Fabio Quagliarella will have his revenge on Youtube - Elogio del lavoro estemporaneo

RubricaCampionario - Carico e scarico di calciatori che malgrado tutto non dimenticheremo mai

Fabio Quagliarella ha appena insaccato un altro goal strepitoso. E' da quando lo conosco che fa così. Quaglia non segna poi così spesso ma, quando succede, si tratta invariabilmente di esecuzioni sublimi. Quando succede, non puoi saperlo. Quaglia non fa distinzione tra avversari facili e difficili, partita in casa o in trasferta: ogni tanto - in genere, e senza abuso alcuno di questo modo di dire, proprio quando non te l'aspetti - Quagliarella verga la sua firma barocca su una partita. Sia il Chelsea o il Chievo, una pomeriggio senza pretese o una sfida scudetto, fa poca differenza. Ci sono quei giorni che Quaglia lo fa. Se lo fa, semplicemente non c'è scampo. Se ne esce con qualcosa che non si para, non si spiega, non si crede.

Ha sempre fatto così. Hai presente quel goal che "ti capita una volta nella vita"? Bene, lui fa sempre quello. Tutte le volte. In genere è una parabola spiovente calciata da lontano, l'equivalente calcistico di quei tiri da tre punti scagliati da metà campo all'ultimo secondo che miracolosamente gonfiano la retina (accentate dove vi pare, funziona comunque) una volta ogni tanto dai tempi di NBA Today. Quei tiri per cui anche il poeta non riesce a esprimere null'altro che un banalissimo "che culo". Quei tiri che nel basket, come in qualsiasi altro sport, non possono diventare la specialità di nessuno, proprio perché sono in realtà tentativi disperati, affidati senza troppo scrupoli alla buona sorte. Quaglia, invece, ne ha fatto una peculiarità: il tiro a spiovere da casa sua. Lo esegue dai tempi dell'Ascoli di Giampaolo, quando l'ho conosciuto la prima volta.

Se riusciste a procurarvi una figurina del nostro beniamino quando vestiva la maglia dell'Ascoli ovvero se digitaste Quagliarella Ascoli in Google Images, vi accorgereste di un'altra costante nella sua carriera. Quella estetica. Quagliarella sostanzialmente è sempre uguale da dieci anni a questa parte. Non si può nemmeno dire che non invecchi, perché agli esordi sembrava assai più anziano di quello che in realtà era. Un trentenne, grosso modo. Fu, per questo, in sostanza, che lo sottovalutai. Sospirai con fastidio: se ne esce fuori ora, ormai a carriera finita, con questi goal? Deve trattarsi, sicuramente, di un fuoco di paglia. Quagliarella aveva invece poco più che vent'anni, e se solo l'avessi saputo me ne sarei innamorato allora.
Va da sé, essendo io uno di quei calciofili affezionati alle date di nascita, che scoprii abbastanza presto che questo signore a cui per scroccare una sigaretta avrei dato del Lei, era in realtà ben più giovane di me, quindi effettivamente me ne invaghii e quando sul Televideo trovavo il suo nome tra i marcatori cercavo di non perdermi '90° minuto' per godermi una di quelle traiettorie folli (quest'ultima è un'evidente discronia con l'intento di proiettare in un'età mitica i suoi esordi - i posteri non se ne accorgeranno).

Nel corso degli anni, compresi pienamente questa sua accentuata predisposizione all'immutabilità: Quagliarella non cambiava. In nulla.
Non fraintendiamo: a me piacciono le persone sempre uguali, invariabilmente se stessi in tutte le loro manifestazioni estetiche. Si tratta chiaramente di un effetto benefico perché ti illude che il tempo non stia passando. Non soltanto però il pomo d'Adamo pronunciato, la fossetta sul mento, il colorito olivastro non si mescolavano a un qualsivoglia segno del passare inesorabile del tempo: era proprio il suo modo di giocare a non progredire. Voglio dire: da uno che segna quel genere di goal in età giovane, ti aspetti poi grandi cose. Quelle trovate geniali sembravano per l'appunto la prima acerba manifestazione di un genio a tutto tondo, che piano piano sarebbe emerso fino ad arrivare a piena maturità: approdo a una grande squadra, venti goal a campionato, numeri su numeri. Niente, invece. Non c'era niente di più. Quagliarella continuava a fare quella robina lì: ogni tanto, mai troppo spesso, un goal strepitoso. In mezzo, poco o niente. Un goal ogni tre partite la sua media, sempre.

