Juve, basta parlare. Serve un punto di riferimento

andreaOgni settimana i tifosi italiani sono sommersi da lamentele, polemiche, dichiarazioni, esternazioni di facoltosi presidenti o di allenatori rampanti oppure ancora di carismatici calciatori. Si contestano le decisioni arbitrali, le sanzioni del giudice sportivo, si gridano a gran voce torti subiti e ci si arrogano diritti più o meno legittimi. Talvolta queste proteste sono semplicemente iperboliche coperture, create ad arte per celare crisi economiche, sportive o di nervi; altre volte sono fondate, ma eccessive e reiterate. I media attendono alla riva, con i loro ami, pieni di succulente esche, che gettano all'occorrenza, magari per ottenere un'ulteriore dichiarazione ad effetto, fomentando, così, le discussioni settimanali.
Personalmente non sono un assiduo appassionato di gossip e di calcio non giocato, soprattutto quando l'oggetto della discussione è un episodio futile ed interpretabile; in ogni caso, questa è un'abitudine che fa parte del mondo del calcio, ormai da decenni, e dire se sia giusta o sbagliata francamente non credo sia possibile. Probabilmente è frutto della continua evoluzione della società di massa. Inoltre, nel descrivere tali comportamenti, non si può nemmeno ignorare l'importanza dei soldi nel mondo del calcio: ogni episodio sfavorevole può rappresentare un possibile danno al portafoglio del presidente o un mancato ritorno d'immagine per il calciatore; forse per questo, talvolta, non appena le proteste divengono appena verosimili, qualche risultato viene raggiunto. Il giornale della propria città difende a spada tratta il calciatore, la federazione chiude un occhio, gli arbitri, consapevoli dell'ambiente che li aspetta, arrivano non sereni alla partita successiva e... via a nuove polemiche!
Persino il popolo, talvolta, si rende protagonista di contestazioni e di polemiche: e le società ascoltano il disagio della piazza, ben consci delle possibili "ritorsioni" di alcuni tifosi ai danni di squadra e dirigenza (stadi vuoti, atti di teppismo, fischi, ecc...).
Non riporto esempi perché escluderei certamente qualcuno; non si sta nemmeno puntando il dito contro un modo di fare diffuso e assolutamente lecito. Per dirla tutta, erano bei tempi anche quando c'erano gli Agnelli. E non è una frase fatta di un nostalgico tifoso. La loro squadra, seppur ad epoche alterne, era vincente; ogni sconfitta era preludio di una vittoria, si può dire. Ed era bellissimo, almeno per me, vedere il Dottore e l'Avvocato uscire da una partita con un sorriso o un ghigno forzato, senza parole; anche perché quando parlavano non era mai per niente. Quantità vs qualità. Oggi si misura in "tanto al chilo" o a chi urla di più; loro (e includo pochi altri personaggi a quel livello) erano sottili, eleganti: siamo sempre lì, sciabola contro stiletto.
Ecco, al di là della differenza qualitativa, anche i cultori di una discussione pacifica e dai toni moderati parlavano - e parlano - per esporre un loro pensiero, o un giudizio. Giusto o sbagliato, non spetta a me giudicare.

Il centro della questione è uno solo: mi pare, ma può darsi che mi stia sbagliando anche su questo, che una società in particolare parli un po' troppo di questioni futili e tipiche di ben altri protagonisti del pallone nostrano, quando invece di questioni ben più serie e basilari ne avrebbe, come nessun altro al mondo. Mi riferisco alla Vecchia Signora, così Vecchia da apparire in coma.
Alcuni suoi tesserati si impantanano in discussioni con simpatici giornalisti (astuti pescatori di scoop), cadendo nelle trappole più banali, rilasciano dichiarazioni al limite del dannoso per se stessi e per la società, ricordano Calciopoli come un qualcosa da dimenticare, ma comunque utile, si perdono in un bicchiere d'acqua mettendosi talvolta in ridicolo. Anche qui non voglio generalizzare, ma nemmeno entrare nel dettaglio di episodi noti e di cui si è già discusso.
La domanda è: la società esiste? Invece di sprecare energie al vento per dibattere con giornalisti od opinionisti dell'ultima ora, non sarebbe meglio focalizzare l'attenzione sul vero scandalo calcistico italiano, che non a caso ha investito solo e soltanto la Juventus?
Non sarebbe ora di fermare lo stillicidio di affermazioni banali e poco interessanti, creando un'unità di intenti verso il vero obiettivo da perseguire al di fuori del campo da calcio?
Se è vero come è vero che il versante sportivo è fondamentale per il futuro di questa società, è altrettanto vero che, oltre a vincere in campo, la voce grossa nel post-partita andrebbe fatta verso istituzioni sorde o refrattarie a questo tipo di polemica; naturalmente dalle persone preposte.
Siamo alle solite: quanto la società è interessata a Calciopoli? Difficile da dire. O forse è difficile dire "società", intendendo un unico organismo, quando invece le opinioni sono contrastanti all'interno della stessa. Certo la situazione è paradossale, soprattutto per i non addetti ai lavori o i tifosi meno informati, e basta poco a fare confusione.
Confusione a tutti i livelli: dai vertici, ai dirigenti, all'allenatore, alla squadra. Ed i risultati altalenanti riflettono, a mio avviso, la mancanza di un fronte comune, di decisione e di rigore nei piani alti. Senza un vero leader, che prenda in mano la situazione una volta per tutte, non se ne esce; il rischio, altrimenti, è di assistere alla nascita di uno o due capibranco in ogni settore (in società, nella squadra, nelle relazioni esterne, ecc...), ognuno con i propri progetti, le proprie opinioni... Insomma, urge chiarezza, unità di intenti, fermezza e meno visibilità.
Spero che la situazione sia diversa da come la prefiguro, mi auguro che l'osservazione dall'esterno di un mondo tanto complesso come quello del calcio "aziendalizzato" ed "istituzionalizzato" sia talmente acerba e ignorante da non permettermi di giudicare correttamente la situazione.
Tuttavia, molti tifosi iniziano a sentirsi soli, come se mancasse la terra sotto i piedi, senza un progetto (checché se ne dica), solo tante parole e pochi risultati (e non sarà il call-center appena creato a fungere da stella polare).
La piazza torinese - bianconera in generale - non sarà calda come quelle capitolina e partenopea, e non è nemmeno ipocrita o arrogante. Vuole giustizia e sa che la otterrà, costi quel che costi; vuole tornare ad esultare, e questo non può dipendere solo da noi tifosi.
Al momento non si scorge alcun punto di riferimento, tanto che molti juventini vedono in giornali come il nostro (e ne siamo grati) l'unica voce del dissenso e del disagio. Lottare da soli è difficile, quando la disponibilità economica e mediatica è insufficiente, ma nessuno ha mai realmente gettato la spugna.
Basterebbe davvero poco per ridare fiducia ad un ambiente, e non parlo di promesse, ma di un leader, con uno e un solo progetto serio; e che non dica che vincere è importante.
Perchè "per la Juventus vincere è l'unica cosa che conta".