Risponde Davide Giacalone

Davide GiacaloneDavide Giacalone è un giornalista italiano.
Direttore de "La Ragione" e "Smoking", collabora con L'Opinione e Libero. Dal 1979 ha collaborato con Vincenzo Muccioli insieme al quale scrive "La mia battaglia contro la droga, l'emarginazione e l'egoismo". Dal 1980 al 1986 è stato segretario nazionale della Federazione Giovanile Repubblicana, dal 1981 al 1982 Capo della Segreteria del Presidente del Consiglio dei Ministri, dal 1987 al 1991 consigliere del Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni.
Attualmente è una delle firme di Libero e collabora con l'emittente radiofonica nazionale RTL 102.5, dove ogni mattina dal lunedì al sabato (ore 7.10), durante la rassegna stampa contenuta nel programma "Non stop news", commenta una notizia apparsa sulle prime pagine dei quotidiani nazionali. Da questa esperienza è nato il libro "Diario Civile", edito nel 2005. Ha un suo sito: www.davidegiacalone.it



Dottor Giacalone, lei figura fra i "dossierati" del caso Pirelli/Telecom . Ci può raccontare perchè e quali erano le verità scomode su cui lei indagava e che non dovevano emergere?
Stavo scrivendo un libro, “Razza Corsara”, nel quale racconto le vicende di Telecom Italia in Brasile. La strana storia di una società per acquistare la quale Telecom vuole per forza pagare di più, o di un portale nel quale s’investono centinaia di milioni e che non è mai esistito. Racconto di un loro consulente piuttosto strano, per giunta pagato in contanti, al punto che è poi stato arrestato, ma in relazione agli affari fatti con l’avversario di Telecom. Sono stati gli stessi spioni a dichiarare che quella era la ragione del loro interesse, quello il motivo per cui sono entrati nel mio computer, hanno rubato un sacco di roba ed hanno distrutto il lavoro fin lì fatto.
Poi hanno provveduto a creare un dossier che mi riguarda, inserendoci anche informazioni del tutto prive di fondamento, del tipo che sono parente di un mafioso e per suo conto riciclo denaro in un parco marino. Il bello, si fa per dire, è che queste balle (le parentele non sono un'opinione!) sono finite dritte sui giornali, provenienti dalle solite soffiate mirate.

Ai fini della sua attività lavorativa, ha mai conosciuto qualcuno della security di Telecom Italia, magari lo stesso Giuliano Tavaroli?
Tavaroli volle conoscermi, e l’ho incontrato tre volte. Mi propose di collaborare, ma fu abbastanza ambiguo sul come ed a cosa. Lasciai cadere, pensando che la cosa finisse lì. Invece me lo sono ritrovato in casa. Se la prossima volta bussa, gli offro anche un caffè.

TELECOM
Ne "Il baco del Corriere", l'autore Massimo Mucchetti ci fa notare che mentre "L'Espresso" cita anche i giornalisti, tra le possibili vittime dell'hackeraggio, dall'altra parte il "Corriere", in un articolo firmato da Paolo Biondani, lo esclude e parla solo di management. Eppure la denuncia era stata presentata a nome di RCS e un giornalista, come sottolinea lo stesso Mucchetti, c'era ed era proprio lui. Com'è possibile, secondo lei, una simile distrazione?
Non sono distrazioni. Pesa la malizia e pesa anche un sentimento assai diffuso nel genere umano, che si moltiplica all’interno delle categorie e raggiunge l’apogeo fra i giornalisti: l’invidia.

Nel luglio del 2006, Tronchetti Provera, Della Valle, Montezemolo e Geronzi spingono Colao alle dimissioni. Una vendetta covata per anni o una scelta ragionata?
Più che altro la dimostrazione che il patto di sindacato che regge la proprietà del Corriere della Sera è uno dei residui fossili di un capitalismo nazionale, incapace di intraprendere e desideroso di comandare senza pagare. Ci fu un tempo in cui queste cose portavano la firma di Enrico Cuccia e rispondevano al bisogno di preservare il gracile capitalismo italiano dall’influenza eccessiva del mondo politico e delle partecipazioni statali. Oggi si difendono rendite di posizione dalla forza del mercato.

