Juventus-Fiorentina 3-2 e la rimonta da urlo

del pieroThomas Bertacchini

Nel “mare nostrum” dei ricordi della storia juventina la partita che Madama giocò e vinse al "Delle Alpi" di Torino contro la Fiorentina il 4 dicembre del 1994 si trova esattamente su quella linea di confine che separa il calcio dalla poesia. La cronaca dell'incontro, in casi come questi, è giusto che divida lo spazio a sua disposizione con i sentimenti che quella gara è riuscita a trasmettere ai tifosi bianconeri.

La Signorina che non vinceva uno scudetto dal lontano 1986 provava ogni anno un abito nuovo nel tentativo di ritornare ad essere la più bella di tutte. In cambio, però, otteneva soltanto qualche sorriso malizioso, piccole soddisfazioni diverse da quei complimenti che le toccavano il cuore e riempivano la sua bacheca di trofei prestigiosi. La situazione, all’alba della stagione 1994-95, era questa. Ed era troppo poco, comunque, considerando gli ingenti investimenti economici che venivano fatti per renderla sempre più attraente.

A causa delle contemporanee assenze di Roberto Baggio, Kohler, Fusi, Di Livio e Antonio Conte, in quell'ormai famoso pomeriggio di inizio dicembre Lippi fu costretto a rivoluzionare la formazione base, nella speranza di riuscire a presentare sul rettangolo di gioco una squadra comunque competitiva da contrapporre alla Fiorentina di Claudio Ranieri. Che, a sua volta, con la sola esclusione del centrocampista Di Mauro, poteva contare sulla disponibilità di tutti gli altri titolari, anche se qualcuno di loro rientrava da precedenti infortuni.
Nonostante l'aggressività mostrata in campo dai padroni di casa sin dall'inizio dell'incontro, furono i viola a realizzare due goals con Baiano e Carbone, capaci di smascherare i punti deboli di una difesa bianconera troppo preoccupata di controllare Batistuta al punto tale da dimenticarsi dei compagni che gli gravitavano intorno. A poco più di un quarto d'ora dalla fine della gara la Juventus procedeva spedita verso una sconfitta che avrebbe interrotto una serie positiva di quattro vittorie consecutive ottenute in campionato.

Dopo aver tolto Torricelli (costretto a giocare fuori ruolo) ed inserito al suo posto Tacchinardi, prelevato dal campo un Marocchi ormai esausto per aver girovagato in tutti settori della linea mediana, aumentando invece il presidio della fascia sinistra con l’ingresso in campo del croato Jarni, la Juventus ritrovò polmoni e corsa per l'assalto finale. Illuminata dalla regia di Paulo Sousa, spinta dal sostegno incessante proprio pubblico e col suo trio offensivo Vialli-Ravanelli-Del Piero pronto a perforare la difesa dei gigliati, la Signorina tornò d'incanto ad essere la Vecchia Signora del calcio italiano. La Fiorentina non fu soltanto raggiunta e superata con tre reti, ma venne letteralmente “sbranata” dagli uomini di Marcello Lippi.

Gianluca Vialli segnò i primi due goals: in occasione della seconda marcatura, quella del momentaneo pareggio, fece più fatica a liberarsi dall'abbraccio dei compagni (che lo avevano accerchiato per festeggiarlo) che a realizzarla. Cercava di divincolarsi da loro, voleva tornare il più velocemente possibile in mezzo al campo per inseguire un successo che sembrava ormai a portata di mano.
C'è chi un atteggiamento simile lo chiama "grinta", chi "cuore", in realtà il suo nome è un altro: "spirito-Juve".
In quel preciso momento tornò a farsi vivo quel sacro furore agonistico che pervade chi indossa la maglia bianconera, a cui viene chiesto sempre e solo un'unica cosa: vincere. Ai rimproveri che Marcello Lippi fece al giovane Alessandro Del Piero nel corso della gara (uno di questi fu: "Tieni troppo la palla, vuoi andare in porta da solo?") l'apprendista fuoriclasse rispose con una magia in grado di trasmettere ai sostenitori juventini emozioni difficili da spiegare: Alessandro Orlando effettuò un lancio diretto verso l’area di rigore avversaria dopo aver oltrepassato la linea di centrocampo, sulla corsia di sinistra; lui colpì il pallone al volo con l'esterno destro senza fargli toccare il terreno di gioco, disegnando una parabola che scavalcò Toldo per infilarsi in rete.

