Sciopero dei calciatori: le reali questioni in discussione

pallone sgonfioSciopero anomalo dei calciatori per mancanza del contratto collettivo, quello dello scorso weekend: nessuna decurtazione di stipendio, prestazioni rinviate a data da destinarsi, non c'è una vera e propria astensione collettiva dal lavoro, perché i giocatori continuano ad allenarsi e a giocare partite amichevoli. In sostanza c'è un blocco del campionato di calcio di serie A e la FIGC sta a guardare come se fosse una faccenda che riguardi solo Lega e Associazione Calciatori.
Due sembrano essere le questioni in discussione, quella del contributo di solidarietà e quella degli allenamenti differenziati o meno per le squadre con rose ampie.

Veniamo al primo punto. La posizione della Lega è chiara: il contributo di solidarietà dovrà gravare sulle retribuzioni dei calciatori. Meno chiara è la posizione dell'Associazione Calciatori: il suo rappresentante, Tommasi, si limita a dire che nessun calciatore ha sostenuto o dichiarato che le società debbano pagare il contributo, in qualche caso anzi affermando di essere disponibili al pagamento della nuova imposta. Di fronte alla replica di Beretta, rappresentante della Lega, che la questione si può risolverla in fretta mettendo per iscritto la disponibilità dei calciatori, il buon Tommasi nicchia e svicola.
Evidentemente all'interno della sua associazione non c'è uniformità di vedute, probabilmente da parte dei calciatori.
Quale può essere la situazione contrattuale dei calciatori con le società? Possono esserci stipulazioni al netto delle imposte e in questo caso dovrebbero intendersi quelle esistenti al momento del contratto, con la conseguenza che il contributo graverebbe sui calciatori.
E se in qualche patto con le società si fa riferimento al netto da imposte presenti e future? Clausola di dubbia legittimità quella dell'esenzione da imposte future, comportando oneri al buio e violando il principio costituzionale della capacità contributiva. Ma sarebbe comunque clausola contraria all'etica pubblica, poiché farebbe dei calciatori una casta di privilegiati, che si sentono e si ritengono al di fuori della società comune, quella stessa società che li accoglie e li coccola come divi.
Male ha fatto Tommasi a non firmare la dichiarazione che la Lega gli chiedeva, perché il buon senso l'imponeva e ci avrebbe fatto bella figura.
Ora pare che il Governo abbia cambiato idea, per lo meno finora, e che il contributo non lo pagheranno più i privati e quindi neppure i calciatori. Pagheranno i soliti. Un problema in meno, ma fino a quando?

Più complicato il secondo punto. Fuori dei casi di mobbing, già puniti dalla legge penale, qualche ragione i calciatori ce l'hanno. La rosa ampia di una squadra può essere il pretesto per nascondere, dietro scelte tecniche, quelle che tecniche non sono, per esempio l'opportunità economica di un buon trasferimento del giocatore sotto contratto ad una destinazione non gradita dallo stesso.
C'è un però. Le rose ampie sono un'opportunità non solo per le società (avere validi ricambi, bloccare giocatori per non concederli alla concorrenza...), ma anche per i calciatori. Senza rose ampie ci sarebbero meno giocatori di serie A, meno contratti e retribuzioni di serie A, meno trasferimenti vantaggiosi per molti; insomma si dovrebbe ipotizzare un sistema più sobrio e meno esposto alle prevaricazioni dei club più facoltosi. In definitiva ci vorrebbero regole diverse. E questo è il motivo che conduce alla FIGC, l'istituzione delle regole, che però si atteggia ad osservatrice, stimolatrice, verificatrice, senza prendere posizione e decidere.
Cambiarono in una notte la regola sull'acquisto di extracomunitari, a trattative in corso, riducendo da due a uno il limite massimo, contro il parere delle società e per motivazioni tuttora incomprensibili. Diano una limatina al monte giocatori delle rose e forse il problema si risolverà da sé.
Oppure prepariamoci a vedere partitelle d'allenamento 20 contro 20.