London football

rocconeArrivo all'Aereoporto di London Gatwick alle 16,45 ora locale, così ha detto poche secondi fa l'accompagnatrice della Easy Jet, insieme ad un altro centinaio di schiamazzanti fratelli Juventini, che durante tutto il viaggio hanno messo a dura prova i miei timpani.
Andiamo a vincere l'augurio che ci scambiamo all'uscita del Gate.
Mi telefona immediatamente Carlo, è lui che ha i biglietti, rigorosamente acquistati al di fuori dei canali ufficiali della società, è tutto pronto.
Dopo varie peripezie raggiungo i fratelli Carlo, Claudio e Roberta all'hotel Guard nei pressi di Trafalgar square, dopo innumerevoli e vani tentativi di raggiungere Alberto telefonicamente, e si parte per lo stadio.
Stretti come acciughe in Underground, si scende tutti ma proprio tutti a Stamford Bridge, che non è un ponte ma "la casa" del Chelsea, che qui dicono Celsii.
Ti accorgi di essere nei pressi dell'impianto quando praticamente sei nell'anello attiguo.
Dall'esterno sembra un edificio residenziale d'epoca, praticamente un condominio un po' più sportivo.
Il mio biglietto porta la scritta "Matthew Harding Lower" gate 16 rowY seat174.
Chissa dove sarà?
Ci dividiamo perchè ognuno ha una sua specifica Seat ed un diverso Row non parliamo del Gate, così sia. Ci si rivedrà a partita conclusa qui, nei pressi di almeno quattro poliziotti a cavallo. Tutti con il casco in plexiglass, cavalli compresi. Che lusso!
Avanzo in mezzo a moltitudini di fans del Celsii, di italiani neanche l'ombra.
Gate 12, 13, 14, 15... eccolo 16,  finalmente, io entro di lì!
Sono un po' emozionato mentre passo il tornello, nessuno mi chiede niente ed io MUTO!
Meno male, perchè conosco solo l'Italiano ed il Piemontese, meglio il Piemontese.
Salgo sugli spalti ed allo steward che mi si fa incontro faccio vedere il biglietto e chiedo gentilmente "Excuse me, sir, mi indica dove è il MIO posto?"
"Italian???" mi guarda come se avesse visto un esemplare raro di panda.
"Yes, Italian! dove vado?"
Dopo un momento in cui ho realmente creduto che gli occhi gli schizzassero fuori dalle orbite e la bocca gli rimanesse aperta per sempre, si gira e mi accompagna alla fila Y.
Al mio "Thank you" risponde con una pacca di assecondamento, come si fa con i matti.
Un attimo e tutto mi è più chiaro, sono in mezzo alla curva dei Blues.
Prendo posto dopo un secondo di smarrimento ed invio a Carlo tutte le maledizioni che conosco, anzi ce ne aggiungo pure qualcuna.
Dopo pochi istanti si siede a fianco a me Ralph (mi raccomando il ph, ci tiene!) che dopo qualche secondo in cui assume le stesse espressioni di stupore dello steward alla notizia che sono italiano, mi spiega, più a gesti che a parole, che sarebbe meglio tenessi un certo contegno durante la partita, perché (dice lui) potrebbe essere "dangerous".
Dangerous? Perfetto, ho speso un casino di soldi, non so se la mia Signora (rigorosamente maiuscolo) mi rivorrà al ritorno e qui è dangerous. Fantastico!
Di lì a poco arriva Simon un medico di 32 anni, stessa scena stesse raccomandazioni.
Simon però ha una giacca a vento che ha una sua vita a parte.
E' talmente tanto tempo che non la lava che se la togliesse scapperebbe, perché comunque credo puzzi più il padrone.
Passata la "sudditanza psicologica" iniziale, ritrovo l'uso dei sensi e ammiro che lo stadio è un impianto bellissimo con una visuale ottimale, ma l'impianto radiofonico stordisce tanto è acuto.
Il problema maggiore però è l'olfatto questi hanno tutti, ma proprio tutti l'alito alla cipolla ruminata. Terrible.
Intanto continuano ad arrivare supporter, e vengo continuamente presentato come Mario, l'Italiano.
"Italian?" seguito dallo stupore di cui sopra, la reazione di tutti. Ma dopo un po' mi abituo e si abituano anche loro volenti o nolenti.
Ralph mi illustra il Celsii, solo Lampard e Terry il resto tappezzeria dice.
"E Drogba?" obietto, "No good" la risposta.
Sono poco convinto. Arrivano dietro di me gli ultimi due, giovanissimi, capigliatura alla Cherokee e maggior esuberanza.
Di fronte i nostri tifosi cantano qualche sfottò alla Regina ed improvviso e terrificante parte il coro "Celsii, Celsii, Celsiiiiiiiii"! Due minuti poi stop.
Si comincia a giocare, non prima che un enorme bandierone passi sulle nostre teste.
In realtà cominciano a giocare solo i blues, la Juventus come me all'inizio sembra preda della "sudditanza psicologica", puntuale arriva l'appunto di Sammy, uno dei due Cherokee, "Juventus catenaccio?" sono troppo atterrito da una discesa di Kalou per rispondere, ma Ballack mi rincuora con una conclusione altissima.
Ralph estrae dalla tasca un quartino di whisky e si da un po' di coraggio.
