Quella zampata di Altafini

altafiniCorreva l’anno 1972, si era solo a dicembre, ma la Juventus di Cestmir Vycpalek (per il quale quel ritorno a Palermo portava certamente con sé un grosso carico di dolore: un suo figlio aveva perso la vita schiantandosi, contro la Montagna Longa, pochi mesi prima, il 5 maggio, a bordo del volo Alitalia AZ 112) doveva già badare a non perdere contatto con le prime della classe, nella fattispecie Lazio, Milan e Inter.
Il Palermo, che navigava nei bassifondi della classifica, non era certo un avversario proibitivo (sarebbe poi retrocesso), ma, si sa, è spesso contro le piccole che si perdono punti che poi pesano sul totale.
E anche in quel caso, nonostante una partita dominata sul piano del gioco e delle occasioni, sarebbe potuto accadere se…
Se da Napoli, assieme a Zoff, non fosse arrivato in estate il trentatreenne Josè Altafini, vecchio leone dato ormai irrimediabilmente sul viale del tramonto, ma che invece in bianconero riuscì a disputare ancora quattro più che onorevoli stagioni in cui, entrando spesso e volentieri dalla panchina, accumulò un bottino di 24 reti.
Quella volta però José giocò dall’inizio e furono proprio la sua lunga esperienza in area di rigore e il suo fiuto del goal a consentirgli quella beffarda zampata che, passando in mezzo a 10-12 gambe in movimento, finì in fondo alla rete dell’incolpevole Girardi. Tutto era nato da un fallo su Furino: la conseguente posizione, battuta da Causio con un cross teso e violento, sorvolava la difesa rosanero e veniva deviata da Capello verso il vecchio leone che ne faceva il miglior uso possibile. In effetti quella fu tutta un’ottima partita di Altafini, che parve davvero essere tornato quello dei tempi migliori, forse ancor più generoso e combattivo; mancò anche un’incredibile seconda segnatura quando, su invito di Causio, lasciò partire un rasoterra che carambolò sul montante destro, poi sulla linea, poi sul montante sinistro, prima di autoadagiarsi tra le braccia di uno sbalordito Girardi.
Il goal di Altafini permise così alla Juve di continuare la sua rincorsa alla vetta della classifica, rincorsa che sarebbe riuscita a coronare proprio sul filo di lana quando la ‘fatal Verona’ le regalò il quindicesimo scudetto: perché, mentre la Juve a Roma riuscì, in rimonta, ad avere la meglio sui giallorossi col prezioso Altafini e con Cuccureddu, il Milan fu sconfitto per 5-3 a Verona; è pur vero che il Milan quella partita avrebbe voluto posticiparla (in settimana aveva disputato vittoriosamente le finale di Coppa delle Coppe), ma non gli fu concesso, non erano ancora i tempi di mister ‘Ma Lei pensa che io dormo?’. E i rossoneri ebbero a piangere anche su un altro episodio, un goal che valeva tutto il campionato, direbbe Allegri, come quello di Muntari: un goal non fantasma ma solo annullato da Lo Bello per un fuorigioco che non c’era; e quel goal di Chiarugi, che sarebbe costato ai rossoneri la sconfitta contro una Lazio in lotta anch’essa sino all’ultimo per il titolo, valeva quel punto che a fine campionato separò il Milan (a quota 44) dalla Juve (a 45) e dalla speranza di mettere le mani sulla sua prima stella.