Vladimiro Caminiti, il giornalista poeta con la Juve nel cuore

Furino“Causio che si muove in verticale avanti e indietro, Cuccureddu che sfreccia invano cercato da Bittolo (che fa l’ha trovato?), Furino che caracolla come il Settimo lancieri, e Capello sempre impegnato da quel braccio zavorra, con quella testa alta, per vederci meglio, spunta dove meno te l’aspetti, t’infila il terzo goal, avvalorando il podismo nerboruto e ragionato di Furino; ed insomma questi quattro sono i padroni del vapore”.
Questo è un pezzo dell’articolo scritto da Vladimiro Caminiti e pubblicato su Tuttosport il giorno seguente una vittoria della Juve sul Genoa, 3-0, con l’ultimo goal di Capello, colui che correva con il “braccio zavorra”. Si giocava il campionato 73-74, vinto dalla Lazio di Wilson e Chinaglia.
Da notare l’espressione “braccio zavorra”, un’istantanea mostruosa che ci visualizza Capello che corre con il sedere ritto ed il braccio destro che esce completamente fuori dal corpo: era la postura abituale del grande centrocampista friulano.
E’ probabile che quello che sto per scrivere sarà apprezzato maggiormente dai “ragazzi della mia generazione”; con questo pezzo, però, desidererei invogliare ogni amante del calcio dei giorni nostri, i valorosi giovani tifosi, ad andare a ricercare qualche articolo dell’epoca di questo giornalista palermitano, con la sua scrittura di altri tempi, nobile, che oggi purtroppo non esiste più.
Vladimiro Caminiti era il giornalista poeta, lo scrittore che sapeva guardare più all’uomo che all’atleta, miscelando perfettamente nei suoi articoli umanità e cronaca sportiva. E’ stato il punto di riferimento per tanti giovani di quell’epoca, come il sottoscritto, un’epoca in cui l’articolo di Tuttosport era paragonabile ai goal di Sky in tempo reale, un’epoca in cui quelle tre foto pubblicate sul giornale torinese ti facevano sentire vicinissimo ai tuoi campioni, un’epoca in cui il viaggio per Torino era veramente un viaggio, un’epoca in cui “Tutto il calcio minuto per minuto” era come la messa della domenica, un’epoca in cui andavi a letto senza aver visto la Domenica Sportiva e così cercavi d’immaginarti il goal di Bettega, un’epoca in cui ti recavi a scuola e nel quaderno scrivevi la formazione della Juve, un’epoca in cui vincere era questione di vita o di morte, un problema sociale, un’epoca in cui esplodevi in lacrime per un goal di Cuccureddu all’ultimo secondo in quel di Roma, un’epoca in cui la Juve la sognavi di notte.
Ecco che Vladimiro era l’amico di sempre, con i suoi fiumi di parole che ti facevano compagnia, anche prima di addormentarti, e che ti facevano toccare il tuo campione.
Caminiti nacque a Palermo nel 1932. Iniziò la sua attività nella redazione del Popolo di Palermo. Nel 1964 si trasferì a Torino, entrò a Tuttosport lavorandovi sino alla morte. A metà degli anni settanta partì la sua collaborazione con Hurrà Juventus: celebre la sua rubrica “Il diario di Camin”. Ha scritto numerosi libri, il più importante è “Il romanzo del calcio italiano”.
Furiafurinfuretto, così Caminiti chiamava Furino, sicuramente il giocatore più amato dal giornalista, perché palermitano come lui e perché rappresentava, con la sua umiltà e il suo orgoglio smisurato, la rivincita del Sud.
Furino, fiore di quella terra dove batte sempre il sole, era divenuto il capitano della Juve, la sua Juve.
“Ha trascinato, ha guidato, ha sedotto le plebi con la sua plebea forza di cuore, di carattere, di polpaccio. Un uomo vero, nel cuore del gioco e della squadra nei momenti impervi della fatica”.
Così scrisse di Furino dopo la conquista dello scudetto del 1978: amore vero per questo giocatore, dichiarato e confermato nelle sue meravigliose parole.
Alla stessa maniera adorava anche Bettega, l’opposto di Furino, con il suo animo torinese ed il suo distacco verso l’essere umano, così almeno poteva sembrare.
“Ariosa punta a tutto campo, regista all’occorrenza, capace di assolvere ad ogni incombenza, ripartendo con disimpegni accorti, si ripiazza e rimpiazza tutti, converge sulla curva del corner per risolverlo con la sua capocciata in tuffo. Ha avuto una stagione di sospiri, quei goal radiosi alla Finlandia (4), rimasero sospiri, non c’era più in campo, sospirava”. Poesia pura, dedicata a Penna Bianca, e come per Furino in occasione della vittoria del diciottesimo scudetto.
Ecco cosa scrisse di Zoff: “E’ lui il portiere più bravo, meno magnetico, più vero. Il portiere con la fatica degli uomini semplici, questi veneti laboriosi, timidi e obiettivi. Un uomo prima di tutto e poi un portiere. Indifeso dai superficiali. Che deve essere sempre il più grande per farsi capire. Non può sbagliare. Destino dei portieri di ieri, di domani e di sempre. Ha difeso il suo rivale Castellini con parole bellissime. Il portiere della Juve, l’erede di Combi, il primo portiere, voglio dire, che abbia anche classe umana”.
