Il sogno non muore a Londra

championsChe non sarebbe stata una trasferta facile lo abbiamo capito fin da subito. Il personale Ryan Air sfoggia un'inquietante cravatta regimental nerazzurra che ci fa imprecare contro gli usurpatori di scudetti, i Guido Rossi, Moratti e tutto il suo codazzo. Fortuna che l’hostess della compagnia lowcost irlandese fa “Chelsea” di nome come riporta la targhetta affibbiata al tailleur azzurro che le disegna addosso curve da battaglia. Quando lei capisce di avere lo stesso nome di una squadra di calcio si fa una bella risata mentre parte un coro da un capo all’altro dell’aereo “Juve alè, vivo per Te, Juve alè, mi hai preso il cuore…” E’ lo stesso canto che mi coinvolge e che anche io grido a squarcia gola qualche ora dopo quando, insieme ai ragazzi del Nucleo 1985, si lascia l’hotel che ci ospita, e si attraversa Russell Square per raggiungere la vicina fermata della metro. Un corteo che bruca le strade di Londra per raggiungere lo stadio a piedi. Quanta passione, amore incondizionato, dedizione verso un sogno a strisce bianconere. Alex lavora in una birreria nel vicentino, gli straordinari degli ultimi tre mesi sono stati fatti per mettersi in tasca la somma da spendere in questa attesa trasferta. Franco e Sandra hanno chiuso il bar due giorni nel loro paesino in provincia di Treviso per godersi la trasferta senza troppi pensieri. Omar fa il commercialista a Brescia, ha avvisato i clienti con una e-mail: “per due giorni non sarò reperibile”. Raggiungiamo la metro e improvvisamente compare la polizia. Ci accompagna fino allo stadio con discrezione. Quelli della terribile polizia inglese sembrano pure divertiti dai nostri cori, così come la gente stranita che ci vede sfilare attraversando le strade. Forse è la parte più bella della trasferta.

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Arriviamo allo stadio a piedi come si entra nel salotto di casa. Mi capita fra le mani una copia del Daily Mail di giornata. C’è un articolo sulla partita ma si parla soprattutto di Michel Platini, che in un’intervista a La Stampa qualche tempo addietro si è augurato di poter consegnare nelle mani del capitano della Juventus la coppa dalle grandi orecchie. Si parla del possibile condizionamento del seppur ottimo arbitro portoghese chiamato a dirigere l’incontro. Tanto per chiudere il cerchio, la foto che campeggia a tutta pagina è quella di Platini che solleva la Coppa dei Campioni nell’infausta notte dell’Heysel. Penso ai giornali di casa nostra e mi consolo. Qualcuno fa shopping nel negozio del Chelsea. E’ un clima prefetto per esaltare la voglia di assaporare il calcio vero. Non c’è tensione. Siamo tutti allo Stamford Bridge per goderci la nostra nottata di Champions League. Ci passa affianco il bus con la Juventus. In prima fila sulla destra vicino ai finestrini Blanc, poi Secco e quindi i giocatori. Sembrano tutti un po’ sorpresi nel trovare tremila adepti a Londra che li acclamano. Solo Buffon accenna ad un saluto con la mano. Un’ora prima della partita si entra. Il colpo d’occhio è fantastico. Finalmente uno stadio solo per il calcio, non come gli obbrobri polisportivi partoriti dai mondiali del ‘90 di montezemoliana memoria. Il primo boato della curva bianconera accoglie il riscaldamento della squadra. Cori personalizzati per Del Piero, Amauri, Nedved ed un po’ per tutti. Il capitano applaude. La curva del Chelsea, quando manca mezz’ora, presenta parecchi vuoti come gli altri settori dello stadio praticamente semi deserti. Passano veloci i minuti e arriva l’ingresso delle squadre in campo. Lo stadio si riempie in un batter d’occho. La Juve punta sul completo oro che già ha portato fortuna a Madrid. L’inno della Champions è un momento di solenne esaltazione. In alto i cuori! Si comincia. I blues scambiano palla come si fa in un torello, conquistano campo e arrivano insidiosi “vicini vicini” alla porta di Buffon . I nostri manco la toccano, se non per affannose respinte ai limiti dell’area. E’ un film già visto con il Bate Borisov in Champions e in svariate altre occasioni. La Juve non c’è e regala la prima mezz’ora agli avversari. Becchiamo gol da Drogba, ma poteva pure andare peggio. Nell’imbalsamato 4-4-2 di Ranieri sembra che le chiavi del gioco le abbiano Chiellini e Legrottaglie. Sono sempre loro che, oltre a spazzare l’area, sparacchiano lanci lunghi in avanti alla ricerca di improbabili soluzioni. Sulle fasce Mellberg e Molinaro sono bloccatissimi, mentre a metà campo Tiago zompetta, Camoranesi arranca, Sissoko e Nedved fanno il possibile. Nel primo tempo Del Piero riesce a andare alla conclusione una volta, Amauri nemmeno quella se si eccettua un colpo di testa bucato. Durante l’intervallo, nei mega schermi passano risultati e video delle altre partite di Champions della serata. A Madrid, Xabi Alonso cerca di uccellare Casillas con un tiro da metà campo e per poco non ci riesce. Io ripenso all’estate scorsa, a Ranieri che sceglie l’acquisto di Poulsen. Mi convinco che quei palloni sparacchiati a casaccio in avanti Xabi se li sarebbe fatti passare e magari saremmo stati migliori di quel che siamo. Quasi non mi accorgo che si ricomincia. Adesso la Juve c’è e il Chelsea piano piano si manifesta per quel che è: un avversario tosto ma battibile. Entra Marchionni che gioca largo al posto Camoranesi e la Juve migliora. Il Chelsea apre le proprie maglie, prendiamo coraggio. Esce Tiago e chissà se entra la stella del nostro mercato estivo? No, Poulsen rimane in panca, entra Marchisio e la squadra migliora un altro po’. Sfiora la rete Marchionni, poi Amauri su cui sembrano esserci anche gli estremi del penalty per un fallo di Cech. La palla non entra. Al terzo minuto di recupero si grida al gol quando Nedved libera dal limite un rasoterra che incoccia in uno stinco avversario e finisce per lisciare il palo della porta degli inglesi. Triplice fischio, si torna casa consapevoli che nulla è perduto, ma che servirà una grande Juventus per ribaltare il risultato e continuare a far vivere il nostro sogno. Mi addormento pensando agli infondati timori paventati da quell’articolo del Daily Mail, tanto che la mattina seguente come prima cosa arraffo il giornaletto nella hall dell’albergo con la curiosità di trovarci dentro chissà cosa. L’articolo lo scrive Matt Lawton, capo redattore, che parla di una Juventus che sta a milioni di miglia dalla squadra che qualche anno fa espugnò l’Old Trafford del Manchester United guidato da Roy Keane. Sono lontani anni luce – scrive il giornalista – gli anni in cui Del Piero, Nedved e Buffon facevano paura in tutti i campi europei. Non mi fa piacere ma mi riconcilio con certa stampa inglese. Penso al surrogato di Juve di oggi e la Juve vera che non c’è più come pensando ad un amore andato. Non mi rassegno. Aspetto che quell’amore ritorni e fantastico ancora. Sogno ad occhi aperti partita dopo partita, passando di miracolo in miracolo fino a ritrovarci a Roma in una notte di maggio a ringraziare la Dea Eupalla. In fondo alla notte il capitano che alza ancora al cielo la coppa dalle grandi orecchie.