Da Juventino infradito a Juventino tradito

Sottotitolo mediterraneo - Minchia, tre anni (con quella lieve cadenza siciliana)
 
Gli ultimi tre anni li ho passati in infradito ma non alla maniera di Nicola Legrottaglie, più che altro alla mia maniera. E cioè, ai tempi della Juventus di Platinì, quando non ero attaccato alla radiolina o allo stadio, mi godevo la domenica comodo. Zero ansia, nessuna incognita Zavarov o Barros. Ci pensava Michel, con un lancio al roscio o con un goal con la erre moscia. Deve essere sicuramente una questione di età se da giovane e orgoglioso tifoso bianconero mi rispecchiavo nei campioni che calciavano piuttosto che nei saggi che pensavano. Ma poi Trapattoni pensava? Quindi viva Michel. E il Trap? Va beh, il Trap! Oggi, dopo 46 primavere, ho ben poco da immedesimarmi in Tevez o Vidal e dev'essere per quello che mi sono appassionato a quel sanguigno Juventino che ha passato, oltre alla carriera da giocatore, tre anni da condottiero con la sciabola in mano nel fortino bianconero.
 
Minchia tre anni, raccontava l'aviatore siciliano tra gli increduli soldati italiani in esilio su una di quelle tante fottutissime isole greche. Tre anni di oblio a fumarsi l'impossibile e a far finta di far la guerra. Tre anni e non c'è Michel? E allora? Mi sono rimesso le infradito comunque, tanto ci pensa Antonio con un fischio, un rimbrotto, un abbraccio e una pacca sulle spalle ai propri giocatori. Tre anni beandomi con gli oppiacei tra i confini nazionali, sia ben chiaro, perché ne ha incontrati di Amburgo il salentino, oh se ne ha incontrati. Ecco il vero motivo della cieca fiducia a Conte, l'età. Invecchiando ci si rincoglionisce, non c'è dubbio. Ci si rincoglionisce e si tende a credere alle favole.
 
Hai voglia ad ascoltare i consigli dei compagni di reparto, dei giovani amici dalla penna smunta: "Ha l'ego grosso come uno Scania con rimorchio", "Pensa solo a se stesso e, in subordine, ai soldi", "E' inutile che ci metti il cuore, tanto va in Nazionale". Eppure non ci credevo. Ripetevo come un mantra che non era possibile. I sani principi dell'uomo forte del sud, l'orgoglio smisurato di chi sbraitava contro la giustizia sportiva, e quindi contro la FIGC che il patteggiamento era un ricatto mentre un contratto con loro allora cos'è? Un inciucio agghiacciante sotto tutti i punti di vista? E allora veramente ci sarebbe da levarsi la maglietta prima di fare qualsiasi dichiarazione, come replicava Antonio a Boban subito dopo quel Milan-Juventus dove un alzabandiera precocemente mandato in pensione sta ancora stringendo gli occhi per mettere a fuoco l'orizzonte. E' tardi, oramai è tardi per strizzare gli occhi, ti hanno già cacciato.
 
C'è poco da scavare per cercare una logica in tutto questo, c'è poco da capire quando accetti di metterti alle dipendenze di chi ti ha confinato per quattro mesi in un vasetto di vetro senza una prova che fosse una dando retta ad un pentito pallonaro che ha venduto se stesso, i suoi compagni, i tifosi e un toast che gli era avanzato dalla cena della sera prima. Altro che oppiacei, Pippo!
Eppure la versione romantica 2.0 che scalcia in me non mi dà tregua. Per un vergine puntiglioso ci deve essere qualcosa di più di 3.8 milioni di euro, tutti gli stages che vuoi in Nazionale e la libertà di entrare in qualsiasi campo d'allenamento d'Italia a qualsiasi ora, in qualsiasi stanza scoreggiando. E muti tutti, che sono il CT della Nazionale che vi riporterà sul tetto d'Europa e del mondo.
 
Ci deve essere qualcosa. Che potrà mai essere? Come mai quel sorriso accennato che lascia pensare? Cosa è passato per la testa di Antonio che ha rivitalizzato quei 10.000 capelli come una sorsata della pozione magica di Asterix? L'idea di una Federazione in ginocchio che lo implora di accettare per risollevare il calcio italiano mentre solo due anni prima lo emarginava e lo costringeva a guardare da fuori o dall'alto? L'idea di diventare l'allenatore di tutti gli italiani alzando la coppa Europea per Nazionali prima e la quinta Coppa del Mondo poi? La speranza del consenso tricolore multipartisan seguendo le impronte di Lippi, bisgobbo sì, ma osannato campione del mondo in tutti gli stadi d'italia? O solo una bella lavata all'immagine per levarsi da dosso quella scritta sotto il colletto della giacca "Vincere non è importante, è l'unica cosa che conta", per riproporsi liberamente sul mercato senza la J marchiata a fuoco sulla chiappa?
 
E chi può dirlo? Io no di certo. Dopo aver creduto alla favola dell'alfiere bianconero che ci difendeva contro tutto e contro tutti forse è meglio davvero se mi ritiro nelle mie stanze a ripassare qualche idolo che, da ragazzino in poi, non mi ha mai tradito. Michel Platinì, appunto. Gaetano Scirea, Paolo Montero, Pavel Nedved, Jeeg Robot d'acciaio e Zagor Te Nay. Questi, per un motivo o per un altro, non potranno più né tradire né deludere. Perché per un tifoso Juventino non è solo importante quello che hai vinto ma anche come lo hai vinto, non è solo importante come sei arrivato ma anche come te ne sei andato, almeno, per un tifoso juventino come me.
 
Quello che mi ha lasciato Antonio Conte lo ha scritto nella storia e sugli almanacchi, servirà a perculare statisticamente qualche antigobbo poi però se devo ripensare al passato, allora carico il carillon con la suoneria di Mediterraneo chiudo gli occhi e rivivo quei tre anni. Minchia tre anni. Solo tre anni, ma nel buio e nel silenzio non chiederò di restare e nemmeno di non andare ad allenare la Nazionale, ma solo di lanciarmi i componenti o di usare il maglio perforante. Non mi freghi più, cara la mia bandiera bianconera, con i lacci e con i tacchetti o con la giacca e la cravatta. Non mi freghi più fino a quando non mi innamorerò di nuovo di qualcosa che sembra per sempre e che, forse, davvero lo è.