Da integralista a CamaleConte

conteSolo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione.
James Russell Lowell

Era ritornato a Torino con la fama dell'allenatore integralista, fanatico del suo spregiudicato 4-2-4 quasi come Zeman lo è del 4-3-3. Insomma, ce lo avevano dipinto come il peggiore degli allenatori, ossia quello che non sa vedere oltre il naso delle sue teorie tattiche, convinto che i giocatori debbano adattarsi alla tattica e non viceversa. Evidentemente non lo conoscevano, oppure lo conoscevano superficialmente. Cinque mesi di panchina dicono invece l'esatto contrario e raccontano di un'evoluzione tattica come poche se ne sono viste in passato e in un lasso di tempo così ristretto. Il capolavoro tattico di Antonio Conte sta nell'essere riuscito a modellare la sua creatura passo dopo passo, ma soprattutto di essere riuscito a farlo senza andare a discapito dei risultati. Primo in classifica con quattro moduli diversi ma senza mai perdere la bussola, l'idea di gioco, unica vera traccia immutabile di un percorso giunto forse allo step definitivo. E allora aveva ragione lui (e lo ha dimostrato coi fatti) quando a Bardonecchia dribblava le domande tattiche (allora ci si interrogava sulla adattabilità di Pirlo al 4-2-4) bollandole come "numeri". Non contano i numerini, diceva, contano le idee che si mettono in campo. Integralista delle idee, questo sì. E l'idea di gioco, in effetti, non è mai mutata in questi cinque mesi in cui si è passati dal presunto 4-2-4 modello Siena all'attuale 3-5-2 che, spiazzando ancora tutti, Conte ha definito un 3-3-4. Gli piace stupire.

Si era partiti, dunque, col 4-2-4. Ci si chiedeva quanto sarebbe durato Pirlo a reggere le fatiche del centrocampo con un solo mediano a supporto. Era partito col botto, travolgendo il Parma nella prima allo Juventus Stadium all'ora di pranzo. Ma già in quella partita era in gestazione il primo cambiamento: sul 2-0, infatti, fuori un attaccante e dentro Vidal per gestire meglio il vantaggio. L'idea del centrocampo a tre, con Pirlo-Marchisio-Vidal, era già nella testa sin dalla prima giornata. Stesso discorso a Siena, appena Matri sblocca il risultato fuori Vucinic per Vidal. Alcuni lo chiamavano 4-5-1, altri 4-2-3-1, la sostanza però era una sola: altro che dogmi, se hai Pirlo e Vidal, se hai quel Marchisio già da subito prorompente, disegni il centrocampo attorno a quei tre. E infatti Vidal-Pirlo-Marchisio non li smuove più nessuno a partire da Catania, quarta giornata. Nemmeno un mese di lavoro e già il primo presunto dogma è caduto. Solo l'assenza di Vidal nella partita casalinga col Genoa darà l'ultima, effimera ribalta al 4-2-4. Piccoli cambiamenti collaterali: sistema la difesa ridando fiducia a Bonucci centrale e spostando sulla fascia un sin lì incertissimo Chiellini, anche se poi scopriremo che la difesa a tre nascerà proprio qui, dall'interpretazione che ne danno i due terzini: Chiellini più bloccato e vicino ai centrali e Lichtsteiner più libero di spingersi in avanti, centrocampista aggiunto. Una difesa a tre camuffata, dirà più avanti il mister salentino. Con la bocciatura definitiva di Krasic si arriva a Juve-Fiorentina (fine ottobre) dove il 4-5-1 diventa un 4-3-3 vero: Vucinic non più centravanti ma attaccante esterno, Matri in mezzo e Pepe a destra. Il 4-2-4 è ormai definitivamente in soffitta, ma la creatura non è ancora definitiva.

La prima uscita della difesa a tre è a Napoli, 29 novembre. Per opporsi "a specchio" allo schieramento di Mazzarri Conte stupisce tutti: Pepe mezz'ala al posto dello squalificato Marchisio, difesa a tre con Lichtsteiner ed Estigarribia esterni e Matri-Vucinic punte. Al netto di alcuni clamorosi errori individuali ha ancora ragione Conte che mantiene il 3-5-2 fino alla fine e proprio grazie alla mezz'ala improvvisata Pepe riacciuffa un pareggio cui era diventato sempre più difficile credere.
Sembra una soluzione estemporanea, e in effetti col Cesena si ritorna al 4-3-3; ma quell'idea non è stata accantonata, è rimasta lì pronta di nuovo per la prossima occasione. L'occasione è Udine, ultima fatica del 2011: ancora una volta "a specchio", per meglio opporsi alle ripartenze veloci sugli esterni di Guidolin e di nuovo una prestazione convincente. Udinese mai pericolosa, le solite occasioni sbagliate ma un ottimo 0-0 nel campo dove tutti hanno perso.
Arriviamo ai giorni nostri: il 3-5-2 è il modulo col quale viene annichilita in Coppa Italia una Roma che si presentava a Torino con pretese barcellonesche; e viene riproposto nell'importantissima vittoria "da sei punti" nello scontro diretto con l'Udinese. Si esaltano la tenuta difensiva e i tagli mortiferi di Giaccherini, ennesima grande intuizione di Conte che lo propone in un insolito ruolo à la Iniesta.

Tutto lascia supporre che questa possa essere l'evoluzione definitiva dell'assetto di questa squadra, e anche l'acquisto di Caceres (jolly impiegabile sia nei tre centrali sia al posto di Lichtsteiner, Conte dixit) sembra andare in tal senso. Conte addirittura stupisce tutti definendolo un 3-3-4, visto che in fase offensiva gli esterni agiscono entrambi in appoggio alle due punte. E' un po' il cerchio che si chiude, visto che i movimenti offensivi (sempre Conte dixit) sono molto simili a quelli del 4-2-4 di partenza. Altro indizio: tranne Vucinic tutti gli altri attaccanti della rosa rendono al meglio da punte centrali piuttosto che da esterni d'attacco e lo stesso montenegrino non disdegna certo la posizione da seconda punta classica.

Ribadiamo: la cosa straordinaria è come queste continue evoluzioni avvenute nell'ambito di soli cinque mesi non abbiano disorientato gli interpreti e soprattutto non siano andate a discapito dei risultati. Continui aggiustamenti hanno modellato l'assetto della squadra mantenendo come unica costante l'idea di gioco: il controllo continuo sulla partita, la grande ferocia nella fase di riconquista della palla e la partecipazione di molti uomini alla manovra offensiva; il gioco manovrato palla a terra e gli inserimenti delle mezzeali.
Molti sono stati sinora i paragoni tra questa Juve e la prima dell'era Lippi e punti di contatto ce ne sono indubbiamente diversi. Ma se una cosa accomuna Conte al mister di Viareggio è proprio la grande duttilità tattica dimostrata, il non avere dogmi, checché ne dicesse qualcuno in estate, e la continua ricerca della soluzione migliore per le caratteristiche dei giocatori, senza però snaturare la propria filosofia fatta di aggressività, possesso palla e gioco propositivo. Una Juve camaleontica vera, mica il "camaleonte solido" che tristi ricordi rievoca. Questa è la Juve del camaleConte.