Il problema è nel manico

elkann blancNoi lo avevamo detto. Non solo detto, ma pronosticato, preannunciato, urlato ai quattro venti, scritto sui muri e sottolineato dieci volte: la Juve non c’è più. Morta, sepolta, kaputt.

Ci hanno risposto di tutto: che avremmo dovuto tifare per l’Inter, che un vero juventino non si lamenta, che bisogna guardare avanti, che siamo nostalgici revisionisti, che moriremo tutti. Ma la sostanza è una e una soltanto: la Juventus è stata spazzata via.

Non ci voleva molto per accorgersene, ma il tifosame gobbo è per natura un po’ presuntuoso e non c’è verso, a volte, di fargli aprire gli occhi. Complice l’inarrestabile logorrea dirigenziale, gli estemporanei trionfalismi di qualche giornaletto e l’innato ottimismo degli oltranzisti del bicchiere mezzo pieno, in molti si erano quasi fatti la bocca a questa Juventus in assetto cavalleggero e ai confini del provincialismo. In fondo, si pensava, il destino avrebbe di lì a poco aggiustato tutto: la Gioconda in Italia, le sabine ai sabini e la Vecchia Signora a far di nuovo incetta di ogni trofeo trofeabile.

Ma il calcio non è una ruota karmica o una meritocratica lista d’attesa, è affare da contrabbandieri macedoni, da Laocoonti coi serpenti. Una vecchia storiella racconta di un poveraccio che, oppresso dall’indigenza, pregava Dio ogni sera perché gli facesse vincere alla lotteria. Dopo molto tempo e innumerevoli invocazioni il Padreterno in persona gli si palesa davanti e gli domanda: “Ma almeno il biglietto l’hai comprato?”.

Ecco, questa sembra la Juventus attuale: un individuo che, ex iure Quiritium, si siede in attesa di riscuotere ciò che gli spetta. Ma cosa può mai spettare ad una società senza programmazione, senza idee e ideali, cui difettano persino le competenze basilari del mestiere? Mai come oggi si avvertono il pressapochismo, la deficienza organizzativa e la presunzione di chi, a parole e proclami, si è issato sul podio di una storia gloriosa e lo ha ridotto ad un misero speaker’s corner da parchetto di periferia.

Il problema di questa Juve non è tanto nei giocatori, nel sambodromo senza musica o nella vecchia guardia sempre più vecchia, ma nel manico. Gli attori sul terreno verde, pur con le loro colpe, non sono obiettivamente nelle condizioni di esprimersi al meglio. L’impressione è quella di una Durlindana con l’elsa in sughero, di una Ferrari senza volante che continua ostinatamente a infilarsi tra le chicanes.

Al quarto anno del piano Blanc i risultati sportivi, inutile nascondersi, sono fallimentari, giacché un'eliminazione al primo turno di Champions League, e con siffatte modalità, è circostanza che non si era mai verificata in tantissimi anni di partecipazioni europee. E non si cerchino facili colpevoli o teste di San Giovanni per i Salomè della stampa sportiva. Se si vuole puntare il dito contro i singoli, promesse, fenomeni o bidoni che siano, si guardi prima a colui che li mette in campo e li indottrina. Il progetto tattico, dalle titubanze in sede di calciomercato ai continui cambi di strategia in corso, è a dir poco farraginoso, con tutte le conseguenze del caso: tromboni al posto dei violini, mezzofondisti a saltare in lungo e mazzaferrai a far di punto croce.

Ma se gli allievi saltano sui banchi e si fa ginnastica per i corridoi anziché in palestra è il preside che deve intervenire, non il professorino di religione. Il problema, purtroppo, è che la Juventus attuale è tutto fuorché un istituto qualificato: gli orari li fanno i bidelli e, in mancanza di personale, l’insegnante di francese supplisce a quelli di greco e latino. Senza contare che i genitori a casa non vengono nemmeno avvisati di quello che accade realmente. E quelli a casa siamo noi, poveri tifosi, illusi dal prestigio della scuola e rassicurati dalle continue circolari emesse dalla direzione: “Tutto va bene, il progetto è questo e si va avanti così”.

Il messaggio, però, è sempre lo stesso, da quattro anni a questa parte. Non stupitevi, adesso, che ve ne state rendendo conto.
Noi vi avevamo avvisato.