Perché i media continuano con la balla della cupola Moggiana?

gogna mediaticaUno degli argomenti preferiti dai giornalisti sportivi italici è quello di comparare Moggi con Facchetti e gli altri personaggi implicati nelle telefonate di Farsopoli per concludere, ovviamente, che quelle di Moggi sono peggiori e la loro gravità è di un livello superiore, tale da giustificare le sproporzionate e gravissime sanzioni subite dalla Juve. Per limitarsi a Facchetti, si legge sul Guerin Sportivo: “Giacinto Facchetti dal punto di vista dei comportamenti calcistici rimane cento volte meglio di Luciano Moggi”. Sconcerti invece scrive: “Sono convinto esistano differenze fondamentali tra Moggi e Facchetti”. E Zappelloni, sulla Pravda Rosa: “Le sue intenzioni, umanamente, non sono da condannare. Basta leggere le sue intercettazioni e magari riascoltarne l’audio per capire, anche dal suo tono di voce, che ciò che chiedeva era ben diverso da quello richiesto da Moggi”.
Ma perché vi è questa necessità impellente di distinguere, quasi si trattasse di mettere in atto il precetto evangelico di separare il grano dalla zizzania? E' evidente, le “nuove intercettazioni” hanno riscritto la storia di Calciopoli, trasformandola in Farsopoli, rendendo palese quali fossero i fatti e quali le suggestioni. E nessuno vuole ammettere che le telefonate sfuggite hanno sgretolato la teoria dell'esistenza della cupola e quella di un sistema che governava nel calcio.
Fu l'ex pm Narducci, durante la requisitoria del processo abbreviato (notare il contesto, che portò alla condanna in primo grado di Giraudo, prima che venissero scoperte le telefonate sfuggite!), ad affermare in modo perentorio che non esistevano telefonate di altri dirigenti con il mondo arbitrale. Poi invece s'è scoperto che non solo ci parlavano anche gli altri, ma, fatto ben più grave, erano state "trascurate" anche molte telefonate che dimostrano l'innocenza di molti indagati. E proprio queste ultime sono fondamentali per il processo di Napoli e per la comprensione di Farsopoli. Chi ha ascoltato l'arringa dell'avvocato Gallinelli (che assiste l'ex arbitro De Santis) ha potuto avere un'idea della loro importanza per il processo e per la comprensione dei fatti. Prima della scoperta delle nuove intercettazioni si poteva immaginare che arbitri e designatori non si parlassero quasi mai al telefono, o meglio l'accusa aveva teorizzato che si parlassero solo attraverso le fantomatiche schede svizzere. Invece s'è scoperto che arbitri e designatori si parlavano prima dopo ed anche durante le partite. Si parlavano, commentavano gli episodi di gioco e valutavano le decisioni prese sul campo. Così abbiamo sentito che Pieri in quel Bologna-Juve non diede il fallo dal limite alla Juventus in quanto istigato a favorire la Juve, ma semplicemente perché “se Ibrahimovic non riesce a saltare è perché il difensore fa fallo”; o che, se De Santis non sospende la partita Lecce-Juventus, è perché i capitani delle due squadre quella partita volevano giocarla e perché il Lecce stesso s'era impegnato nel rendere praticabile il campo. O ancora tutte le telefonate di Racalbuto in merito a Roma-Juventus o tutte le telefonate discolpanti di Dondarini di Bertini di Pieri e di molti altri. O ancora la telefonata del dopo Roma-Juve tra Bergamo e Pairetto, con i due che discutono dell'astio di Carraro verso la Juve, con Bergamo e Pairetto che senza peli sulla lingua affermano: “Ma a noi che cazzo ce ne frega chi vince il campionato...”. E questi erano i sodali di Moggi. Per non dimenticare le centinaia di telefonate di Meani che, se un giorno non parlava con qualche decina di arbitri e guardalinee, era perché era afono o aveva dimenticato il telefono a casa. Ma di tutte queste telefonate si preferisce non parlare, ci si concentra sulla comparazione Moggi-Facchetti, e su come Facchetti e gli altri dirigenti intercettati fossero diversi e meglio rispetto a Moggi.
Come se Farsopoli fosse tutta qua, nel decidere chi fosse meglio tra Moggi e Facchetti.
E non si trattasse invece di un'operazione finalizzata solo a distruggere Moggi e la Juventus, come ormai appare evidente. Perché le pene ridicole inflitte alle altre squadre non possono minimamente cambiare quanto emerge dai fatti. I fatti dicono che vi è stata a monte una selezione delle telefonate, da una parte quelle buone per l'accusa (qualche decina), dall'altra (e sono centinaia se non migliaia) quelle che l'accusa la smentiscono. Selezione che è alla base dei processi sportivi del 2006.
La Juventus è stata privata di due scudetti e spedita in serie B perché a monte vi è stata quell'operazione di cernita e selezione, e già nel settembre 2006 lo stesso Borrelli davanti alla commissione Giustizia del Senato aveva ammesso che si era operata da parte della Giustizia sportiva una scelta discriminante delle intercettazioni da utilizzare senza coinvolgere minimamente le difese, ledendone in tal modo i diritti. E tutte le decisioni conseguenti sono frutto di quel peccato originale; anche la decisione di non impedire l'assegnazione dello scudetto all'Inter è in realtà frutto di quella selezione mirata delle intercettazioni.
Ciò che conforta è che, anche se i media principali continuano a non prenderne atto, alcune delle parti lese l'hanno finalmente fatto. L'ha fatto la Fiorentina, l'ha fatto il Milan, e l'ha fatto anche il nostro Andrea Agnelli che ora, dopo quanto si è appreso in merito agli orientamenti del Consiglio Federale, sembra finalmente intenzionato a dare battaglia legale per restituire alla Juve la dignità calpestata dalla farsa di 5 anni fa.