Confrontando i bilanci di RCS di allora con quelli di oggi e pensando che il disprezzato Colao oggi è a capo di una delle più grandi compagnie telefoniche, se fosse un'azionista affiderebbe i suoi risparmi in mano a gente così "distratta"?
Penso l’esatto opposto: quando si mobilitarono per bloccare la scalata al Corriere c’era una sola cosa che era giusto e legittimo fare, ovvero mettere mano al portafoglio e ritirarlo dalla Borsa, fare un delisting. Una società quotata deve potere essere scalata, altrimenti è in Borsa solo per prendere i miei soldi.

Tronchetti in un'intervista ha dichiarato che gli volevano far fare "la fine di Gardini". Il giorno successivo, in un'altra intervista, il Prof. Guido Rossi ha dichiarato: "in Telecom ho trovato una situazione da Chicago anni '30". A molti osservatori queste due interviste sono parse un botta e risposta tra due ex amici ormai nemici. Lei cosa ne pensa? Ritiene che Rossi abbia "bonificato" la situazione da "Chicago anni '30" che diceva di aver trovato?
Non so se fossero amici, so che Rossi è stato chiamato quando la pressione della procura di Milano era divenuta troppo forte. No, non direi che ha bonificato. Né sarebbe stato possibile farlo, in quei tempi e con quel tipo di assetto proprietario.

Tra tigrotti ed ex dirigenti della gestione Tronchetti Provera, oggi vi è solo un disoccupato ed è quel Giuliano Tavaroli che per primo ha riferito ai PM di operare nell'interesse della presidenza. Vede anche lei tutto ciò come una punizione da parte della classe dirigente italiana che, tra falsi moralismi, alla fine è più compatta e solidale che mai?
Prima di tutto nessuno deve dimenticare che Tavaroli è un cittadino italiano che ha subito un’indagine, ma nessuno ha mai condannato a niente e, con i tempi della giustizia e di questa inchiesta, non c’è da attendersi nulla, a breve. Quindi è un presunto innocente e come tale va considerato e rispettato. Che, poi, egli abbia raccontato quel che sapeva e chiarito le dinamiche della catena di comando interna, non lo so io e non lo sa nessuno che non siano gli inquirenti.
Dico una cosa diversa: la dirigenza di Telecom o era al corrente del lavoro dei tigrotti, essendone complice o mandante, oppure sono degli incapaci.

Il quotidiano "La Repubblica", in un articolo del 5 giugno scorso, riporta alcune dichiarazioni del numero uno di Piazzetta Cuccia. In queste dichiarazioni Cesare Geronzi non solo difende la sua scelta definendo Bernabè "l'uomo giusto", ma elargisce apprezzamenti nei confronti di Marco Tronchetti Provera e parla di un "periodo di confusione" post Tronchetti Provera. Tra l'addio di Tronchetti e l'arrivo di Bernabè possiamo individuare tre soggetti: Guido Rossi, Pasquale Pistorio e la magistratura. Secondo lei a chi si stava riferendo Geronzi?
Forse al periodo immediatamente precedente l’abbandono, quando Tronchetti Provera dovette subire un’indubbia pressione da parte del governo. Guardate che, in quella vicenda, la gara è a chi ha più torto, mentre di ragione ne vedo pochine.

Tra le prime promesse di Bernabè ricordiamo: "essendo state dismesse tante cose, oggi mi preoccupa più acquisire che dismettere". Eppure è quasi fatta per Alice France e si mormora che potrebbe essere ceduto qualcosa anche in Sud America, senza dimenticare i licenziamenti. Bernabè la chiama "trasformazione", eppure trattasi a tutti gli effetti di un ridimensionamento. Lei cosa ne pensa?
Nella scatola finanziaria che controlla Telecom Italia gli spagnoli di Telefonica hanno la maggioranza relativa. L’idea che quello sia un mero investimento finanziario è ridicola, anche perché, da quel punto di vista, sarebbe stato un pessimo affare. La vedo così: Telecom era una multinazionale italiana che, a causa di una privatizzazione fatta con i piedi, è stata depredata e spolpata. Oggi resta un operatore nazionale, con qualche altra cosa da vendere. Per il resto, le telecomunicazioni italiane sono già state tutte vendute.
Non sono un patito del nazionalismo industriale e finanziario, ma questa mi pare una storia triste e dissennata. E aggiungo che non trovo paragone equivalente, in quanto a spoliazione di beni nazionali.

