Capezzone: "Azionariato popolare scelta strategica"

CapezzoneDaniele Capezzone (1972) è stato per cinque anni segretario dei Radicali italiani. Dal giugno 2006 è stato Presidente della Commissione attività produttive della Camera, carica dalla quale si è dimesso nel novembre 2007, marcando la sua distanza dalla maggioranza di centrosinistra, a seguito degli aumenti fiscali decisi dal Governo Prodi. E’ anche ricca la serie delle sue attività e presenze radiotelevisive, non solo a contenuto politico, da Markette di Piero Chiambretti a Il Processo di Biscardi. Dal dicembre 2007 è direttore editoriale dell’agenzia nazionale di stampa Il Velino. Dal maggio 2008 è stato portavoce di Forza Italia, e dall’aprile 2009 portavoce del Popolo della Libertà. Nel maggio 2009 è uscito per Rubbettino il suo ultimo libro, “Democrazia istantanea - Velocità e decisione: quello che anche alla sinistra converrebbe imparare da Berlusconi”.


Daniele Capezzone. Appassionato di calcio, lo abbiamo scoperto al Processo di Biscardi. Ma Lei per quale squadra tifa?
Sono un grande appassionato di calcio, ma non tifo per una squadra. La mia simpatia va di volta in volta a chi gioca meglio. Non se ne può più del cliché delle squadre italiane che, specie all’estero, rinunciano troppo spesso al gioco, al dominio del campo, lasciando l’iniziativa agli altri e sperando nel golletto in contropiede. Penso a un episodio di Inter-Barcellona, quando Messi ha quasi mandato a quel paese un suo compagno per non aver giocato la palla, ma per averla lanciata in tribuna: è l'esempio evidente di una mentalità vincente applicata al gioco del calcio, quella che purtroppo è spesso mancata al calcio italiano, con poche eccezioni, tra le quali il Milan di Sacchi, che ebbe il merito di provare a rivoluzionare l'approccio mentale, oltre che tattico, delle nostre squadre.

Allo scoppio di Calciopoli, La ricordiamo tra i più critici delle posizioni innocentiste e arrivò perfino a invocare Zeman alla FIGC. Poi, legittimamente, ha cambiato idea. Perché?
Ricordate bene, ma solo a metà. E’ vero, ritenevo e ritengo che molte delle questioni poste da Zeman fossero fondate in termini generali: una per tutte, l’eccesso di farmaci nel nostro calcio. Invece, ritenevo e ritengo che contro Moggi (e Giraudo) si sia fatto qualcosa di simile all’operazione indegnamente condotta a suo tempo contro Craxi: aggredire qualcuno, e salvare tutti gli altri. Come se nel calcio italiano ci fosse stato un “lupo cattivo” in mezzo a tanti “Cappuccetto Rosso”. Per questo, non ho avuto la minima esitazione a difendere Moggi da un tentativo di linciaggio che ritengo inaccettabile. Farei la stessa cosa, oggi, per difendere Briatore, per fare un altro esempio sportivo.

Sono passati tre anni, e la partita giudiziaria sembra ancora più aperta che mai. Secondo Lei, è stata Moggiopoli, Calciopoli o Farsopoli?
Definizioni a parte, resta il punto di fondo. Hanno presentato all’opinione pubblica un “cattivo”, e si sono dimenticati troppe altre cose, che riguardavano tanti altri. Vogliamo parlare del “doping” amministrativo, dei passaporti falsi, dei “dialoghi” con i guardalinee, dei Rolex regalati qua e là?

Giustizia sportiva e giustizia ordinaria. Non è assurda la pretesa di autonomia della prima, davanti a fatti come questi, considerata anche la struttura giudicante rudimentale del caso Calciopoli?
La cosa che mi è sembrata molto grave è la - chiamiamola così - “velocità” con cui la giustizia sportiva ha preso le sue decisioni. C’era troppa voglia, anche e soprattutto sui giornali, di liquidare la questione trovando “il colpevole”, cioè un unico capro espiatorio.

