Milan: Doping, sospetti e reticenze

Di doping nel Milan si è parlato spesso in relazione ai mitici anni ’60-’70 in cui pare che la pratica delle flebo contenenti sostanze misteriose fosse una consuetudine più che diffusa. Il centrocampista Mario Bergamaschi ha dichiarato che all’epoca della sua permanenza milanista (1957, anno scudettato) era solito prendere «il centimetro», una dose dopante che aveva mutuato il nome dalle dimensioni del liquido contenuto della siringa. Bergamaschi ha aggiunto che, al contrario, alla Sampdoria non circolava assolutamente nulla, nemmeno le vitamine .
Un'altra testimonianza è quella di Nello Saltutti, centravanti morto prematuramente per problemi di cuore, il quale afferma di aver preso di tutto quando militava nella Primavera rossonera («l’infermeria del Milan era una cosa impressionante») e di essere cresciuto di 15 centimetri in poco più di un’estate grazie agli intrugli e alle pozioni milaniste Ma torniamo ai giorni nostri, con tre episodi controversi che riguardano da vicino la società rossonera.

Alla vigilia della finale di Champions League di Manchester, Jean-Pierre Meersseman responsabile medico del Milan mette le mani avanti con una dichiarazione di incredibile meschinità, una excusatio non petita che rende perfettamente, ancora una volta, la dimensione della sportività del Milan: «Dopo aver visto la partita di semifinale della Juve contro il Real Madrid, mi sono posto degli interrogativi… Il Milan è in gran forma, ma se domani i nostri avversari dovessero correre più di noi lo troverei strano». Alla piccata risposta di Lippi, Meerseman aggiunge: «Posso giurare che nessuno al Milan si dopa, e comunque io parlavo di doping in generale (come Zeman?, nda)».
Mettere in giro voci senza fondamento e poi, su quelle, costruire un teorema è una pratica che, contro la Juventus, usano tutti. A proposito di voci, bisognerebbe chiedere a Meerseman come si sarebbe sentito se, prima di una finale, un suo avversario avesse dato credito alle insinuazioni di ambiente meneghino che vedono Milan Lab come una fortezza inaccessibile, dove neppure le mogli dei calciatori hanno il permesso di entrare e dove ci sarebbero particolari macchinari in grado di stimolare la produzione di cortisolo endogeno? Voci, lo ripetiamo, solo voci.

A fine 2003, con la Juventus che sta affrontando il suo processo (vedi dossier) e con l’opinione pubblica che non ne può più dei controlli farsa dell’antidoping, si discute di una riforma radicale che garantisca maggior rigore e attendibilità alle procedure di analisi. La commissione antidoping del Coni annuncia che, a partire dal 6 gennaio 2004 (ovvero, prima giornata di ritorno del campionato), saranno introdotti i controlli incrociati sangue-urine. Sembra una svolta ma il volgo tifante non è ancora al corrente della fregatura: il controllo incrociato è facoltativo e il calciatore sorteggiato può rifiutarsi di sottoporvisi. Il 6 gennaio, giorno dell’introduzione del nuovo controllo, su 12 calciatori sorteggiati solo 6 accettano di farsi prelevare, oltre all’urina, anche il sangue. Le promesse di riforma e di chiarezza sembrano svanire nel nulla, fino a quando non interviene il neopresidente di Lega, Adriano Galliani:

I controlli incrociati vanno fatti! Anzi, voglio introdurre l’obbligo nel prossimo contratto collettivo, e chiederò che venga punito chi si rifiuta. Non capisco perché i calciatori debbano rifiutare di sottoporsi a questo tipo di esame: altre categorie, come i cuochi (?) lo fanno periodicamente. Chi vuole fare il calciatore e firma un contratto da professionista, deve sapere che dovrà sottoporsi a questi esami. […] chi si rifiuta vorrà dire che farà un altro mestiere. (Gazzetta dello Sport, 7 gennaio 2004)

La Figc, per bocca dell’onnipresente Carraro, si conforma alla linea dura proposta da Galliani: «i giocatori che rifiutano i controlli incrociati aranno esclusi dalla Nazionale». I giornali approvano: finalmente qualcosa di concreto.
Ma non passa un anno che già arriva la sorpresa. Il 20 marzo 2005, dopo Roma-Milan (0-2), i rossoneri Pancaro e Gattuso rifiutano di sottoporsi al prelievo del sangue mentre i sorteggiati della Roma, Curci e Pipolo, accettano. Sui giornali scoppiano le prime polemiche e, successivamente, viene rese noto che anche l’olandese del Milan, Clarence Seedorf, aveva rifiutato il doppio controllo dopo Atalanta-Milan (1-2) del 5 marzo. È nel diritto dei calciatori rifiutare il prelievo del sangue ma, dopo le parole infuocate di Galliani, stupisce che proprio tre rossoneri, nell’arco di due settimane, si siano avvalsi di tale opportunità. La difesa del Milan e dei suoi due tesserati è veemente ma contraddittoria: la società spiega che i calciatori non si sono sottoposti al test poiché il pullman della squadra era in procinto di partire per l’aeroporto, Gattuso invece afferma che non sussistevano le necessarie condizioni igieniche per procedere al prelievo: la sala dell’antidoping sarebbe stata “invasa” da dieci persone non autorizzate e le siringhe per il prelievo sarebbero state collocate su un tavolo vicino al luogo dove si raccolgono le urine. Galliani, invece, tace.
In un comunicato ufficiale il presidente della Federmedici sportivi, Maurizio Casasco, sconfessa le giustificazioni addotte dai rossoneri:

Gattuso non è mai entrato nel locale del prelievo ematico ma solo nel locale predisposto per la raccolta del campione di urina. Lo stesso atleta non poteva in alcun modo aver visto siringhe, sigillate o meno, per il semplice fatto che per tale prelievo viene utilizzato un particolare dispositivo “vacuteiner system” che non contempla l’uso di siringhe, in ogni caso assenti dal locale. Nel separato locale del prelievo urinario non era presente nessuna persona non contemplata dal regolamento antidoping Wada-Coni. I medici sportivi non trattano gli atleti come “animali”, ma esercitano il loro ruolo con sensibilità e serietà professionale. Pertanto non è giustificabile che per giustificare una decisione, peraltro legittima, si facciano affermazioni prive di verità e se ne attribuisca la colpa al comportamento dei medici.