Il 21 luglio prossimo ricorrerà il secondo tragico anniversario della scomparsa di Adamo Bove. Nonostante il parere della Procura di Napoli, i suoi genitori, ancora oggi, continuano a battersi affinchè venga fuori una verità diversa. Lei cosa si sentirebbe di dire ai genitori di Adamo?
Cosa si può dire a dei genitori che perdono un figlio? Loro non credono al suicidio, che sembra assurdo ed incredibile anche a me. Non si mettono le doppie frecce per poi buttarsi di sotto da un cavalcavia, neanche si sceglie questo modo, considerato che Bove era armato. Non c’è nulla di chiaro, in questa storia.
Mi colpì, subito dopo la sua morte, un comunicato ufficiale dei vertici di Telecom, diretto anche ai dipendenti, che parlava degli attacchi esterni, subiti dall’azienda, e di come questi possono avere influito su una persona per bene, come Bove. Ma a Bove gli attacchi arrivarono dall’interno, non da fuori.
Non so se Bove sia morto perché forte e determinato ad andare avanti, o perché troppo debole per resistere. Credo, però, che la causa della sua morte stia nel suo lavoro, e su questo ci sarebbe molto da scavare e conoscere.

SUD AMERICA
L'8 luglio sono stati arrestati, tra gli altri, Daniel Dantas, numero uno del gruppo Opportunity, e il finanziere Naji Nahas. Anche se l'inchiesta riguardava lo scandalo tangenti che travolse il governo Lula, potrebbe esserci una connessione con l'inchiesta, partita nel 2002, che vede il coinvolgimento di Grisendi, della Kroll e della stessa Telecom Italia?
Non so se ci sono relazioni. Spero che la magistratura brasiliana si mostri interessata ad approfondire quegli aspetti che quella italiana ha, non so perché, trascurato.

Daniel Dantas aveva un contenzioso aperto con Tronchetti Provera e i componenti della security di Telecom si erano difesi dalle accuse parlando di "legittima difesa". Alla luce degli ultimi fatti, pensa che avessero ragione?
Lo scrissi già allora: non c’è dubbio che lo scontro era fortissimo e condotto con tutte le armi. Ma quando mi trovo a subire dei torti che giudico illegali non mi attrezzo per adeguarmi, bensì sporgo denuncia.

Lei si era lungamente occupato delle vicende che hanno riguardato Brasil Telecom. Ha mai avuto contatti con Daniel Dantas o con i fratelli D'Ecclesia?
Conosco bene il D’Ecclesia “italiano”, e tramite lui il fratello. Quando li incontrai la prima volta curavano gli interessi di Stet, così come di Alitalia. Sono loro, del resto, sotto la gestione Rossignolo, ad avere accompagnato il successo italiano durante le privatizzazioni brasiliane. Dantas l’ho incontrato quando preparavo il libro e mi ha raccontato la sua versione dei fatti. Nel libro stesso ne diedi conto.

GIUSTIZIA
Sul "Corriere Della Sera" Ferrarella ha previsto, a breve, la chiusura indagini della Procura di Milano sul dossieraggio Telecom, indipendentemente dalle incertezze normative che ancora gravano sull'inchiesta. Lei che previsione si sente di fare?
Guardi che quell’inchiesta dovrebbe essere già chiusa, per legge. C’è poco da far previsioni. Però mi regolo raccontando le cose che conosco e lasciando che la vicenda penale si sviluppi con tutte le necessarie garanzie per gli indagati, in futuro forse imputati. Vorrei sentirne riparlare a processo concluso, e vorrei che il processo si tenesse e concludesse in tempi ragionevolmente brevi. Ma questo è un dramma di tutta quanta la giustizia italiana, non solo di questo singolo procedimento.

Gran parte dei dossier e, in particolare, quelli contenenti materiale acquisito illegalmente, facevano parte del "patrimonio" dell'investigatore privato Emanuele Cipriani. Oltre a Pirelli e Telecom Italia, molte erano le grandi aziende italiane che si servivano della sua attività investigativa. Crede sia possibile che un PM abbia l'ardire di portare a processo la “crème de la crème” dell'imprenditoria italiana o Cipriani verrà ritenuto l'unico responsabile?
“La legge è uguale per tutti”. Avete fatto caso che, nelle aule di giustizia, è sempre scritto dove i giudici non possono leggere?

