Torino, provincia di Juventus - Grazie, Bruno Peres

Lo ammetto, e me ne scuso: fino a qualche giorno fa sapevo a malapena della sua esistenza. Già, ma fino a qualche giorno fa mi ero rassegnato a vivere (come ormai succedeva da anni e anni) il derby per quello che era diventato: una partita normalissima, una partita da tre punti come tutte le altre.
Il derby negli anni '70 (per me, l'epoca del liceo) era un evento che coinvolgeva la città. Cominciavamo a viverlo, a respirarlo, qualche settimana prima. E non ne uscivamo più, nemmeno a scuola o al bar, qualunque fosse poi il risultato del campo. E' pur vero che in quegli anni il Toro era spesso la principale avversaria verso lo scudetto, ma è altrettanto vero che proprio in quel periodo imparai ad accettare l'idea che si potesse vincere lo scudetto anche avendo perso il derby. E succedeva spesso.
Ad ogni buon conto, era impossibile sfuggire alla logica della contrapposizione. Che si trattasse di amici, compagni di scuola, insegnanti, parenti, vicini di casa o persone incontrate in autobus, prima o poi con la rivalità Juve-Toro ti ci dovevi confrontare. Va anche detto che all'epoca, per quanto oggi possa sembrare incredibile, il numero dei tifosi granata era più o meno pari (almeno a Torino e dintorni) a quello di noi bianconeri. Comunque, la domenica del derby, se non eri allo stadio, trascorrevi il pomeriggio (a casa o fuori, non importa) appeso alla radiolina nell'attesa dell'inizio di "Tutto il calcio minuto per minuto", che puntuale arrivava gracchiando il responso dei primi tempi.
Un po' di nostalgia per quegli anni è inevitabile, e non solo per motivi legati all'età. Di certo, come detto, allora il derby era una cosa seria, in campo e fuori. Poi, con la fine degli anni '70, la stagione del Toro come rivale credibile è andata pian piano esaurendosi. Di volta in volta, abbiamo avuto (spesso nostro malgrado) le rivalità con Milan, Inter, Roma, Napoli, Fiorentina, perfino Lazio e Parma. Invece, il Torino ha vissuto ancora un breve momento di competitività a metà degli anni '80, e uno all'inizio degli anni '90, in concomitanza con l'arrivo di Moggi in società. Poi, il nulla o quasi, almeno dal punto di vista di chi come noi è obbligato a vincere. Non quella partita, ma il campionato.
Inevitabilmente, il fascino del derby è andato scemando, almeno per me. Quando giochi 38 derby in ogni stagione (nel senso che ognuna delle squadre che incontri gioca contro di te la partita della vita, con tutto ciò che ne consegue), il sapore della singola partita è meno intenso. O meglio, per uno juventino è diventato più difficile sentirne una da battezzare come la più importante. Per il Toro, i derby sono in parte ancora le partite della vita, quelle che valgono (o possono salvare) la stagione. Per noi, i derby col Toro valgono 3 punti ciascuno, esattamente come gli altri 36 derby di ogni anno, giocati appunto tutti contro squadre che giocano la partita della vita.
Intendiamoci, non soffriamo certo della mancanza di un nemico preferenziale: ne abbiamo milioni. Squadre avversarie e relative tifoserie, istituzioni del calcio e non solo, giornali, tv, radio, web (praticamente tutti i media), opinionisti ed ex giocatori, etc. E, qualora non dovessero bastarci i nemici esterni, a livello di tifoseria siamo bravissimi (anziché nel restare uniti di fronte ai numerosissimi avversari citati) nel crearci all'interno nuovi motivi di divisione. Qualunque argomento è buono per il muro contro muro: Moggi, Del Piero, lo stadio, Marotta, il mercato, Agnelli, Giovinco, le 3 stelle, Conte, il bilancio, Allegri, lo sponsor...