"Camon Celsii, camon camon Celsiiii" coro che parte di nuovo improvviso e senza preavviso, Ralph lo grida a squarciagola guardandomi, la vampata di aglio e alcool che ne consegue stenderebbe un toro, ma Mario lo Juventino barcolla soltanto stordito.
Le gambe me le taglia, subito dopo, il goal del vantaggio dei londinesi, intorno a me, seduto, è una bolgia di urla e abbracci, riesco solo ad abozzare "Drogba is not very good neh?" all'indirizzo di Ralph, che dà un'altra sorsata sorridendo.
Lancio di "slow" Tiago per il Capitano, parata di Cech, stringo forte il braccio di Simon, imprecando, lui dall'espressione se l'è fatta sotto, nel senso letterale del termine.
Finisce il primo tempo a nessuno è piaciuta la Juventus, neanche a me.
A  pochi è piaciuto il Celsii, a me nei primi 20 minuti ha fatto davvero paura. Ho temuto la débacle.
Ogni tanto partono i soliti cori brevi, partecipati e improvvisi, di là il tifo Juventino è incessante e rumoroso. Di quell'urlo anch'io faccio parte e mi ascolto religiosamente senza proferir parola. Una partita di calcio è un concerto senza partitura, ha il tempo preciso della musica, ora veloce, ora lento: è un lungo momento, ma è lì in mezzo che c’è tutto.
Sugli spalti si assiste, con passione, partecipazione, emozione. Qui è così. Adesso è così.
"C'è crisi in Italia?" la domanda di Simon mi sorprende, nell'intervallo di una partita di Champions, "Sì!" rispondo secco. Lui annuendo abbassa lo sguardo poi sottovoce ammette "Qui è un disastro". Si becca una pacca di conforto, mal comune non sarà mezzo gaudio ma gli assomiglia.
Inizia il secondo tempo e dopo un brivido iniziale, sembra che la Juve tenga meglio il campo.
Un contrasto di Chiello con Drogba in piena area crea un po' di ruggine tra me e alcuni lì davanti che vorrebbero il rigore, ci pensa Ralph a far da paciere, "It's no penalty!" sentenzia.
"Penalty è quando arbitro fischia" aggiungo io, ma non sono capito.
Adesso i bianconeri vestiti d'oro tengono il campo con autorità e non ci parliamo più, loro soffrono, io spero nel pareggio. Ogni tanto parte il coro e le bottigliette di whisky si sollevano con maggior frequenza, sembra sia una dotazione comune.
Ce l'hanno con l'arbitro, ce l'hanno con Hiddink, con Anelka e Malouda, tremano fino alla fine, in contrapposizione io credo nel pareggio da un momento all'altro, riuscirò a soffocare l'urlo?
Difficile. Anche se very dangerous, come mi hanno detto un po' tutti qui intorno.
Ma quando Trezeguet cicca l'assist di Delpiero capisco che non è serata e di lì a poco da Nedved l'ultima conferma, fuori di niente. Triplice fischio. Game over. Chelsea 1-Juventus 0.
Nel secondo tempo ci stava il pareggio. Ci rifaremo a Torino, spero con gli interessi.
Lo speaker raccomanda ai tifosi juventini, per la loro incolumità, di rimanere fermi nel settore fino a deflusso avvenuto.
"Ciao, Mario" mi stringono le mani i miei vicini anche quelli davanti, qualcuno ironizza qualcosa sugli spaghetti, ci sta.
I due Cherokee addirittura mi abbracciano. Ralph mi saluta, ma è ubriaco marcio e in due lo accompagnano via.
Esco al fianco di Simon e ad un altro dai capelli rossi, in silenzio per la scalinata e fuori dallo stadio, tra un fiume di gente, fino al luogo dell'appuntamento con gli altri, vicino agli almeno 4 poliziotti a cavallo.
Mi fermo e lui mi dice che una volta "come down to Turin", ci salutiamo.
Dopo che ha fatto qualche passo lo chiamo "Ehi! Simon, Torino e la Juventus non sono sotto sono in alto, non sbagliare strada! Grazie!"
Fa ciao con la mano e scompare nel fiume umano.
Dopo circa tre sigarette, arriva Carlo insieme agli altri, lo uccido? Un altra volta.
L'indomani nell'attesa del volo di ritorno facciamo un giro per Piccadilly e Covent Garden, commercio e poesia. L'essenza di Londra. Carlo approfitta per dare un sostanzioso contributo all'economia locale, io mi limito, incantato dalla pomposa maestosità del negozio, a farmi un mutuo quinquennale da Fortnum&Mason in bustine di the.
Impressiona, passeggiando per le vie, l'affascinante quanto stordente multiculturalità ed intreccio di razze, nelle facce che ti vengono incontro. Non si spostano se sei nella "corsia" sbagliata e ti urtano come "piccioni" abituati all'uomo e alle macchine, soli ed immersi nei loro pensieri.
Sono di nuovo all'aereoporto di London Gatwick.
Dopo il decollo sono ad ammirare Londra dall'alto, una stella schiacciata a terra che era di mille colori  e salendo di quota diventa più piccola, gialla, uniforme fino a sparire sotto alle nuvole.
Prima di addormentarmi sul sedile, mi sfiora la mente che, come ogni forma di amore, la passione sportiva si esprime in tutta la sua profondità nello stato d'animo assoluto della vulnerabilità e nella speranza, mi risveglierò a Malpensa.