Analizzando quanto appreso sino ad oggi a proposito dell'inchiesta su Pirelli e Telecom Italia, ritiene che l'atmosfera da "futuro maxi processo" sia stata salutare o sarebbe stato meglio dividere l'inchiesta in tronconi e iniziare a far sul serio, sin da subito, partendo coi primi processi?
Non in questo caso particolare, ma per tutti ed in generale sono favorevole ad una giustizia che porti a processo cittadini i cui reati sono facili da dimostrare, senza cercare per forza il grande disegno ed il maxi coinvolgimento. Questa seconda strada, spessissimo, porta a perdere tempo e mandare tutto in prescrizione.

Cossiga dopo il caso-Mastella ha dichiarato: "I magistrati chiamano il funzionario di turno e gli dicono: «Lei intercetti Tizio e metta da parte i nastri. Se c’è qualcosa di utile per la mia inchiesta, ho già lasciato lo spazio in bianco negli atti. In caso contrario, conserviamo le registrazioni perché possono sempre servire»". Nessuno ha smentito Cossiga. Non c'è da essere sconcertati?
Sono convinto, avendo molte meno informazioni del Presidente emerito, che la gran parte delle intercettazioni legali nasca come illegale. Ed è quel che dice Cossiga, appunto. Lo sconcerto è il meno, ma, del resto, come potrebbero altrimenti esserci tante intercettazioni senza che vi sia l’ombra di un reato?

Il direttore di "Libero", Vittorio Feltri, e il giornalista de "Il Foglio", Carlo Panella, hanno parlato in questi giorni di intercettazioni penalmente irrilevanti riguardanti la vita privata del premier sui tavoli di tutti i giornali. Niente di probatorio, ma cose che potrebbero irrimediabilmente scalfire la sua immagine. Panella ha coraggiosamente spiegato perchè, secondo lui, le intercettazioni non vengano pubblicate. In un Paese normale, un'ispezione alla Procura di Napoli sarebbe un atto dovuto. E' chiaro che questo non accadrà. Come si esce da questo circolo vizioso?
Facendo funzionare la giustizia, non lasciando appesi gli intercettati al pettegolezzo, stabilendo in fretta se il reato c’è o meno e, naturalmente, facendo si che chi ha sbagliato paghi. Non ci sono altre strade intermedie, perché un Paese dove la giustizia fa pena, come in Italia, non può che imbarbarirsi.

Il 16 maggio scorso, Giorgio Dragani e un suo tecnico installatore vengono arrestati per violazione di domicilio, furto e intercettazioni abusive. Dragani era consulente della Procura di Milano e collaborava con le Forze dell'Ordine. Il 13 maggio sono finite in manette 17 persone, tra investigatori privati e collaboratori, alcuni di loro svolgevano un'attività di consulenza presso diverse procure. Il 27 aprile è stata ritrovata una cimice nella Procura di Reggio Calabria. Il 25 aprile, in un servizio mandato in onda da "Le Iene", era stato denunciato il rinvenimento di atti riservati tra cumuli di spazzatura nei pressi di un Palazzo di Giustizia. Il 3 settembre del 2007 venne rubato l'hard-disk di un GIP del Tribunale di Napoli. Il 5 settembre dello stesso anno, sempre a Napoli, avveniva il ritrovamento di 20 faldoni "abbandonati" nei corridoi. Infine, nell'estate di due anni fa, Borrelli fece visita alla Procura di Napoli e, da privato cittadino, si vide consegnare un cd-rom contenente alcune intercettazioni. Potremmo continuare ad andare a ritroso e citare centinaia di casi, eppure si continua a non fare nulla di concreto per far sì che certi "incidenti" non si ripetano. Cui prodest?
Di volta in volta cambiano interessi e profittatori, ma un elemento rimane costantemente presente: una giustizia oltre il grado della bancarotta. Se non si introducono nel sistema i concetti di responsabilità e merito, non se ne esce. E si deve essere capaci di far valere la legge anche nei confronti dei magistrati, che non sono cittadini diversi dagli altri.

CALCIOPOLI
Il famoso "Dossier Ladroni" e l'enigmatico "Dossier Como". Moratti disse che di queste cose se ne occupava il defunto Facchetti. Certo il modo meno elegante per uscirne, ma probabilmente efficace. Lei ritiene che il fatto che Moratti (che, parole sue, si è limitato a fare le presentazioni) e Facchetti si siano rivolti a Tavaroli e Cipriani sia un ulteriore indizio che porta al coinvolgimento di Tronchetti Provera oppure no?
Non lo so, osservo che è un sintomo ulteriore dell’oblio morale nel quale scivola l’Italia.

