Farsopoli

Calciopoli, la resa dei conti

Ci siamo. Con la pubblicazione delle motivazioni del giudizio che la Corte di Cassazione aveva emesso il 23 marzo, si conclude la vicenda penale di calciopoli. Quelle motivazioni porteranno a prendere atto anche della conclusione della vicenda sportiva, o alla sua riapertura e riscrittura? Ora, più che analizzare parola per parola, punto per punto, cosa ci sia nelle motivazioni (compito che lasciamo ai legali della società Juventus), ci interessa rispondere ad una domanda: cosa serve per riaprire la vicenda sportiva di calciopoli? Alla Juventus, in sostanza, serve che tutti gli atti e le carte dei processi penali di Napoli, comprese le intercettazioni portate alla luce dalle difese e le sentenze che hanno di fatto smontato i capi d'accusa del processo sportivo del 2006, siano compresi in una sentenza definitiva: il giudizio di Cassazione.
 
Articolo 39. Anche le sentenze sportive del 2006 sono definitive, in quanto passate in giudicato. E confermate, in funzione del fatto che la Juventus del 2006 (presidenti prima Grande Stevens, poi Cobolli Gigli) rinunciò colposamente all’impugnazione delle stesse nell’agosto 2006. La strada percorribile per il superamento di quelle sentenze sportive definitive (la retrocessione e la sottrazione degli scudetti) è quella di richiederne la revocazione, avvalendosi di quanto previsto dall'art.39 del Cgs, puntando ad ottenere la revisione del processo sportivo. L'art.39 del Cgs prevede la possibilità di riaprire procedimenti anche già chiusi e inappellabili, in presenza di nuovi elementi decisivi (scoperti dopo la sentenza o omessi all'epoca della stessa), o nel caso in cui prove incriminanti siano state riconosciute non veritiere successivamente ai verdetti sportivi. Così come per l’assegnazione degli scudetti, anche per appellarsi alle sentenze sportive mediante l'art.39 non ci sono termini di prescrizione. L'impugnazione per revocazione va richiesta alla Corte federale entro 30 giorni dalla certificazione dei nuovi elementi. E la sentenza, eventualmente riformata dopo la revocazione da art.39, non è più impugnabile.
 
Motivi delle condanne. Questi sono, in sintesi, i motivi per i quali la Juventus fu condannata per illecito sportivo nei processi sportivi del 2006:
- condizionamento del settore arbitrale, attraverso contatti indebiti e esclusivi, e incontri riservati;
- condotta aggressiva e "sequestro" nei confronti dell'arbitro Paparesta;
- comportamento sleale (art.1 del Cgs) per Juventus-Lazio (era stato richiesto illecito sportivo, art.6 del Cgs);
- comportamento sleale (art.1 del Cgs) per Bologna-Juventus (era stato richiesto illecito sportivo, art.6 del Cgs);
- comportamento sleale (art.1 del Cgs) per Juventus-Udinese (era stato richiesto art.1 del Cgs);
- condizionamento delle griglie arbitrali e alterazione dei sorteggi, con la complicità del designatore;
- atti diretti ad alterare le gare attraverso ammonizioni "preventive" pro-Juventus;
- alterazione della classifica del campionato 2004/05, anche senza alterazione delle partite.
 
Illecito strutturato. Le sentenze sportive sanciscono che non ci furono partite alterate. Ma che la Juventus aveva conseguito effettivi vantaggi di classifica, anche senza alterazione delle singole partite. Va precisato che non fu ravvisato alcun illecito sportivo in nessuna delle partite, e che l'illecito strutturato per il quale la Juventus fu condannata non era comunque ancora contemplato dal Codice di giustizia sportiva. Non essendoci partite alterate da parte della Juventus, la Caf (presidente Ruperto) affermò che la sommatoria degli artt.1 del Cgs era stata comunque funzionale al conseguimento dell’art.6, e quindi alla realizzazione dell'illecito sportivo. La Corte federale (presidente Sandulli) disse invece che i comportamenti scorretti da art.1 erano non da sommarsi algebricamente, ma da considerarsi come ineliminabili tasselli strumentali nella realizzazione dell’illecito da art.6, definendo inoltre come concettualmente ammissibile l’assicurazione di un vantaggio in classifica che prescinda dall'alterazione dello svolgimento o del risultato di una singola gara. Nessuno spiegò mai come questo fosse possibile realizzarlo nella pratica.
 
