Sentenza Giraudo: due Paparesta al prezzo di uno?

PaparestaQuello che segue è il primo di diversi articoli che tratteranno le motivazioni della sentenza d’Appello di Giraudo e che cercheranno di evidenziare le diverse inesattezze in esse presenti. Qualcosa sulla questione già è stata scritta in realtà, sul blog, e vi ci rimandiamo per ulteriori informazioni:
Giraudo: le motivazioni/1
Giraudo: le motivazioni/2

Il tribunale di Napoli ha condannato Giraudo alla pena di un anno ed otto mesi nell'appello del processo Calciopoli celebrato con il rito abbreviato. Il tribunale ha riconosciuto Giraudo colpevole d'associazione a delinquere pur senza esserne promotore, e di aver commesso la frode sportiva per la partita Juventus-Udinese del 13 febbraio 2005; per le altre imputazioni è stato assolto.
Le motivazioni della condanna di Giraudo non possono tuttavia esimersi dall'analizzare la posizione di Moggi, ritenuto promotore dell'associazione e colui il quale teneva i contatti con designatori ed arbitri. Questo perché per dimostrare la colpevolezza di Giraudo vi è la necessità per il giudice di trovare elementi per sostenere la compartecipazione dello stesso nell'associazione e nelle frodi. Tali elementi vengono individuati dal giudice in alcune conversazioni tra Moggi e Giraudo e tra altri indagati, e soprattutto nelle cene a cui partecipò lo stesso A.D. bianconero.
Senza elementi di congiunzione tra Moggi e Giraudo sarebbe stato impossibile sostenere una colpevolezza dell'ex amministratore della Juventus. Giraudo infatti non è possessore di sim svizzere, non risultano sue intercettazioni con i designatori, né tantomeno con gli arbitri.

Il giudice riporta come primo elemento la telefonata tra i due dirigenti bianconeri del 7 novembre 2004, quella successiva alla partita Reggina-Juventus, la famosa gara arbitrata da Paparesta. Nella conversazione, Moggi e Giraudo discutono sulla direzione di gara dell’arbitro e si dicono d'accordo nel far fermare Paparesta e gli assistenti. Si tratta di una conversazione con toni molto duri nei confronti della terna arbitrale: una conversazione chiave per il giudice, in quanto ritenuta dimostrativa della piena corresponsabilità di Giraudo. Scrive infatti il giudice:
.... 'li facciamo fermare tutti', ricevendo l'adesione del dirigente Juventino il qual di par suo, non si limitò ad auspicare severe conseguenze 'li devono massacrare', comprensibilmente inviperito per la conduzione dell'arbitraggio, ma, significativamente, per quello che qui rileva, stabilì con il suo DS, che dunque aveva il potere di ottenere quanto si richiedeva, quali dovessero essere le conseguenze: 'il duo non lo impieghi per un bel po’… gli assistenti devono stare fermi più di due mesi, tre mesi” ricevendo conferma dall’altro: “lui adesso starà fermo tre o quattro settimane poi ricomincia dalla B'. In tutta evidenza il direttore sportivo aveva già avuto assicurazione da chi di dovere circa il trattamento riservato agli esperti di gara (gli assistenti Capolli (Copelli, ndr) e Di Mauro non arbitrarono più in quel campionato partite della Juventus)".

Il giudice, con un salto logico non supportato da elementi di fatto, dà per scontato che Moggi ottenesse quanto richiesto ai designatori; Giraudo, in questa conversazione, dimostrerebbe - sempre secondo la logica usata dal giudice - di averne piena conoscenza, e chiede a Moggi di far fermare la terna. Tale asserzione fatta dal giudice non è però supportata da alcun elemento di fatto. Sappiamo infatti che né Paparesta né gli assistenti subirono punizioni esemplari.
Ma se la punizione paventata da Moggi e Giraudo (“li facciamo fermare tutti” “li devono massacrare” “lui adesso starà fermo tre o quattro settimane poi ricomincia dalla B”) non trova riscontro alcuno nei fatti, com'è possibile sostenere che Moggi ottenesse quanto richiesto? E, soprattutto, com'è possibile sostenere che Giraudo avesse piena contezza del potere di Moggi presso i designatori?

Continuiamo a parlare di Paparesta, dato che alle prime pagine delle motivazioni si evidenziano diversi errori grossolani commessi dal giudice. Prima di addentrarci nel dettaglio, è bene però ricordare, a chi non lo sapesse o lo avesse dimenticato, chi è Romeo Paparesta.
Romeo è padre dell'arbitro Gianluca, ed è colui che, sentito nel corso di un'udienza del rito ordinario, confermò di aver ricevuto quattro schede sim svizzere da Moggi, e più precisamente quattro telefonini contenenti già una scheda all'interno.
Le ragioni che spinsero Romeo Paparesta ad intrattenere un rapporto col dirigente bianconero risiedevano nella volontà del primo di ricoprire incarichi tecnici nell'AIA. Sarebbe stato Tullio Lanese, all'epoca presidente degli arbitri (A.I.A.), a consigliare al Romeo di rivolgersi al direttore bianconero, in quanto, a suo dire, Moggi sarebbe stato soggetto molto ascoltato in ambito federale, con un certo ascendente, in particolare, su Franco Carraro, all’epoca Presidente della FIGC.