Tornando alla stracittadina, ammetto che un certo tipo di "fibrillazione da derby" non riuscivo più a sentirlo. Forse sono invecchiato, forse loro sono davvero troppo scarsi, forse in città non si respira più quel clima che in passato faceva sì che da settimane prima dell'evento iniziassero le punzecchiature e gli sfottò reciproci. Di certo, l'emozione pre-derby era diventata più o meno la stessa che precede qualunque altra partita da tre punti. Ed è così, almeno in apparenza, anche per molti torinisti.
Perfino il mio tabaccaio (granata doc, lui come la moglie e la suocera che stanno in negozio con lui) mi era sembrato, qualche giorno fa, fin troppo dimesso e poco interessato al derby. "Sbagliato fare turnover contro il Bruges: era quella la partita da vincere. Domenica lo sappiamo già che, bene che vada, ne prenderemo 2 o 3". Ovvio che io non creda alle sue dichiarazioni di basso profilo: li conosco da sempre, loro... ma sto al gioco. "Mah, guarda che le partite cominciano tutte da 0-0. E avete un buon allenatore, bravo nel fare partite di contenimento". Lui insiste "Sì, ma obiettivamente non c'è confronto: con voi, prima o poi il goal lo becchi". "Vabbé, ma in campo tutto può succedere. Anche a Genova non c'era confronto ma, anziché segnare, abbiamo poi perso prendendo goal nel recupero". "Ma dai, Nino. E' da vent'anni che non ne vinciamo una...". "Ok, ma non buttatevi così giù prima del tempo. Sennò, come faccio dopo a prendervi per i fondelli?". Quel colloquio si era poi chiuso senza che né lui né la moglie né la suocera mi dessero del ladro.
Anche l'inizio della partita di qualche giorno fa non lasciava presagire nulla di particolare, o di diverso da quanto visto nel recente passato. Troppa differenza in campo. Poi, succede che un giovane brasiliano decida (al limite della propria area) di dribblare Pogba, di evitare Evra, di lasciare per strada Vidal e, dopo 78 metri di corsa, di azzeccare il tiro della vita, cancellando il nome di Benoit Cauet dagli annali della sfida. A quel punto, la solita partita diventa "il derby". La Juve sembra ritrovare antichi timori ed esitazioni da stracittadina, il Toro sembra ritrovare antichi furori ed energie.
Nulla di particolare, per carità. Ma dura per un'oretta, il tempo sufficiente a riassaporare quell'ansia, quell'incertezza e quella voglia di prevalere a tutti i costi, a prescindere dai record e dalla classifica, contro un Toro da derby. Il tempo sufficiente per urlare, incazzarsi e smoccolare come non capitava da anni, in un derby. Tutto merito di Bruno Peres: lo sto odiando, ma a fine partita lo ringrazierò.
Poi, succede perfino che il granata Quagliarella venga sostituito prendendo i meritati applausi di riconoscenza dell'intero Juventus Stadium. Restiamo anche in inferiorità numerica, come a Roma una settimana prima (se quelle due espulsioni fossero state a nostro favore, fioccherebbero le interrogazioni parlamentari, ma vabbé). Dopo aver giocato la peggiore partita della stagione, ci ritroviamo al 93', in 10 contro 11, tutti nella metà campo avversaria. Con il nostro difensore centrale (Bonucci, in teoria ultimo uomo) che sulla loro trequarti anticipa il loro giocatore più fresco (Benassi, appena entrato). E, a 6 secondi dal fatidico triplice fischio, finisce come sappiamo. "Fino alla fine" non è solo un riempitivo per il colletto delle maglie da gara. Fosse capitato ad altri (non necessariamente al Toro) di vincere così, ci avrebbero fatto un dvd celebrativo.
No, l'amico tabaccaio non sono ancora andato a trovarlo. Gli concedo qualche giorno per metabolizzare e cercare di elaborare qualche scusa credibile. Sarà molto più divertente.

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