Aborto giuridico. Così definì la sentenza del 2006, nel corso di un intervento televisivo, il compianto giudice Corrado De Biase, che era stato capo dell'ufficio indagini all'epoca dello scandalo scommesse del 1980. "Bisogna avere, innanzitutto, il coraggio di affermare una realtà: il procedimento di questa estate ha partorito un autentico aborto giuridico. Quando parlo di "aborto giuridico" mi prendo la piena responsabilità di ciò che dico. Quando si vuole espletare in due settimane un procedimento che richiederebbe almeno 6 mesi solo per un corretto iter investigativo, non può che venir fuori un aborto giuridico. Quando si cassa, per motivi di tempo, un grado di giudizio, quando si impedisce agli imputati di portare testimoni, dossier e filmati in loro discolpa, ma gli si concede solo 15 minuti per una arringa difensiva, non si può che parlare di aborto giuridico. Quando non si concedono agli avvocati difensori degli imputati i testi integrali delle intercettazioni, adducendo che non sono pertinenti, si può solo parlare di aborto giuridico. Quando, infine, si disassegna un titolo ad una squadra, la Juventus, per assegnarlo ad un'altra, l'Internazionale, prima che sia pronunciato il verdetto del primo iter istruttorio, allora siamo ben oltre l'aborto giuridico. Non è un problema di giustizia ordinaria o sportiva: in ogni paese che si definisca civile eventuali pene e sanzioni devono essere comminate dopo che sia stato verbalizzato un verdetto di colpevolezza, mai prima. E non venitemi a parlare di normative Uefa o di liste da dare alla stessa per le coppe europee: i diritti degli imputati, tra cui quello di potersi difendere con i mezzi che l'ordinamento mette loro a disposizione, vengono prima di una partita di calcio. (...) Io, per conto mio, posso solo ribadire il concetto già espresso: una penalizzazione di 8/10 punti, una multa e la squalifica di Moggi e Giraudo per 10-12 mesi: questa era la pena congrua, a mio parere. Ogni parallelo con la vicenda del 1980 è improponibile: qua non ci sono tracce di illecito, né di denaro o assegni. L'illecito ambientale non è un reato contemplato da nessun codice, a meno che non si parli di inquinamento atmosferico.". Il dottor De Biase nel suo intervento parlò anche del ruolo della proprietà Juventus nella vicenda. Abbiamo omesso quella parte (che condividiamo), in quanto tema che abbiamo già trattato ed evidenziato in numerose occasioni, fin dall'inizio di questa grottesca vicenda.
 
