Milan-Inter, è già tutto deciso?

Galliani e MorattiSembra tutto già scritto, sembra tutto scontato. Pare di tornare indietro agli anni Sessanta, quelli della tanto reclamizzata “Scala del calcio”, quelli dell’Inter del “caffè miracoloso” di Herrera e del Milan dell’abatino Rivera. La stampa e l’opinione pubblica in genere sono d’accordo, anche chi di calcio, di norma, si disinteressa blatera scemenze, per il solito strano motivo che in Italia, quando si parla di calcio si sentono autorizzati a farlo anche cani e porci, con sommo rispetto per gli animali. Basta drizzare un minimo le antenne e ci si rende conto che da qualunque prospettiva si osservi e si ascolti, la prossima stagione sembra già destinata ad essere un lungo duello milanese. L’Inter di Mourinho contro il Milan di Ronaldinho. Fa anche rima. L’allenatore più mediatico del pianeta contro il calciatore più pubblicizzato del globo, se non vogliamo più considerare Beckham un calciatore, ammesso che lo sia mai stato. Entrambi hanno trovato casa a Milano, la “Milano da bere”, come la chiamavano negli anni Ottanta, dallo slogan pubblicitario di un noto amaro meneghino. E, almeno dal punto di vista propagandistico, diciamo che le armate rossonerazzurre sono avanti anni luce rispetto alla concorrenza.
Le milanesi occupano uno spazio nei notiziari sportivi almeno quanto le previsioni del tempo e gli animali abbandonati monopolizzano “Studio Aperto”. Parafrasando un altro celebre motto, si può tranquillamente dire che è “tutto intorno a loro”. Le rivali non esistono. L’Inter, del presidente più Onesto che sia mai apparso sulla faccia della Terra, osannato dai suoi devoti amici della Gazzetta dello Sport (rapporto a rischio diabete, tanta la dolcezza che scorre tra le parti), rispettato dal resto dei media grazie alla strategia di occupazione dei salotti di tv nazionali e locali e delle redazioni dei giornali di riferimento, piene zeppe di elementi dalla provata fede interista.
Le campagne pubblicitarie fanno spesso ridere, d’accordo. Però sono di impatto, se ripensiamo a quella de “Io sono interista”, possiamo dire che la si trovava ovunque, sui tabelloni e negli spot televisivi. Quella campagna inneggiava al primo dei TRE SCUDETTI che l’Onesto Signore rivendica come suoi. E il codazzo di servi pronti a genuflettersi. Anche ora che ha iniziato la Nuova Sfida, la più intrigante: l’avventura con lo “Special One”, l’allenatore che dovrà portare l’agognata Champions League, nota specialità del portoghese per nulla “pirla”, che ne ha vinte ... una!
Poco importa che il club da lui appena lasciato e costruito nel tempo con denari e capricci sia giunto all’atto conclusivo della manifestazione proprio nell’anno del suo burrascoso addio, per giunta con in panca un carneade qualsiasi. Ma questi sono dettagli che i non interisti non possono capire, quel che conta è il giudizio del pubblico nerazzurro, che ama già visceralmente il suo “Maurigno”, idolo in confronto al quale “Bellicapelli” è già dimenticato e trattato come una moglie-zavorra alla quale tocca pagare gli alimenti. Gli ex-tifosi di Robertino pensano e dicono quel che di negativo si è sempre detto da altri punti di osservazione contro il tecnico jesino. Assistendo agli allenamenti di questa Nuova Inter, si ricava l’impressione di essere al cospetto di un manipolo di esaltati, gente ormai esageratamente incontinente, persone che la fanno fuori dal vaso senza poi pulire il pavimento. Qualsiasi cosa faccia “Mr. Iosonospesiale” assume contorni epici, come fosse un semidio. Ho visto tifosi applaudire mentre “El traductor” si sfregava le parti basse per “risolvere” un fastidio, e ho sentito urla sul genere “folla al concerto dei Beatles allo Shea Stadium” per un cenno di saluto del buon Josè all’indirizzo del pubblico. Tanta enfasi, tanti lustrini e tanti proclami, un inno alla grandeur interista, una società che a tutti il 22 luglio ancora una volta ha dimostrato la propria supremazia sul mercato, scegliendo il meglio.
