Cannavaro è un equivoco

cannavaroCannavaro è un equivoco, non è altro.
Cannavaro è nato in un calcio non suo, sì è formato in un pianeta senza frontiere, si è affermato senza pedigree.
Cannavaro è un coriaceo figlio degli anni settanta, nato per sbaglio nel decennio sbagliato.
È un guerriero senza scorza, o un’armatura senza cavaliere. Ma non è colpa sua, vittima inconsistente di un calcio che non sa.
Lui a Soccavo ci è arrivato per inerzia, per rapporti di buon vicinato, più che per attitudine. Una specie di Gigi d’Alessio pallonaro, che sarebbe diventato di diritto un Mario Merola, se solo fosse nato dieci o venti anni prima; e invece si è dovuto accontentare di essere Gigi.
Se stesso: controfigura di se stesso.
Cannavaro è stato sempre così. Una sovraimpressione, un malinteso, una bugia ben raccontata.
Sarebbe potuto essere il nuovo Ferrara, ma ahilui il tempo era passato e con lui la nottata. Quella buona. Quella dei campioni, dei ricchi, di Maradona & Co e dell’Ingegner Ferlaino. E così non è riuscito ad essere neppure Bruscolotti: napoletano bandiera decennale di un Napoli che non c’è più.
Ma si sa, il Napoli è cosa grande, ma grande, il Napoli Calcio lo è stato poco e per pochi anni. Cannavaro non sarebbe stato Ferrara o Bruscolotti neppure se fosse stato calciatore degli anni ’70.
Lì forse sarebbe passato a miglior vita molto prima, appena sbocciato. Catturato dal fascino supremo e senza compromessi della Juve Bonipertiana. Sarebbe diventato un Cuccureddu più bello a vedersi o un Sergio Brio di lunga militanza, uno juventino per forza come tutti i migliori prodotti del Sud di quegli anni.
Si sarebbe formato alla corte dei miracoli sabauda. E come per miracolo sarebbe diventato misurato, allineato, indistruttibile campione senza limiti. Che coppia col silenzioso Scirea. Soave metafora dell’italica geografia torinese di quegli anni.
E poi, a fine carriera, gli sarebbe stato riservato dalla Juventus, da quella che non doveva chiedere mai, lo stesso trattamento che lui ha riservato tre anni orsono a questa Juve che ha sempre chiesto e richiesto. A 35 anni sarebbe stato ceduto in sordina al Catanzaro, al Bologna alla Fiorentina. Come un Claudio Gentile qualsiasi. E di lui non si sarebbe più sentito molto parlare per un po’.

Invece Cannavaro è diventato giocatore in quegli anni lì: quelli in cui il latte si vendeva più della automobili. E invece che dalle ronde mattutine dell’Avvocato è stato svegliato, per anni, dalle folli gesta di Faustino Asprilla e dal bon ton in salsa emiliana dei Tanzi e dei Tonna, della meravigliosa favola calcistica, della provincia senza censo e albo d’oro. Senza vincere mai gli scudetti che gli sarebbero spettati di diritto. Ma si è detto: era tutto un equivoco fin dall’inizio. Così come lo sono stati la Parmalat, il Parma Calcio, la grandeur di una provincia sempre meno provinciale.

Poi l’Inter, non a fine carriera come sarebbe dovuto essere. Non un meritato e ben remunerato riposo dopo le mille fatiche come fu concesso al fido Tardelli. No: un’altra messinscena. L’ennesimo beffardo gioco del destino, un tiro mancino. Un grande bluff. Per farlo diventare un Burgnich senza Facchetti, un piedistallo per busti di cera. E così i sotterfugi, le piccole menzogne, le vanità irrisolte di un guappo senza storia, formatosi senza romanzi di formazione. Senza confini. Tra fallimenti, crac ben finanziati e squadre di ventura. Non è colpa sua, lo ripeto: è tutto un equivoco. Lui non sapeva come si fa e ha fatto così.

È arrivato alla Juventus con piccoli tradimenti tra amici, carinerie tra rivali e l’ennesimo abbaglio.
Quella che sembrava la Juventus fatta per lui. Con Thuram ad affiancarlo come se fosse uno Scirea del colore sbagliato. Quella del duro Capello, di Buffon in versione Zoff più smagliante. Di Bettega e del sabaudo Giraudo. Quella che sembrava ridargli gli scudetti che gli spettavano per lignaggio era l’ennesima illusione. Un ambiguo miraggio fatto apposta per lui. Due scudetti vinti e sottratti. Un pallone d’oro assegnato per sbaglio. A lui che giocava in nazionale sempre con Nesta ed è sempre stato quello scarso dei due. Lui che così rinasce, risplende, rivive per errore.
Una favola che non è la sua. E ora l’ennesimo gioco di sbagli. Il Madrid che torna Real. I Galacticos che si riprendono i Palloni d’Oro, quelli veri, quelli che giocano al fronte, davanti. E lui no. Lui galattico per davvero non lo è non lo è mai stato. Quindi il ritorno senza pace. Molti dicono senza rispetto, ma non è così. Senza formazione, senza indirizzo. Non è colpa sua, in fin dei conti Cannavaro è solo un uomo solo. Un formatore senza formazione. Un Charles Dickens senza David Copperfield.