Incongruenze. Giusto per ricordare quale fosse il clima di nove anni fa, abbiamo provato a riassumere quali siano state le maggiori incongruenze dei processi sportivi dell'estate 2006:
a) Gli atti, ancora coperti dal segreto istruttorio, furono consegnati ad un privato cittadino (Borrelli non era ancora entrato in carica).
b) La "scomparsa" delle telefonate (anche quelle contrassegnate con i tre “baffi rossi”) di altre società. Fu la Procura di Napoli a non girare quelle intercettazioni alla Procura federale, o fu invece la Figc a non considerarle, pur avendole ricevute? Esiste un atto che elenchi e descriva per filo e per segno il materiale probatorio che la Procura di Napoli consegnò alla Figc, rendendo possibile sapere cosa sia stato consegnato?
c) Sono state effettuate più di 171.000 intercettazioni, ma a processo ne furono utilizzate, contro la Juventus, poche decine. Qualcuno si sarebbe potuto e dovuto chiedere cosa ci fosse nelle restanti.
d) L’eliminazione di un grado di giudizio (il processo iniziò dall'appello). Venne saltato a piè pari il primo grado dell'iter di giudizio, la Commissione disciplinare, cominciando invece dall'appello, la Caf, e concludendo poi con la Corte federale. In violazione dell'art.37, comma 1, del Cgs.
e) La nomina dei giudici a processo iniziato: una vera e propria aberrazione del diritto.
f) La requisitoria del Pm, con la richiesta delle condanne, fu pronunciata prima della fase dibattimentale, in violazione dell'art.37, comma 6, del Cgs.
g) Venne rigettata l’istanza delle difese, contrarie all'utilizzo delle intercettazioni in quanto non ammissibili. Il processo sportivo di calciopoli si basò esclusivamente sulle intercettazioni, ma l'art.270 del Cpp prevede che le intercettazioni non possano costituire unico elemento di prova al di fuori del procedimento per il quale sono state disposte (quello penale).
h) Insufficiente il tempo concesso agli avvocati, senza consentire di fatto l’esercizio del diritto alla difesa, diritto sancito dalla Costituzione. Il processo alla Caf durò cinque giorni, quello alla Corte federale soltanto quattro. L’accusa poté visionare e studiare a lungo il materiale processuale (migliaia di pagine di tabulati telefonici), le difese lo dovettero fare in poco più di una settimana.
i) Limitatissimo il tempo concesso alle difese per controdedurre all'accusa. Addirittura, massimo 15 minuti per le arringhe difensive.
l) Agli accusati non venne riconosciuto il diritto di produrre testimoni in aula, né dossier o prove a discarico. Alle difese non fu nemmeno permesso di far visionare le immagini delle partite che sarebbero state "truccate". Come si dimostra la regolarità o meno di fatti calcistici senza poterli visionare?
m) In assenza di illeciti, l'invenzione di un reato sportivo inesistente: il cosiddetto illecito strutturato. L'illecito ambientale (o illecito strutturato) è un reato non contemplato dal Cgs.
n) Il patteggiamento "anomalo", proposto dal giudice Ruperto (e non dal Pf) al legale della Juventus, l'avvocato Zaccone, che disse di considerare "congrua una serie B con penalizzazione”, riferendosi in realtà ad una pena identica a quella delle altre squadre.
o) La sentenza della Caf venne anticipata (e azzeccata quasi alla lettera), un paio di giorni prima, dalla Gazzetta dello Sport.
p) La revoca alla Juventus di uno scudetto vinto in un campionato mai messo sotto inchiesta.
q) L'assegnazione di quello stesso titolo (a chi non ne aveva le caratteristiche "etiche" richieste) senza atti ufficiali, con un comunicato stampa, nottetempo.
r) Mario Serio, uno dei giudici della Corte federale, a proposito del criterio utilizzato per le sentenze, disse: "Abbiamo cercato di interpretare un sentimento collettivo, abbiamo ascoltato la gente comune e provato a metterci sulla stessa lunghezza d’onda.".
 
A cosa serviva. Calciopoli sembra essere stato il tentativo, peraltro goffo e riuscito solo in parte, di stravolgere per via giudiziaria gli equilibri sportivi ed economici del mondo del calcio italiano. Equilibri stabiliti dal campo e, come dimostrato dagli stessi processi (sia sportivi sia penali), da null'altro. In funzione di calciopoli, alcuni sono stati ingiustamente premiati, a danno di chi storicamente vinceva perché più bravo, più organizzato, più capace. Una irripetibile coincidenza di interessi tra fattori interni ed esterni al mondo Juventus (già descritti in varie occasioni) ha permesso la realizzazione di quella che, più che ad una farsa (come viene spesso definita) somiglia ad una vera e propria truffa. Dal punto di vista processuale, invece, tanto nella sua parte sportiva quanto in quella penale, calciopoli sembra davvero stata un pasticcio "all'italiana", pieno di incongruenze e contraddizioni. Ma anche di illazioni prive di riscontri, valutazioni non oggettive, presunzione di comportamenti non verificati e fatti oggettivamente non veri.
 
