Visti dalla Est - Gattopardeschi

"Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi".
Mai come questa estate si è verificato un cambiamento sulla carta radicale, uno di quei cambiamenti che spesso è legato a una serie di insuccessi e ad un senso di inadeguatezza delle varie componenti di quelle macchine particolari che sono le squadre di calcio. Incredibilmente, il ribaltone ha invece coinvolto una squadra che si era sublimata nel successo record dello scudetto numero 32, e che aveva visto solo crollare le proprie certezze in una nevosa serata turca (anche se, ammettiamolo, il peccato originale risaliva a qualche match prima) e, in seguito, nella lenta inerzia di un bagno di delusione portoghese allo Stadium.
L'addio di Conte, inutile negarlo, ha destabilizzato (almeno apparentemente) un ambiente e un popolo pronti alla nuova sfida di quest'anno, e ha spostato la lente di ingrandimento su una squadra che appariva in bilico tra il rinnovamento radicale e il cullarsi nelle capacità dei propri campioni (in buona parte quasi giunti all'ultima cavalcata), ora guidata da un allenatore molto diverso dal condottiero leccese.
Sabato pomeriggio le sensazioni erano le stesse di tre anni fa: quell'emozione che ti fa salire il cuore in gola e attanaglia le corde vocali, quel momento in cui prendi un respiro più forte, guardi negli occhi i compagni al tuo fianco, e ti getti nelle rapide affidandoti all'istinto e alle sensazioni che si susseguiranno.
Questo penso avranno comunque fatto non solo i tifosi giunti al Bentegodi, ma anche gli stessi giocatori. Non è un caso che la scelta, in un momento difficile, sia stata quella di compattarsi nelle certezze di un modulo ripercorso maniacalmente negli ultimi due anni, e di affidarsi al reparto di maggior valore, ovvero una mediana davvero ricca di classe, corsa, voglia di vincere. Ed è qui che la Juve di Conte... oops, Allegri, si è dimostrata gattopardesca. Gattopardesca in quanto, nonostante ad ora sia ancora una nave che lotta nella tempesta, trova invariato il proprio orgoglio, un valore morale che non è sparito con le dimissioni del proprio assemblatore.
L'orgoglio della squadra lo vedi nel "partente" Arturo, che, dopo un precampionato corso ai margini della rosa sia per problemi fisici che per trattative abbozzate, sfodera la prestazione che non sembrava possibile, tutto pressing, rincorse, con qualche errore di precipitazione, ma legato alla voglia di fare e dimostrare. Lo vedi in Caceres, che cerca di non far rimpiangere il muro Barzagli. Lo vedi nel polpo francese, che mostra miglioramenti ulteriori nel senso della posizione, dell'inserimento, dei tempi di giocata uniti a quelle piccole perle tecniche che sono nella sua natura di esteta. Lo vedi soprattutto in un numero 10 che non si vergogna a mettersi al servizio della squadra, lasciando magari il proscenio a un giovane virgulto di campione che oggi ha fatto stropicciare ai più gli occhi. Proprio Carlitos ha regalato il giusto equilibrio ai vari tronconi della squadra in fase di possesso palla, stante la foga dei nostri interni di gettarsi negli spazi creati dai movimenti dei laterali e di Coman, sempre pronto a dettare il passaggio in verticale portandosi dietro uno o due marcatori diretti. Movimenti che portavano però troppi giocatori sopra la linea della palla, schiacciando la squadra al limite dell'area clivense e riducendo il margine di errore possibile, e togliendo allo stesso tempo la possibilità di scarico laterale semplice al portatore di palla.
In questo contesto è apparsa molto intelligente la scelta di Allegri di affidarsi al modulo contiano, senza la spocchia di chi non vuole utilizzare per partito preso la disposizione precedente. Modulo che non è solo "dei numeri sulla lavagna con delle freccette", ma attitudine alla giocata e movimenti perfetti e collaudati.
Anticipando che molto è stato determinato dalla voglia dei giocatori, meno telecomandati dalla panchina di quanto fosse prima, il mister di suo (almeno a inizio gara) ha forzato Marchisio, sostituto del genietto bresciano infortunato, a porsi in ripartenza d'azione non solo di fronte alla difesa, come capita con Andrea di solito quasi in sovrapposizione  con Bonucci, ma direttamente nella disposizione difensiva, allargando Ogbonna sulla sinistra e permettendo a Claudio di partire frontalmente, ma con scarichi laterali più semplici. Il sacrificio di ripiegamento poi richiesto a Tevez, come accennato, ha permesso a Vidal di alzarsi in pressing assieme a Coman, e al baricentro della squadra di guadagnare una ventina di metri.
Tenuto conto della forza del Chievo attuale, le occasioni create e le molte intenzioni di giocata fanno ben sperare. E testimoniano di una squadra che, sempre legata (allo stadio attuale) all'aggiramento dell'avversario e all'allargamento del fronte per isolare gli esterni (con uno Stephan su rendimenti ottimali), ricerca il tutto tramite triangoli e grande appoggio della manovra, che appare più veloce, a uno o due tocchi, rispetto al modus precedente.
Una partita comunque dominata, che ha visto un solo sussulto in occasione del rimpallo di Maxi Lopez, che (senza Buffon) avrebbe confermato quella sensazione, provata durante il match, di altre partite viste con lo stesso canovaccio: dominate, non chiuse e infine purgate. Ma oggi non era quel giorno, e forse ha avuto peso, per il Dio del calcio, anche lo spirito dei tifosi presenti. Prima un poco distaccati, ma via via sempre più convinti... e infine, negli ultimi venti minuti di sofferenza fisica dei ragazzi, strabordanti di amore e incitamento per quella che non è la squadra di Conte o Allegri, ma la propria squadra. Una spinta che non credo sia scivolata via agli stessi giocatori.
Il primo esame è passato, si ripartiva tutti dalla stessa linea, ma come le sane abitudini che non si vogliono perdere, la Vecchia Signora è davanti anche oggi. Se ne siete capaci, provate a prenderci!