premiarla della sua eticità molto presunta (anche perché patenti e passaporti taroccati non sono propriamente diplomi di moralità) e poi sconfessata dai fatti, si permise al suo supertifoso Guido Rossi di regalare quello scudetto che i Vampeta, i Gresko e i Sorondo non erano stati in grado di conquistargli.

E quando la Storia di Calciopoli è emersa nei suoi reali contorni, ha ucciso l’Etica: perché ci hanno riempito la testa con il proclama di Abete che raccontava di un’etica che non va mai in prescrizione. E d’un tratto l’impunibilità dell’Inter, causata da intollerabili lungaggini e omissioni della giustizia sportiva, ha causato la morte dell’Etica.
Risultato: chi ha commesso illeciti ha accumulato titoli (e danaro), chi aveva qualche cattiva abitudine ha subito l’onta della B e danni morali e materiali enormi. Una sconfitta non solo dell’etica, ma anche e soprattutto della Giustizia.

Ma siccome la Storia ci ha insegnato che si può anche uccidere un uomo morto, alla defunta etica si è tentato di assestare il secondo colpo mortale, quando si gridò all’immoralità di aver osato, da parte del procuratore federale Palazzi, accendere la luce su fatti prescritti, per di più attribuendo le responsabilità del caso anche a Giacinto Facchetti, che purtroppo nel frattempo era prematuramente deceduto. Come se ad essere in discussione non fossero fatti e azioni, ma le persone in sé e per sé: nessuna legge potrà mai punire chi ha già subito quella pena suprema che è la morte, ma le azioni di ciascuno di noi ci sopravvivono, nel giudizio dei posteri.

Indignazione in casa nerazzurra con gigantografie del loro ex presidente effigiato in tutte le sedi, su siti, magliette e quant’altro: i defunti riposino in pace.
Anche se ieri qualcuno ha cercato di sollevare la pietra tombale: alla prima udienza del processo intentato dall’ex arbitro Massimo De Santis all’Inter, accusata di essere la mandante del dossieraggio compiuto dalla Polis d’Istinto di Cipriani, sembra, a leggere quanto ne anticipa Tuttosport, che l’operazione di intelligence fosse seguita dal solo Facchetti, presentato come, all’epoca, solo un vicepresidente senza nessun potere di commissionare dossiers. Per una volta il nome di Facchetti non è stato fatto (e usato) da chi accusa l’Inter di qualcosa, ma dalla stessa Inter per difendersi in una causa danni. Per la quale peraltro invoca la prescrizione. Ma questo è un marchio di fabbrica ormai.

Questa dei dossieraggi illegali (che riguarda Vieri, De Santis, Moggi e la stessa Juve) è una faccenda da seguire con attenzione, per capire chi sia la vittima e chi il mostro. Perché la storia, dice Palahniuk, “si divide in mostri e vittime. E testimoni”. Ma qua un paio di possibili testimoni (Facchetti e Bove, per ragioni diverse) non ci sono più.

 

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