Lo Stadium e i tifosi: c'è qualcosa da correggere

StadioIl dato di fatto è incontestabile. La Juventus, intesa come entità sportiva nel suo complesso, ha fatto una pessima figura agli occhi del calcio europeo.
Erano mille giorni che un avversario non veniva ospitato a “casa nostra” per una partita di Champions League.
Era la prima partita del superbo “Juventus Stadium” addobbato a festa per la massima competizione europea.
Era una partita molto importante dal punto di vista della classifica del girone.
E che cosa accade? Stadio con molti posti vuoti e a lunghi tratti silenzioso.
Ora, però, non facciamo l'errore di mettere in relazione questi due fattori e di farne un unico prodotto, perché i problemi sono diversi e molto più complessi di questo erroneo accostamento.

Analizziamo il primo. I settori dell'impianto presentavano un carattere alquanto disomogeneo: le cosiddette "curve" erano occupate in ogni ordine di posto, mentre le tribune frontali all'inquadratura principale delle telecamere mostravano tanti desolanti seggiolini bianchi richiusi. Cominciamo dal fattore "costi" e facciamo subito notare che il listino prezzi della partita di martedì era identico a quello di sabato con la Roma quando lo stadio era all'ennesimo "sold-out". Che è accaduto? Più di qualcosa. In Champions la società ha pensato bene di non creare, per tutti i settori, i cosiddetti mini-abbonamenti per le tre gare del girone, quando invece in campionato la quota di 27 mila tessere sottoscritte in estate garantisce un'alta percentuale di riempimento. Aggiungo che ad essere comprensivi delle gare di Champions sono gli abbonamenti "Premium club" e, infatti, quelle tribune erano praticamente piene: perché non prevedere questo tipo di agevolazione anche per gli altri settori? Unitamente a questo c'è da considerare che, data la disponibilità, in molti hanno scelto di accedere ai settori più economici, dove la visibilità è comunque ottima e di gran lunga migliore a qualsiasi settore omologo degli altri impianti italiani. Il fatto di giocare in settimana, poi, non aiuta di certo, ma non si dica fosse un imprevisto estemporaneo.
Bisognerebbe, soprattutto, occuparsi una buona volta e in maniera approfondita del sistema di vendita dei tagliandi. Il portale di LisTicket lascia aperte molte falle, questo è noto. Ma anche gli altri canali di reperimento non sono efficaci come dovrebbero. La prelazione per i Club Doc, per esempio, presenta molti problemi e nemmeno questo tipo di fidelizzazione garantisce al tifoso la tranquillità che meriterebbe.
Nella solita intervista pre-partita, infine, l'AD Beppe Marotta ha ricordato la tipologia del tifo bianconero, composta da moltissimi sostenitori che arrivano da fuori, cioè lontano da Torino. Questo, oltre a essere vero, è anche arcinoto a tutti quindi, se dobbiamo dirla tutta, più che una scusante io l'ascriverei ad aggravante delle colpe della società!
Non nascondiamoci dietro un dito: la scelta della Juventus di puntare tutto sull'autoreferenzialità dello Stadium è stata fallimentare. La corda è stata tirata oltre la capacità di sopportazione e il punto di rottura è stato raggiunto.

E' giusto precisare, però, che il danno di cui stiamo parlando è "solo" d'immagine perché, dal punto di vista dei ricavi da stadio, la politica degli aumenti ha comunque portato maggiori incassi nonostante la diminuzione dei biglietti venduti. Né tantomeno è giusto collegare la non eccelsa prestazione di martedì sera alla diminuzione dei presenti (30.000 persone non sono mica poche) o, peggio ancora, al silenzio della tifoseria organizzata. Anche sabato c'era lo sciopero del tifo e nessuno se ne è accorto. Sarebbe troppo riduttivo e poco serio anche nei confronti della professionalità dei calciatori e al loro effettivo valore. La bolgia che l'anno scorso ha scandito praticamente ogni partita dello JS ha contribuito a caricare di entusiasmo l'undici bianconero e ammetto che in alcuni momenti della partita contro lo Shakhtar il clima era surreale. Ma è altrettanto giusto ricordare che la Juventus ha fatto prestazioni maiuscole anche in trasferta. E' successo, semplicemente, che abbiamo affrontato un avversario degno di questo nome. E' l'Europa, bellezza!
Il discorso si porta da solo verso l'altra pietra dello scandalo, ovvero il silenzio degli ultras. Affrontare questo argomento significa avventurarsi in un percorso accidentato, ma quello che è avvenuto l'altra sera ha davvero dell'incredibile. Dalle dichiarazioni delle parti ci sembra di capire che il motivo del contendere sia il divieto, imposto dalla società alla tifoseria organizzata, di sventolare i grandi drappeggi identificativi del loro modo di supportare la squadra. Ho ascoltato e letto le ragioni di entrambe le parti e, dico la verità, ho molta difficoltà a parteggiare per l'una o per l'altra. Questa difficoltà scaturisce dalla mia incapacità di comprendere l'importanza che queste bandiere e quel modo di stare allo stadio rivestono per queste persone. Ci sono "liturgie" che non sono aperte a tutti, e il "mondo ultras" è abbastanza settario da questo punto di vista. Non è la prima volta che giungono dagli stadi notizie di persone minacciate, prevaricate o allontanate dal "territorio" da qualcuno di questi gruppi organizzati che marcano la loro presenza e il confine tra ciò che è loro e ciò che non lo è. Questo è inaccettabile in qualsiasi luogo pubblico, figuriamoci all'interno di una proprietà privata il cui titolare ha l'insindacabile diritto di pretendere il rispetto della propria volontà e, soprattutto, delle libertà personali di tutti. Se cento persone, ma anche mille, hanno deciso, martedì, di astenersi dal cantare e incitare la propria squadra del cuore non possono imporre il proprio volere a tutto il resto dello stadio. Soffermiamoci, adesso, sulla portata di questa forma di protesta. Cui prodest? Verso la fine della partita, l'assurdo silenzio veniva rotto dalla Sud con il coro "La Juve siamo noi!". Posso non essere d'accordo? La Juve saremmo tutti, semmai; ma pensare di anteporre la propria affermazione "di categoria" ai risultati sportivi della Juve che scende in campo rasenta l'autolesionismo.
Non voglio esagerare con i discorsi sulla legalità e sulla retorica, in fondo stiamo pur sempre parlando di sport e della visione di uno spettacolo. Non sono certo contrario allo sventolio di bandiere e coreografie assortite, ci mancherebbe. Non credo che la disputa, se così possiamo chiamarla, sia insuperabile.
Resta da capire cosa hanno in mente in corso Galileo Ferraris, se continuare il braccio di ferro con Drughi, Viking, Bravi Ragazzi etc. o scendere a patti verso un compromesso che non distrugga quanto di buono creato dall'insediamento di Andrea Agnelli ad oggi.

Lasciatemi fare, infine, una triste considerazione. Lo stadio di Torino, l'altra sera, era la perfetta metafora dell'Italia. Hanno luogo molte contestazioni nel nostro Paese e i motivi della protesta spesso sono giusti, sacrosanti a volte; ma quando si tratta di fare il passo successivo, non facciamo altro che darci la zappa sui piedi.