Trovo meravigliose le parole “la fatica degli uomini semplici”. Sembra che Vladimiro stia parlando di un facchino o di un manovale, invece sta parlando di uno dei più grandi portieri di tutti i tempi, umanizzandolo talmente tanto da farcelo sentire immensamente vicino.
Parole poetiche che invece mai usò per Platini. E’ probabile che non l’abbia amato troppo, forse per quella sua puzza sotto il naso sempre e comunque.
Per lui, comunque, sempre grandissimi elogi tecnici: “Michel segna meglio e più del centravanti. La punizione di Michel è un gioiello di precisione e non ha niente di mistificatore. Niente c’è di strano in Michel tranne questa sua semplicità, questo suo sapere andar in campo al nocciolo della del problema, questo potere di sintesi tattica che lo porta in un attimo a realizzare una cosa che in un giocatore di ruolo esalta la sua più specifica qualità”.
Ed ecco il ricordo di Scirea, dopo la sua tragica fine: “La retorica è il mal dell’Italia. Dopo aver vinto tutto, Gaetano doveva tragicamente morire per essere riscoperto, celebrato, raccontato in tutte le salse. Da un sistema uso a celebrare solo i divi, quindi quelli che non gli somigliano. Da un sistema che se ne fa un baffo dei campioni veri, pudichi, umili, li vuole snob, presuntuosi, saccenti. Da un sistema che non gli aveva mai riconosciuto degli onori accordati a tipi molto più superficiali di lui. Io non scrivo che Scirea è stato perfetto. Nessun uomo lo è. Scrivo che è stato Scirea, una persona affabile, vera. Io odio la retorica con tutte le vene, essa mi ha affascinato finché avevo vent’anni, poi l’ho abbandonata. Scirea per me è stato il più grande libero i tutti i tempi ed un uomo con la U maiuscola”.
Ecco, dunque: chi si aspettava parole incredibili su Scirea rimase deluso, trovando un Caminiti quasi avaro di parole.
Infine vorrei ricordare quello che il giornalista scrisse dopo i tragici fatti di Bruxelles, che mi videro saltare da un maledetto muro scalcinato della curva Zeta per un incubo che ancora dura: “Che il coronamento di un traguardo inseguito per trent’anni dovesse arrivare in una sì agghiacciante situazione, chi avrebbe mai potuto prevederlo? Anche noi giornalisti dovremo ricominciare a percorrere le strade del giornalismo che educa, ammonisce, castiga. Il calcio giocato non c’entra con gli assassini dello stadio. La Juve si è rivelata più grande del male con la sua professionalità, intessuta di senso del dovere e di autentico amore per il calcio”.
Senso del dovere che i perbenisti antijuventini accusarono apertamente, con segni pesanti che la Società si sta portando ancora dietro.
Quindi Vladimiro, dopo quella terribile tragedia, era arrivato persino a mettere in gioco il suo lavoro, parlando di educazione, ammonimenti.
Ha seminato al vento il grande Camin. Gli esempi del giornalismo attuale sono evidenti ogni dì, nessuno educa, ma addirittura si porta il tifoso a brandire l’ascia contro il “nemico” dell’altra curva, con violenza inaudita, anche vocale, dolorosa per i nostri ventricoli.
Dovrebbero imparare i signori della carta stampata di oggi da questo signore palermitano, unico e coerente con le sue idee ferme e divulgate per tutta la sua carriera. Imparate “cari maestri della parola”, che cambiate maglia a seconda del vento che tira.
Conobbi Camin una sera d’inverno alla fine degli anni ottanta. Era venuto a Siena per un meeting sul giornalismo sportivo.
Lo feci prigioniero, insieme a due cari amici, per quasi due ore di fronte ad una bistecca chianina.
Ci raccontò tanto di lui e della Juve. Due ore indimenticabili.
Vladimiro, l’elzevirista della stampa sportiva, morì nel 1993. Ha avuto la fortuna di non assistere allo scandalo del 2006.
E’ probabile che avrebbe scritto così: “Due scudetti strappati con forza, cattiveria, dalle casacche juventine, casacche che hanno scritto le pagine più belle del calcio, illuminato i cieli della gloria immensa, vicine all’uomo di tutti i giorni con il sogno bianconero. Casacche violentate, lacerate, bruciate come un vecchio giornale in un camino ardente. Due scudetti strappati con bestialità dal petto di grandissimi campioni, inventori di magie sul campo verde, di uomini che hanno divulgato, con la loro grandezza, la storia della Juve nel mondo. Uomini veri, che vincevano le partite già negli spogliatoi, fissando gli avversari negli occhi, consapevoli che li avrebbero schiacciati come terra fresca sotto potenti ruspe.
No, signori del calcio, noi non vi perdoneremo mai”.
Scusami, Maestro Vladimiro, se mi sono permesso….