In uno dei primi incontri avuti con Moggi, a Napoli, il direttore bianconero si sarebbe lamentato del potere delle squadre milanesi e romane. Ossessionato, come dg della Juve, soprattutto da Milan e Inter, o meglio dai loro continui tentativi di sgambetto nei suoi confronti, Moggi chiese così a Romeo Paparesta di aiutarlo: ogni settimana Romeo sarebbe dovuto andare a vedere una partita di Serie A, meglio se di Milan o Inter, per segnalargli eventuali episodi poco limpidi a livello di direzione arbitrale. E' a questo scopo che Moggi gli consegnò un primo e poi altri telefonini, con in rubrica due numeri suoi e due del ds del Messina Fabiani. Quel telefonino rappresentava una sorta di rimborso spese, dato per invogliarlo a chiamarlo (tanto è Moggi a pagare) e a fornirgli informazioni.
Quanto a suo figlio Gianluca, all’epoca arbitro di serie A, Romeo in aula è molto chiaro: sia lui che Moggi si impegnarono a vicenda affinché quel loro rapporto non interferisse con l'imparzialità di Gianluca, che venne pertanto tenuto all'oscuro di tutto:
"Lasciamo completamente fuori tuo figlio, perché tra l'altro è anche una situazione di imbarazzo quella che c'è tra te e tuo figlio che arbitra [...] mi sembra che tu possa essere più garantito della gestione di questo tipo di rapporto nel senso che non crei assolutamente problemi per tuo figlio [...] (domanda del PM: "Non lo doveva sapere?", ndr) no, a parte il fatto che non lo ha mai saputo né gliel'ho mai detto, proprio sapendo che lui ricopriva un ruolo che conoscendo questo rapporto poteva anche creargli qualche influenza in positivo o in negativo e quindi per questo ho evitato di parlargliene".

Che in quel telefonino consegnatogli da Moggi ci fosse una SIM straniera, Romeo manco se ne accorge, non conosce nemmeno i numeri che chiama (vede solo la rubrica con i nomi di Luciano 1 e 2 e Angelo 1 e 2), e a volte userà quel cellulare anche per telefonate normali con parenti o conoscenti, quando ha problemi con quello suo personale. Questo il passaggio dell’udienza su questo preciso punto:
PM: Si ricorda che tipo di apparecchio cellulare era?
Romeo Paparesta: Era un Nokia, perché tra l’altro era molto simile a quello mio personale, forse era proprio lo stesso adesso che mi ricordo.
PM: Teneva già una scheda dentro?
Romeo Paparesta: Sì, aveva una scheda, tra l’altro io non conoscevo di che genere fosse quella scheda perché non mi era stato detto e quando la utilizzavo parlavo tranquillamente come se fosse una scheda normale, cosa che invece poi ho saputo nel momento in cui si sono sviluppate quelle indagini che hanno portato a questo...


Dopo questo breve resoconto introduttivo, passiamo alle motivazioni.

Il giudice del processo d'Appello, in relazione alle schede sim svizzere, afferma che:
la finalità reale del possesso delle schede svizzere, probatoriamente rilevante per il tema trattato, è ampiamente confermato in primo luogo dalle dichiarazioni dei Paparesta, i quali riferirono di averle avute da Moggi, che spiegò loro di avere optato per lo stesso sistema anche con altri personaggi operanti nel mondo del calcio; i due diedero conto delle ragioni dei loro contatti (l'uno aveva interesse ad essere integrato nel sistema eventualmente quale designatore di un organo tecnico nazionale, l'altro ad ottenere incarichi arbitrali prestigiosi ai fini della carriera) precisando che Moggi aveva adottato l'espediente perché, a suo dire, interessato a 'difendersi' dallo strapotere della 'cupola' delle squadre milanesi e romane".