Lo stadio esplose in una gioia incontenibile: il futuro “Pinturicchio” (così lo avrebbe soprannominato, poi, l’Avvocato Gianni Agnelli) aveva appena messo la firma su uno dei tanti capolavori che caratterizzeranno la sua carriera. La Vecchia Signora si trovò nelle condizioni di poter riaprire nuovamente la bacheca dei trofei più prestigiosi: era ripresa la “caccia”, il bello sarebbe ancora dovuto arrivare. In quel pomeriggio iniziò una dittatura calcistica juventina che - almeno in Italia - sarebbe durata sino al 2006, allorquando venne deciso di cambiare le regole di questo sport e assegnare gli scudetti fuori dai campi di gioco. Quello era l'unico modo per fermare Madama.

Rileggendo ora alcune tra le dichiarazioni rilasciate dai protagonisti nel dopo gara, fanno sorridere le parole pronunciate da Del Piero di fronte ai cronisti in merito alla sua rete: "Forse è stato il mio goal più bello, ma non ne ho segnati tanti da dover scegliere".
Caro Alessandro, ne hai fatta di strada in questi anni...


Claudio Amigoni

Di quel 4 dicembre 1994 ricordo che faceva un gran freddo.
Ero in compagnia di tre amici e avevamo tardato nel trovare parcheggio.
Camminammo a passo spedito per arrivare prima del fischio d’inizio ai nostri posti: settore EST, secondo anello.
Entrammo dall'ingresso adiacente la famigerata "gabbia", che al Delle Alpi era il settore destinato alla tifoseria ospite.
Juve-Fiorentina da almeno 15 anni non era più una gara come le altre.
Dalla parte opposta della grata che delimitava la gabbia un tifoso fiorentino bofonchiò qualcosa, e un amico gli rispose con un semplice sorriso ironico.
Pronta la replica del buzzurro, fiero di vestire l’amato colore jellato: "Che c'hai da fà quel sorrisino? Terrone!".
Gli ridemmo in faccia, e augurammo al nostro provocatore un deprimente ritorno a casa.
Da sconfitto.
Del primo tempo ricordo l’immeritato (doppio) svantaggio sul quale la Juve andò al riposo e i fumogeni e i petardi che i tifosi viola lanciarono (alcuni, purtroppo, finiti a bersaglio) in direzione dei settori confinanti.
Fu durante l'intervallo che, per la prima (e non ultima) volta in quella giornata, ebbi la sensazione di essere testimone di un evento che avrebbe segnato il futuro di quella Juventus.
Perché per me quella partita è stata la chiave di 12 anni di successi: tutto, a mio parere, cominciò quel giorno.
Ricordo l'atmosfera di quel quarto d'ora di pausa: il pubblico era soddisfatto del modo in cui la squadra aveva interpretato il match; nessuno commentò il parziale con sconforto; nessuno pensò minimamente che la gara fosse compromessa.
Nella ripresa ricominciò l'arrembaggio, che si concretizzò ad un quarto d’ora dal termine con l’uno-due firmato da Vialli, episodio che coincise con il secondo segnale forte trasmesso da quella partita.
Una squadra normale che raddrizza una gara del genere si accontenta e porta al novantesimo un onorevole pari, ma una grande squadra vuole vincere.
Si chiama mentalità vincente e, mentre alcuni compagni festeggiavano l’artefice della rimonta, un ragazzo di 19 anni si preoccupava di recuperare la palla dalla rete e riportarla velocemente verso il centro del campo.
Quel giovanotto era Alessio Tacchinardi, classe 1975, arrivato a Torino solo l’estate precedente: pochi mesi gli erano bastati per capire cosa fosse la Juventus.
Infine, quando partì il lungo lancio di Alessandro Orlando, osservai colui che allora era solo il sostituto di Roberto Baggio seguire la parabola della palla e colpirla con un movimento tanto innaturale quanto obbligato, spedendola dove Toldo non sarebbe mai potuto arrivare.
In cinque anni di frequentazioni, non ricordavo di aver mai sentito il “freddo” Delle Alpi ruggire in quel modo, mentre i viola riponevano mestamente i loro vessilli inveendo contro i gobbi “ladri e servi degli Agnelli”.
Per noi fu tutto fantastico.
Immagino lo sia stato un po’ meno per il buzzurro incontrato nel pre-partita…

 

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