Quagliarella è poi approdato ad una grande squadra, quando quest'ultima si era dimenticato di esserlo, e ho quindi potuto vedere le sue partite per intero. Ho così scoperto il suo rapporto ossessivo-compulsivo con il pallone. Quaglia gioca a testa bassa, una cosa che normalmente non sono disposto a perdonare a un calciatore. Non gradisce essere servito sulla corsa, ma preferisce ricevere pallone sui piedi. Lo guarda sempre, controlla che non gli sfugga, lo mangia. Quindi per mascherare la sua ossessione per la sfera, a volte se ne libera frettolosamente, altre lo scaglia verso la porta avversaria. Di qui i supergoal di cui sopra. Niente più che un rituale anancastico che riemerge ogni tre partite. Quello che ho visto, insomma, mi è piaciuto molto raramente.

Però.

La sua prima stagione è stata buona, purtroppo interrotta da un brutto infortunio. La seconda un lungo percorso di riabilitazione. Quest'anno è ritornato su buoni livelli. Addirittura, l'ho visto giocare due grandi partite una dopo l'altra, prima col Chelsea e poi contro il Chievo, entrambe le volte risultando decisivo per il risultato. Ha aggiunto al suo repertorio un'altra deliziosa stranezza: il goal in rovesciata da calcio d'angolo, ripetuto in due occasioni. Venticinque goal in sessantanove partite ne fanno oggi il giocatore con la media-goal più alta nella Juventus, tra quelli in rosa. Di questi venticinque, dodici sono risultati goal decisivi, otto hanno sbloccato la partita. Goal belli e decisivi, quindi. Uno ogni tre partite, ci mancherebbe. Zero punto tre periodico. Quaglia sta facendo il suo.
L'unica cosa che non puoi aspettarti da lui è che ripaghi le tue aspettative quando glielo chiedi tu. La sua essenza sta nell'estemporaneità.

Nonostante queste belle cose, e nonostante storicamente i giocatori umorali, geniali, capaci di prodezze, siano molto spesso i preferiti dai tifosi, Fabio Quagliarella non risulta certo tra i giocatori più apprezzati né dalla critica né dal pubblico juventino (e neanche da me, a dirla tutta). Una cosa, in fondo, inspiegabile se non con lo sgretolarsi del ruolo fondamentale della poesia nel definire il nostro rapporto con la realtà. Un uomo con un volto comune, sempre uguale nel tempo, la cui regolarità è scandita da azioni eccezionali che si ripetono con frequenza casuale senza possibilità di previsione, può essere apprezzato soltanto in quella dimensione, infatti. Nello spietato gergo calcistico di inizio millennio si dice invece che "non ha continuità". Una cosa bellissima, per altro, e sempre per la stessa ragione: non avere continuità significa opporsi al senso unico del tempo che passa, ed è per questo che amiamo il calcio, già lo sai.

Noi postmoderni Quagliarella non ce lo meritiamo, ma lui, complice il tempo, ci giocherà una beffa. Anatema: un domani non molto lontano, quando nessuno di noi vorrà più sostenere la fatica di leggere ma sarà totalmente immerso nella liberatoria leggerezza del solo guardare, che cosa rimarrà della storia dei nostri idoli, se non la collezione personale dei goal su Youtube, la compressione di una vita in pochi minuti? E chi può vantare, davvero, un repertorio di reti gonfiate di fattura più pregevole del nostro Quaglia? Credetemi, nel 2090 nessuno consulterà almanacchi per capire chi fosse il calciatore più forte di inizio secolo. Tutti guarderanno e potranno scegliere, senza farsi imporre il pensiero unico degli storici del calcio. In quei giorni felici, due figure si staglieranno sopra la moltitudine: uno sarà Leo Messi, l'altro Quagliarella.

Puntate precedenti:
1 - Mirko Vucinic, simbolo di pace
2 - Paul Pogba e il romanzo di formazione
3 - Simone Padoin, il giocatore di fatica nell'epoca della sua riproducibilità tecnica
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