Telecom, Parmalat, Cirio, un intreccio che ha toccato molte tematiche, e un nome che ricorre: quello di Grisendi. Il famoso rapporto della Kroll, sottratto dal Tiger Team, parla anche di calcio e dell'attività sudamericana di Parma e Lazio, quindi Tanzi e Cragnotti, Parmalat e Cirio. Ci parli di questa storia: secondo lei può esserci stato anche un collegamento con il declino calcistico e non delle società della famiglia Tanzi e di Cragnotti? E se sì, i vertici Telecom hanno potuto avere un ruolo?
Telecom, Parmalat e Cirio restano tre storie pesantemente ed inquietantemente intrecciate, e si tratta di cose che ho raccontato nel 2003. Dopo cinque anni siamo ancora a quel punto, senza che la giustizia abbia offerto un solo elemento di certezza in più. Lo trovo scandaloso.

Caso Moggi e caso Telecom, di Moggi si parla a tutte le ore, del caso Telecom poco o nulla: la contemporaneità dello scoppio dei due casi giudiziari è casuale o, come ebbe a notare Enzo Biagi, desta sospetti?
Con i sospetti non si va da nessuna parte, atteniamoci ai fatti: il primo caso è un bruscolino, rispetto al secondo. Capisco che il calcio attira l’attenzione di milioni di tifosi, ma i tribunali mica si trovano allo stadio.

Nel mercato del calcio si danno molte cose per scontate, cose che in altri mercati non lo sarebbero affatto. E' pacifico e non desta dubbi il fatto che nonostante le società chiudano regolarmente in perdita, gli imprenditori facciano a gara per possedere una squadra di calcio. Gli imprenditori sostengono si tratti di amore per lo sport, divertissment, filantropia e vengono creduti dall'opinione pubblica senza sforzo. Transazioni per cifre altissime e un mercato drogato al rialzo dei prezzi non vengono messe in discussione, nonostante i bilanci societari siano costantemente in rosso.
E' semplicistico concludere che le specificità di questo mercato, così legato a una dimensione emozionale, di fatto siano l'humus ideale per accumulare cospicui capitali in nero?

Il calcio è uno sport, ma anche un business, quindi i conti devono quadrare. Un valore da mettere nel conto, naturalmente, è anche il ritorno d’immagine, ma non può essere sovrastimato al punto da mandare a catafascio il resto. L’opacità del calcio mercato e la quantità di transazioni all’estero è quanto meno singolare.
Il numero di scandali e di bancarotte legate al calcio è talmente alto da immaginarsi che tutti vogliano starne alla larga, invece capita il contrario. Direi che la spiegazione non deve essere cercata né nel tifo né nella filantropia.

L'Italia, con il suo codazzo di misteri mai risolti, sembra l'unico paese in cui la guerra fredda non ha mai avuto termine. In questi giorni, senza grande rilevanza da parte della stampa, Lukoil entra sul mercato italiano attraverso una partecipazione di rilievo nella Erg di Garrone. Dopo il maxiaccordo Eni-Gazprom, un altro pezzo di Russia putiniana varca le Alpi. Il mercato del calcio, che già ha riscosso grande attenzione da parte degli oligarchi putiniani presenti in Inghilterra, Germania, Brasile, suscita l'interessi di personaggi insospettabili, come Soros.
Secondo lei perchè uno speculatore finanziario, che in un giorno può guadagnare in Borsa quanto un quinquennio di bilanci di una squadra di calcio, o un oligarca russo, cerca di inserirsi in questo mondo che sembra offrire solo bilanci in passivo?

Kissinger, ragionando da professore sul Congresso di Vienna, osservava che una preponderante forza militare genera sempre una conseguenza politica. Analogamente, è normale che una enorme forza finanziaria si scarichi espandendone il proprietario nel mercato. Il compito delle autorità statali non è quello di erigere barriere protezioniste, ma di valutare se l’origine di quella forza è regolare e se si agisce in condizioni di reciprocità. Purtroppo, spesso, si omette di fare sia l’una che l’altra cosa, felici d’incassare quei quattrini, o, meglio, felici che qualcuno li incassi.
Ma anche all’interno dei mercati una preponderante forza economica genera una spinta politica, ed è per questa ragione che molta più prudenza sarebbe necessaria.
In quanto alle squadre di calcio, l’impressione è che siano un modo per fare un piacere a chi ti ha favorito, o al soggetto con cui hai fatto l’affare, ed anche per mostrare al Paese che si colonializza il proprio volto “sociale”. La sorte di quelle squadre è la cosa che mi preoccupa di meno.