Cosa rimane. Praticamente nulla. Gli atti e le sentenze dei processi penali, e l'ascolto (grazie all'operato del collegio difensivo di Moggi) delle intercettazioni inizialmente "scomparse", hanno di fatto sgretolato tutti i capi d'accusa dei processi sportivi che avevano determinato la condanna della Juventus:
- nessun rapporto esclusivo con i designatori: quanto mostrato nel 2006 era meno che parziale;
- nessun condizionamento del settore arbitrale e nessuna punizione per nemici o premio per amici;
- nessun sequestro nei confronti di Paparesta: leggenda metropolitana, il fatto non sussiste;
- nessun condizionamento delle griglie arbitrali: tra vincoli e preclusioni, non c'erano molti dubbi;
- niente alterazione dei sorteggi: colpi di tosse e palline ammaccate sono da avanspettacolo;
- niente ammonizioni preventive: le ammonizioni mirate pro-Juve non sono mai esistite;
- il campionato 2004/05 non risulta essere stato alterato, nemmeno dalla fantomatica "cupola".
 
Cosa farà la Juventus. Come detto inizialmente, siamo arrivati al momento della resa dei conti. Ora tocca ai legali della Juventus analizzare ed interpretare il contenuto delle motivazioni del verdetto di Cassazione, per verificare quali siano gli elementi che possono essere utili alla causa. Se vi sono compresi tutti gli atti e le carte dei processi penali di Napoli, sentenze comprese, e le intercettazioni ("sconosciute" nove anni fa) riportate alla luce dalla difesa di Moggi, c'è tutto ciò che può servire per agire nella direzione da sempre auspicata e perseguita: smontare le sentenze del luglio 2006 e fare tutto il possibile per riportare a casa gli scudetti ingiustamente cancellati dalla giustizia sportiva. Ovvio che per la Juventus si tratti anche di una battaglia politica verso la Figc. Una battaglia complessa, anche in funzione delle contrapposizioni prima con Abete poi con Tavecchio. L'attuale presidente della Federazione, al di là di alcune dichiarazioni ondivaghe, appare desideroso di evitare lo scontro frontale, più che di cercarlo. Senza dimenticare che il processo di Napoli ha già escluso la responsabilità civile della società Juventus, che a maggior ragione può giocarsi la carta del ricorso al Tar del Lazio (quello presentato a novembre 2011), che contiene anche la richiesta di risarcimento danni alla Figc per quasi 444 mln. Anche se l'oggetto di quel ricorso non sono gli scudetti ma la disparità di trattamento, nulla vieta che esso possa rappresentare uno strumento di trattativa/pressione verso la Federcalcio nella battaglia per la riscrittura di calciopoli e, in ultima analisi, per puntare a riavere gli scudetti 2005 e 2006.
 
Riassunto sportivo. Il campionato 2005/06 non è mai stato messo sotto inchiesta. Il campionato 2004/05, oggetto dell’indagine di calciopoli, non risulta essere stato alterato dall'attività della fantomatica associazione per delinquere. La quale peraltro non ha fini di lucro, né corruzione né altri moventi criminosi. Le frodi contestate non si sono mai realizzate e i risultati delle partite non sono stati frutto di manipolazione. Non si sono riscontrati illeciti sportivi. La composizione delle griglie arbitrali era pressoché obbligata. Le designazioni ipotizzate non si sono poi mai verificate nella pratica. E' stata abbondantemente dimostrata la piena regolarità dei sorteggi. I rapporti dei dirigenti juventini coi designatori non erano affatto esclusivi: i designatori parlavano con tutti, e tutti chiedevano loro le stesse cose. Gli arbitri (teoricamente) associati non guadagnavano di più, non ricevevano benefici in termini di carriera, e la loro condotta in campo non ha agevolato le squadre coinvolte. Non ci sono stati arbitri corrotti o addomesticati, né chiusi in stanzini (nemmeno Paparesta), e non si sono registrate ammonizioni preventive mirate o espulsioni compiacenti: tutto smontato nei fatti. In compenso, l’indagine e i processi sembrano essere stati condotti a senso unico, con imprecisioni, occultamenti, omissioni e negligenze. Rimane la sgradevole sensazione complessiva di sentenze già scritte, prima ancora dell'inizio dei processi sportivi (apparsi perfino inutili), in funzione del clamore mediatico monodirezionale sviluppatosi. Nessuna prova, ma colpevoli a prescindere, con condanne emesse a furor di popolo. Al bar, con un semplice "la Juve ruba", forse avrebbero fatto di meglio...