C’è puzza di bruciato, che rischia di diventare un incendio quando, qualche giorno dopo, viene reso noto che nel mese di Febbraio altri 10 calciatori avevano rifiutato il controllo del sangue, due dei quali erano milanisti. Emerge quindi che, nell’arco di un mese e mezzo, su quindici rifiuti ben cinque erano di calciatori del Milan. In pratica, il 33%. Di fronte alle accuse, il responsabile medico del Milan, Massimiliano Sala, sottolinea che chi si oppone alla raccolta del sangue deve poi sottostare ad esami più severi per quanto riguarda le urine, ma la Procura di Torino sbugiarda anche questa tesi difensiva: i test antidoping eseguiti sulle sole urine, anche se più approfonditi, sono inutili. Le urine dei calciatori, infatti, dal momento del prelievo a quello delle analisi di laboratorio non vengono refrigerate. In questo modo è impossibile rilevare la presenza di Epo, sostanza per la quale è stato appositamente introdotto il controllo sul sangue.
Inoltre, il responsabile dell’antidoping, Giuseppe Capua, aggiunge che l’analisi sulle urine può rilevare la presenza di Epo fino a 3-4 giorni dall’assunzione, mentre quello sul sangue è in grado di spingersi fino a 15-21 giorni:

ANSA - Roma, 22 marzo 2005 - '”Mi batterò affinché chi rifiuta i test incrociati sia punito”. Questo il pensiero del professor Giuseppe Capua, presidente della Commissione Antidoping della Federcalcio, interpellato dall'Agenzia radiofonica Grt dopo il rifiuto dei milanisti Pancaro e Gattuso di effettuare l'esame del sangue al termine del posticipo Milan-Roma di domenica scorsa. “'Sono profondamente dispiaciuto perché si tratta di due giocatori della Nazionale. In particolare mi dispiace per Gattuso che fa parte dell'Assocalciatori, un’associazione con cui siamo confrontati a lungo per mettere a punto questa procedura. C'era pieno accordo nella modalità di esecuzione dei test e sul fatto che dovessero essere fatti a sorpresa. Purtroppo non ci si rende conto che a così alti livelli si destabilizza un ambiente che ha bisogno della collaborazione di tutti”.
[…] Il responsabile antidoping della Figc ha poi voluto rispondere al medico sociale del Milan, Massimiliano Sala: “I due giocatori non hanno messo a disposizione dei medici niente di diverso dal solito. Visto che viene fatto il controllo dell'Epo, c’è già bisogno di una quantità maggiore di urina, ma sarebbe stato fatto comunque nel momento in cui viene fatto il prelievo del sangue. Il problema è che nei test sul sangue i valori alterati restano per 14-21 giorni. Sulle urine il tempo scende a 4-5 giorni. Tutte queste cose il medico del Milan le sa. Invece di giustificarsi, dovrebbe seguire la via del rigore che stiamo cercando di dare a questo mondo”


Rimangono molti dubbi, che le televisioni del Biscione si guardano bene dal sollevare. L’unico intervento è di Berlusconi: «Comunque il doping è uno scandalo montato dalla sinistra». Ovviamente.
Nonostante i proclami di Galliani e le promesse di Carraro, Gattuso e Pancaro non vengono esclusi dalle convocazioni per la Nazionale. Inoltre, il centrocampista del Milan, che è consigliere dell’Aic (Associazione Italiana Calciatore) sembra aver dimenticato di essersi battuto per l’introduzione della nuova metodologia di controllo, come conferma l’impegno preso di fronte a Campana:

A gennaio dell’anno scorso scese in campo in prima persona l’Assocalciatori: il suo presidente Sergio Campana proclamò che, dopo le iniziali perplessità proprio sul prelievo del sangue, i giocatori erano stati ben informati sulla nuova frontiera dell’antidoping e tutti (nessuno escluso) avevano accettato il controllo incrociato sangue-urina. (Gazzetta dello Sport, 21 marzo 2005)

Ma non è finita qui: il 21 dicembre 2006 viene annunciato che i controlli antidoping svolti dopo Milan-Roma (1-2) dell’11 novembre hanno rilevato la presenza di sostanze dopanti (prednisone e prednisolone) nelle urine dell’attaccante rossonero Marco Borriello. La società comunica che la non negatività è dovuta ad una pomata vaginale usata dalla fidanzata del calciatore, la quale gli avrebbe trasmesso le sostanze in questione durante un rapporto sessuale. Una difesa originale che viene però nuovamente smentita dai fatti:

ANSA – 17 gennaio 2007. Le controanalisi hanno confermato la positività di Marco Borriello, giocatore del Milan trovato positivo a due corticosteroidi, il prednisone e prednisolone il 21 dicembre scorso, dopo Roma-Milan. Secondo quanto dichiarato dai medici, il quantitativo di sostanza ritrovata nelle urine esclude l'ipotesi di uso “superficiale” quale pomata o spray.

Quindi, se la pomata è da escludere, come ha assunto il calciatore quelle sostanze? Non lo sapremo mai. Silenzio tombale dei media, nemmeno Zeman ha mosso un dito. Forse le strisce della maglia erano del colore sbagliato.