In questo stralcio presente alle prime pagine delle motivazioni compaiono diverse inesattezze che meritano di essere evidenziate.
In primis, immagino vi sarà balzato subito agli occhi che per il giudice sia Romeo che Gianluca Paparesta ricevettero sim svizzere da Moggi. Non può trattarsi di un mero refuso, di un banale errore di distrazione dell’estensore, perché il plurale, “i Paparesta”, ricorre continuamente in tutto lo stralcio. Scivolone ed errore grossolano sono i termini più idonei per descrivere l'abbaglio del giudice.
La storia è infatti nota a tutti: ad aver ricevuto le schede svizzere, ad averlo ammesso con racconti più che circostanziati, fu solo, ed esclusivamente, Romeo Paparesta, non anche il figlio Gianluca. L'arbitro, diversamente da ciò che la sentenza afferma, schede da Moggi mai ne ha avute e. non avendole ricevute, ne consegue logicamente che mai avrebbe potuto affermare - e difatti mai ha affermato – di averle adoperate al fine di "ottenere incarichi arbitrali prestigiosi".

In secondo luogo, mai Moggi spiegò ai Paparesta, tantomeno al solo Romeo, di aver adoperato quelle schede svizzere che i due possedevano “anche con altri personaggi orbitanti nel mondo del calcio”. Di una simile confessione non esiste alcuna traccia, e che non possa essere mai avvenuta, d’altronde, ci arriviamo anche solo adoperando un po’ di logica. Infatti, a parte che Gianluca Paparesta schede mai ne ha avute e va escluso che possa pertanto aver recepito una simile confessione dal Moggi, chi ha letto il resoconto presente ad inizio articolo avrà capito che Romeo neanche era al corrente che quella inclusa nel telefonino regalatogli da Moggi fosse una scheda straniera. Ditemi voi, dunque, se ha senso che Moggi gli abbia confessato di aver elargito sim elvetiche anche ad altri, se Paparesta nemmeno sapeva di averne una egli stesso nel cellulare.
Al massimo, ma solo a posteriori, Romeo Paparesta, e magari lo stesso Gianluca in maniera de relata, avranno dichiarato che quel telefonino conteneva anche il numero di Fabiani (di uno, non di chissà quanti “altri personaggi orbitanti nel mondo del calcio”). Non è, cioè, che Moggi lo “spiegò” loro all'epoca, dicendo loro di aver dato schede anche ad altri. Paparesta ci sarà arrivato, al massimo, con lo scoppio di Calciopoli, a realizzare che anche quei numeri di Fabiani presenti sul cellulare fossero, o potessero essere, riconducibili a schede svizzere.

Nelle motivazioni si legge che Moggi avrebbe precisato ai Paparesta (ancora al plurale) di aver adottato l’espediente delle sim svizzere “perché, a suo dire, interessato a difendersi dallo strapotere della 'cupola' delle squadre milanesi e romane". Sarebbe questa sorta di "confessione" fattagli da Moggi la ragione per cui le dichiarazioni dei Paparesta, si legge, hanno confermato la finalità reale del possesso delle sim svizzere? Sembrerebbe di sì, almeno a leggere lo stralcio sopra riportato. Le usava per difendersi Moggi, dunque?
Ancora una volta, comunque, si fa un utilizzo del tutto ingiustificato del plurale: del potere delle milanesi e delle romane infatti, Moggi ne parlò col solo Romeo Paparesta, non certo, e non anche, col di lui figlio Gianluca. In secondo luogo, di questa confessione che Moggi avrebbe reso a Paparesta, dell'avere usato sim straniere come mezzo difensivo, non c'è alcuna traccia. Anche in questo caso è la logica, oltre ai documenti, a venirci in aiuto: è mai possibile che Moggi abbia confessato l' "espediente delle sim svizzere" e le ragioni del loro utilizzo a Paparesta quando Paparesta nemmeno sa che quella nel suo cellulare è un "espediente", cioè una sim straniera?

Più avanti nelle motivazioni, infine, il giudice riporta quello che a suo dire sarebbe un esempio di "indiscutibile potere di condizionamento proprio del direttore sportivo juventino". Significativamente, dice infatti la sentenza, "al Moggi, su indicazione di Lanese, si affidarono i due Paparesta per vedere realizzate le loro aspirazioni di carriera".
Ancora una volta “i due” sarebbe in realtà “un uno”, e cioè sempre Romeo. Perché fu lui, e solo lui, che su indicazioni del presidente dell'AIA Lanese si recò da Moggi per “vedere realizzate le sue aspirazioni di carriera”, non anche Gianluca.
Questo citato dal giudice, ad ogni modo, è forse uno degli esempi meno idonei per fornire una dimostrazione del potere di condizionamento del dg bianconero. Perché se è storia che, consigliato da Lanese, Romeo Paparesta si rivolse a Moggi nella speranza di ricoprire incarichi nell’AIA, non bisognerebbe neanche dimenticare cosa ottenne Paparesta dall' interessamento per le sue sorti da parte del potentissimo Moggi.
Raccontano che Romeo, nonostante tutto, lo si poteva trovare in giro con in mano un pugno di mosche.
Il figlio Gianluca, invece, abbiamo potuto apprezzarlo di recente in qualità d'opinionista negli studi di Mediaset, e certamente non per merito di Moggi!