Lei era nella coalizione di governo ai tempi di Calciopoli: ci può raccontare qualche retroscena riguardo alla scelta del commissario straordinario della FIGC? Perché la candidatura di Letta fu così velocemente bocciata? Chi fu ad imporsi per il nome di Guido Rossi ?
Non ho retroscena da raccontare, perché non me ne occupai. Mi basta quello che accadde davanti alla scena. Gente che, prima dei Mondiali, voleva cacciare Lippi dalla Nazionale, togliere i gradi di capitano a Cannavaro, mandare via gli juventini dal mondiale, e così via, ma che poi, a torneo concluso, portò la Coppa del Mondo in processione a Palazzo Chigi. Una delle pagine più misere della politica italiana degli ultimi anni.

Molti opinionisti, Juventini e non, hanno attribuito grandi responsabilità alla proprietà della Juventus per quanto accaduto nell'estate del 2006. Secondo la quasi totalità di essi, c'è stata una difesa legale insufficiente. Esistono poi tre linee di pensiero: chi afferma che la proprietà della Juventus ha organizzato lo scandalo, chi dice che ha cavalcato lo scandalo, chi ancora sostiene che ha solo subito lo scandalo.
Quale teoria Le sembra più realistica?

Io non sono mai stato affezionato ai complotti e alle “conspiracy theories”. Credo, molto semplicemente, che si sia scelto un profilo basso, per ragioni magari comprensibili, ma a mio avviso non condivisibili. Ora, la nuova dirigenza della Juve, che ha comunque molti meriti, potrebbe forse - essendo passati degli anni, ed essendo il clima meno avvelenato di allora - contribuire ad aprire una vera discussione su quello che accadde. Fu ingiusto colpire - di fatto - solo la Juve e i suoi dirigenti di allora.

In questi giorni, ha preso le difese di Vittorio Feltri, accusato di scandalismo a fini (perdoni il giochino) politici. La Stampa (giornale di famiglia), il Corriere, la Repubblica, i "grandi giornali" come vengono chiamati, furono altrettanto "scandalistici" nel periodo di Calciopoli. A fini "politici"? Non fu strana la mancanza assoluta di garantismo nei confronti degli imputati di Calciopoli?
Lo dice a me? Sono stato praticamente l’unico a nuotare controcorrente in mesi in cui chi “osava” sollevare dubbi sui teoremi di Calciopoli veniva trattato come un appestato. Quanto a Feltri, è un gigante, è il Montanelli dei nostri tempi. Peraltro, vorrei ricordare che proprio Feltri, nel periodo più difficile per Moggi, da garantista, gli ha consentito di scrivere sulle pagine del suo quotidiano.

Qual è il vero problema in Italia: le notizie che rimangono nel cassetto o quelle sparate per infangare i nemici?
La vecchia regola per cui le norme (e le notizie) si applicano per i nemici e si “interpretano” per gli amici.

Il trionfo di soli tre anni fa al mondiale di Germania avrebbe dovuto garantire un significativo sviluppo del nostro sistema calcio. Oggi sperimentiamo una crisi diffusa: crisi di nuovi talenti, di risultati in Europa da parte dei club, crisi di appeal televisivo del nostro campionato all'estero. Dalle ceneri di Calciopoli è nato un calcio peggiore?
Siamo indietro anche a prescindere da questo. Abbiamo quotazioni in borsa fragili, che sarebbero rese più solide se le società fossero proprietarie degli stadi e avessero un merchandising più consistente (in questo senso, la Juve è avanti rispetto agli altri su entrambi i fronti). E poi resto convinto che la vera svolta sarebbe quella dell’azionariato popolare, con i tifosi-azionisti chiamati ad eleggere i dirigenti sulla base di precisi programmi, come in Spagna.

Alcune statistiche confortano la teoria per cui il numero degli errori arbitrali nelle ultime tre stagioni sia di gran lunga superiore a quello registrato prima del 2006: i campionati sono addirittura più falsati rispetto al passato, oppure come si suol dire, gli errori sono fisiologici?
Da anni, ripeto che servirebbero due cose: la moviola in campo giustamente sollecitata dal mio amico Aldo Biscardi, e poi il sorteggio integrale degli arbitri.

