Per noi sarà sempre Farsopoli

moggi

Calciopoli come Moggiopoli: ovvero come la vede, la vuol vedere, il sentimento popolare che incarna l'Italia anti-juventina. E' l'anti che conta, il pro non importa. Tutti uniti contro quella banda di truffatori (Moratti docet), contro quelli che hanno sempre rubato. Hanno rubato all'epoca d'er gò de Turone (non importa che non fosse ancora tempo di Triade, era la stessa stirpe, e poi l'arbitro era nientepopodimeno che Paolo Bergamo, cupolante ante litteram); hanno rubato all'epoca del fattaccio tra Iuliano e Ronaldo, avranno rubato, senz'altro, solo che nessuno ancora sembra esser riuscito a risalire al come, il 5 maggio 2002, hanno rubato nel 2004-2005 (perché Moggi telefonava: ma sicuramente non fu lui a parlare al telefono con Collina durante la partita di pallanuoto svoltasi a Perugia il 14 maggio 2000; chi fu... non lo sapremo mai... manca l'intercettazione); ha rubato nel 2005-2006 (si, è vero, non è un campionato sotto indagine, ma. vabbè, si possono mai mettere insieme 91 punti così? Bisognerebbe avere uno squadrone straordinario... già, come la corazzata Capello).

Calciopoli come Farsopoli: ovvero come la vede il popolo bianconero, e non d'istinto, per puro atto d'amore e di fede, ma dopo aver studiato, per anni. Sì, perché Farsopoli ha costretto chi vuol bene alla Juve a studiare, per capire cosa e come si fosse consumato e perché: semplici tifosi hanno spulciato, analizzato, interpretato, approfondito documenti di ogni genere, codici, regolamenti, sentenze, bilanci, hanno seguito passo passo un intero processo, in tutte le sue sfaccettature. E più studiavano più capivano e si arrabbiavano, anzi inorridivano di fronte all'obbrobrioso scempio che, in virtù di un'assurda rete di connivenze, era stato perpetrato ai danni non solo della loro fede ma anche della storia di una società gloriosa, ma anche della verità stessa. E, per arrivare a tanto, si è usato Moggi come chiavistello. Del resto lo afferma pure il collegio giudicante di Napoli che ha ammesso che si è badato solo a "correre dietro ai misfatti di Moggi, dei quali sono state accertate modalità quanto alle frodi sportive, al limite della sussistenza del reato di tentativo, con conseguente ulteriore difficoltà di aggancio alla responsabilità del datore di lavoro". Una dizione che porta ad assolvere la Juventus e a motivare una condanna molto severa come quella inflitta a Luciano Moggi con un esercizio di equilibrismo dialettico-giudiziario: anche se, ripensandoci a posteriori, è vero che molto di più e di meglio non ci si poteva attendere da un collegio spaccato al suo interno, dilaniato da strani veleni che avevano già indotto le tre a fronteggiarsi a muso duro nella querelle poi conclusasi con la censura inflitta alla dottoressa Casoria, quando invece il primo presupposto per un giudizio equanime è l'assoluta serenità d'animo di chi è chiamato ad emetterlo.

Moggi era diventato sin da subito il mostro da mettere in prima pagina, metodo utilissimo, da sempre e in ogni contesto, a placare la 'sete di sangue' di chi deve assolutamente trovare un colpevole, non importa chi, per una situazione che gli va storta. E una Juve che prometteva di dominare ancora per molti anni andava storta a molti, a troppi.
E la paternità di questo strapotere calcistico venne tolta al campo e allo squadrone di Capello per attribuirla alla vera icona di Farsopoli, Luciano Moggi col telefonino attaccato all'orecchio. Quel Moggi che ora la giustizia sportiva italiana, salendo su su per tutti i suoi gradi, fino al suo vertice, l'Alta Corte di Giustizia del Coni, ha espulso definitivamente dal suo mondo. Anche se nessuno sa spiegare bene di cosa sia davvero concretamente responsabile. Non ha truccato partite, perché nessun risultato è stato alterato, i sorteggi non erano truccati, le ammonizioni mirate non era tali. E dunque? La Juve non ci ha guadagnato. Avrà preso soldi? Niente da fare neanche qua, nessun passaggio di denaro, come invece sta accadendo in Scommessopoli. Che cosa avrebbe fruttato dunque la fantomatica cupola? E' un vero mistero, quasi fosse tutto un gioco. C'è di più: esistevano altre telefonate, segnalate dai carabinieri coi famosi baffi, ma mai trascritte; perché non riguardavano il mostro, appunto. Fa niente se a livello di contenuti (come poi ha avuto a riconoscere persino Palazzi, troppo tardi) alcune, segnatamente quelle dell'Inter santificata, erano addirittura più gravi di quelle di Moggi: il mostro era già stato individuato e sbattuto in prima pagina, il resto, cioè tutta la verità, nient'altro che la verità, i Carabinieri di Auricchio furono chiari da subito con l'assistente Coppola, 'non interessa'.

Ben si capisce dunque che la radiazione di Moggi sancita dall'Alta Corte del Coni con tutta una serie di tiramolla, autentici sbuffi di fumo negli occhi (a dire: 'Vedete, abbiamo guardato tutto, ma non c'è verso...'), fosse inevitabile, il cappellino sulla testa di Calciopoli. Quella in versione Moggiopoli, naturalmente. Quella che ha visto le incompetenze dei vari gradi della giustizia sportiva financo a togliere all'Inter lo scudetto di cartone per manifesta ineticità... Un amaro calice che tutti noi abbiamo bevuto sino in fondo.
Ma non è certo finita, per Moggi come per la Juve. E men che meno per noi, naturalmente.

 

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