Investigatori privati per dossier illegali, agenti non immacolati, pm di parte, tigrotti... condannerebbe un uomo che, come forma di autotutela, si affida ai cryptofonini o alle SIM anonime?
Non lo condannerei, ma gli farei osservare che molte delle conversazioni in quel modo protette le abbiamo lette sui giornali.

AGNELLI
Il prof. Guido Rossi è da sempre una figura vicina alla famiglia Agnelli. Ricorderà, ad esempio, la trovata del voto capitario, inserita nel Patto di sindacato di Gemina nell'85, che permise all'Avvocato di tenere le redini di tre quotidiani nazionali. Poi però, dopo la privatizzazione di Telecom, che aveva visto ancora una volta il prof. Rossi e la famiglia Agnelli vicini, qualcosa si spezza per via di una diversa concezione della governance aziendale. Rossi è costretto a dimettersi e gli succede Rossignolo. Oggi abbiamo assistito ad un percorso inverso rispetto a quanto accadde dieci anni fa.
C'è un Rossi, ex consulente della famiglia Moratti, che: arriva in FIGC; consegna lo "scudetto degli onesti", che la squadra tanto cara agli amici Gianni e Umberto aveva vinto sul campo; torna in Telecom, dove viene costretto a dimettersi nuovamente, e gli succedono Pistorio prima, Galateri e Bernabè poi. Tre figure anch'esse storicamente legate agli Agnelli.
Il resto è storia di quest'anno, il professore torna "a casa" prima come consulente e, notizia di qualche settimana fa, oggi è addirittura il garante della cassaforte di famiglia. E' evidente che stiamo parlando di una favola a lieto fine, ma quant'è costato questo lieto fine ai tifosi della Juventus?

I tifosi normali hanno visto retrocedere la loro squadra per ragioni che sembrano più legate a regolamenti di conti interni alle casseforti lasciate da Gianni Agnelli che ad altro. Non mi pare che lo sport c’entri molto.

Prova Bignami: in poche parole come descriverebbe la storia dell'Ifil, dall'equity swap alla presidenza di John Elkann? La consulenza affidata a Guido Rossi e le recenti dichiarazioni di De Meo sul decisivo ruolo per il marketing di Lapo Elkann e delle sconfitte della Juve come si inseriscono in questa storia?
E’ stato il tentativo di traghettare un patrimonio ed un potere familiare da un mondo all’altro, dal passato al presente, mettendo anche in conto il disfacimento della famiglia stessa. Che questo sia avvenuto nel totale rispetto della legalità, o meno, è cosa che spetterebbe accertare a chi porta la toga, non ad un referendum popolare.

CONCLUSIONE
Una cosa è certa: in Italia paga di più fare giornalismo alla Travaglio che giornalismo alla Giacalone. Qual è lo scotto maggiore quando si scrive per il grande pubblico: il compromesso con i poteri forti o la tendenza al populismo?
Scrivo standomene da solo, nel mio ufficio. E quando intervengo alla radio (RTL 102.5), tutti i giorni, lo faccio standomene da solo, sempre in ufficio. Chi è interessato legge ed ascolta, e mi fa molto piacere quando si manifestano, via mail, dei dissensi; chi non è interessato non legga o cambi canali, affari suoi. Quello che è escluso è che io scriva o dica cose destinate a compiacere il pubblico o qualcun altro. Sapete, non lo faccio per mestiere e se non mi piace non mi diverto, se non mi diverto smetto.

Dottor Giacalone è stato un nostro piacere intervistarla, lei invece chi vorrebbe intervistare per capire qualcosa in più della questione Telecom?
E due: non sono dottore, se vi sentite male chiamate un altro. Passo la vita a studiare, ma per certificarlo vi tocca leggere quel che scrivo, senza adagiarsi su una falsa pergamena.
Bella domanda, comunque. Si potrebbe sentire Carlo Buora, che è arrivato in Telecom con Tronchetti Provera e ci è rimasto dopo. Ma dubito che abbia voglia di parlare, sul serio. Potremmo rivolgerci a Guido Rossi, ma si dovrebbe chiedergli di non oscillare fra i grandi principi e le invettive. Diciamo che qualche fatto ci starebbe bene, nel racconto.