Il calcio inglese, sotto la spinta decisiva dei club, sta intraprendendo riforme sempre più coraggiose, in termini di protezione dei settori giovanili e di regolamentazione e certificazione dei bilanci. In Italia ancora nessun movimento verso regole che restituiscano un calcio italiano più "etico" ma anche più competitivo, da ogni punto di vista. A chi sta la palla: all'iniziativa privata o alle istituzioni?
Ad entrambe. Sul lato privato, mi sono già espresso. Sul lato pubblico, servono norme omogenee a livello europeo, o meglio mondiale, ad esempio impedendo l’iscrizione alla Champions League a chi non ha i bilanci in regola. Se il mercato è globale, devono esserlo anche le regole.

C'è l'intenzione di combattere quello che è stato chiamato il "doping amministrativo"?
Più che fare crociate, servono regole che impongano trasparenza: ad esempio, quelle che ho suggerito in questa intervista.

Il modello di gestione "aziendale" del Dottor Giraudo prevedeva, sul modello inglese, uno sviluppo in termini di introiti tale da garantire una competitività internazionale sul lungo periodo, abbinando successi commerciali e sportivi. Una visione di lungo periodo, il calcio visto come un business "normale". Manca al calcio italiano un dirigente dinamico come lui? Condivide l'impressione che alla guida delle nostre squadre, manchino le competenze manageriali?
Come accennavo prima, credo che le scelte strategiche di Giraudo e Moggi fossero quelle giuste, e infatti hanno posto la Juve davanti alle altre squadre italiane (a partire dalla questione dello stadio di proprietà).

Come giudica, in questo senso, il nuovo Presidente di Lega Beretta?
E’ un uomo di grande esperienza e accortezza. Sono certo che non commetterà gli errori commessi da alcuni dei suoi predecessori. Mi auguro che i club vogliano e sappiano incoraggiarlo su una linea innovativa. Senza le cose che ci siamo detti in questa intervista, il gap tra le squadre inglesi e spagnole e quelle italiane rischia di farsi incolmabile.

L'intreccio perverso tra calcio e politica in Italia come si risolve? Il calcio deve essere trattato come ogni altro sistema produttivo?
La politica - cioè lo stato, la cosa pubblica, il denaro pubblico- più entra in settori che non le competono, e più fa danni.

Faccia un po' il Brunetta per noi: l'attacco a chi campa di rendite e di aiuti di stato può essere traslato verso le squadre di calcio e i loro proprietari?
Insisto: il tema non è “crocifiggere” qualcuno, che comunque si è mosso (magari in modo discutibile) in un quadro che glielo consentiva. Quello che va fatto è creare regole che impongano trasparenza e accountability, cioè il fatto che uno sia chiamato a rispondere. Pensi all’azionariato popolare: un dirigente che fa pasticci (o peggio) sa che sarebbe totalmente sputtanato dinanzi ai tifosi-azionisti.

Leggiamo di stadi e di legge per la costruzione di nuovi stadi: hanno presentato progetti, anche faraonici, società con seri problemi di bilancio. Che tipo di legge si sta preparando: sarà modellata sulla proposta bipartisan Butti-Lolli? E' credibile che avremo dei nuovi stadi a costo zero per le società che li progettano?
Vedremo. Io, per principio, non sono favorevole all’impiego di denaro pubblico. Si punti sui grandi sponsor, anche internazionali, che possono pagare moltissimo per dare il proprio nome allo stadio (modello Arsenal), e sulla valorizzazione commerciale dei nuovi impianti e di tutto ciò che ai nuovi impianti sarà legato (negozi, bar, ristoranti, locali, merchandising, ecc.)

Diritti TV: è davvero meglio il nuovo modello collettivista?
Confesso: io, da liberale, non sono un grande tifoso del modello collettivo. In ogni caso, non è questo il tema decisivo, perché comunque, dalle tv, le squadre ottengono e otterranno molto denaro. Il punto è far affluire in modo pulito altro denaro attraverso le altre innovazioni che ci siamo detti.

Ultima domanda, solo per fare arrabbiare Mourinho. Il campionato chi lo vince?
Se lo giocano Juve e Inter (e ci faranno divertire squadre dal bel gioco come Samp, Genoa, Udinese, e più giù in classifica anche come il Bari e il Cagliari), ma questo lo sapevate già…