Ma sarà davvero così? Hanno preso Amantino Mancini, da due anni separato in casa a Roma, ormai riserva di caccia esclusiva nerazzurra, hanno ripreso il figliol prodigo Adriano (completamente rigenerato, ne siamo certi) e aspettano di rivedere il miglior Stankovic che, parole di “Maurigno”, non si vede “dai tempi della Lazio”. E stanno trattando Lampard, che da quel che si legge sembrerebbe interista da mesi (anni, oserei dire) ma non si può dire perché sennò quel pover’uomo di Abrahmovic cade in depressione e, quindi, o si cerca di far digerire al russo la cosa per gradi, oppure, se Frankie Jr. non arriverà a Milano, sarà solo per l’ennesimo gesto magnanimo dell’Onesto Signore. Che al momento deve propendere per la strategia “per gradi”, visto che il numero 8 dei blues è in Cina con il Chelsea, ma per non farsi mancare nulla convoca il manager del suo “Spesiale” (e di un’altra miriade di giocatori, portoghesi e non), per far parlare i giornali di Quaresma, altrimenti noto come “Firenze ricama”.
E’ tutto surreale: quanto è bella, grande, forte e onnipotente l’Inter, un Paradiso dove tutti vogliono approdare e dove si comprano solo fuoriclasse. Qualche giorno fa una notizia-brivido: Xabi Alonso alla Beneamata. Giocatore normale finchè lo trattavano altri (“una riserva di Senna, Xavi e Fabregas”), tramutatosi improvvisamente in fenomeno appena avvicinato all’Inter. Infine, la perla di queste ore: Muntari, anche lui, guarda caso, accostato di recente alla Juventus come centrocampista di ripiego, e qui tutti a storcere il naso, prima dell’annuncio di Poulsen. Come da copione, i commenti alla notizia dell’interessamento nerazzurro per il bravo Sulley sono esattamente di segno opposto: “gran giocatore “ è il più gettonato.
Mi sbaglierò, ma se vogliamo parlare solo di calcio, stando così le cose, l’ago della bilancia sarà il tendine rotuleo di Ibrahimovic.
Ma se per ora se Sparta piange, Atene non ride. E Atene è la squadra del Presidente del Consiglio, quella che fino a qualche tempo fa aveva più uomini suoi ad occupare cariche politico-sportive di quanti mariti e amanti avesse avuto Liz Taylor, e seppur la situazione oggi sia parzialmente cambiata, in realtà lo è solo formalmente.
Il Milan è da sempre abituato a stupire, sin dai tempi degli elicotteri. Con la grancassa di Mediaset, son riusciti a creare un’immagine fasulla ma talmente radicata nel cervello dei telespettatori che nel tempo si è evoluta da “Invincibili” a “Meravigliosi”.
Per la cronaca, la teoria del “Milan meraviglioso” nacque poco prima della disfatta di La Coruna, quando a sorteggio effettuato, Zio Fester disse testualmente ad Ancelotti: “Carletto, ci tocca andare in finale di Champions League anche quest’anno!”. E invece sappiamo tutti come finì. Ma queste cose spariscono subito, cancellate, nessuno ne parla più, come cadde la censura sui lampioni marsigliesi o la rimessa non restituita di Bergamo, tanto per fare i primi esempi che vengono in mente. Sarebbe interessante sentire in proposito il moralizzatore Sacchi.
Scommetto che prima o poi arriverà qualche fenomeno a raccontarci che l’annata in Coppa UEFA è voluta perché nel progetto originario del Presidente c’era di mettere le mani su tutti i trofei dell’Universo e nella bacheca di Via Turati questa Coppa manca. Ma è il mercato attuale del Milan a sembrare una cosa da circo.
Il Milan acquista un mediano con alle spalle una sola stagione da titolare in un club che da anni non vince nemmeno un torneo rionale e per giunta lo strapaga vincendo la concorrenza di una ex-rivale ormai volontariamente declassatasi al rango di comprimaria. Non contenti, in Via Turati decidono di esagerare, riportando a casa il 26 enne ex-centravanti del Genoa, reduce dalla prima stagione decente della sua carriera, più famoso per l’avvenenza della sua ragazza e per le pomate vaginali da lei utilizzate che, in seguito ad un rapporto, lo avrebbero fatto risultare positivo al controllo antidoping. Ma per aumentare il livello di gnocca tra le “ladies” rossonere (particolare al quale il mondo berlusconiano è tutt’altro che insensibile), non si trascura nulla, ed ecco che la signora Zambrotta sbarca a Milano in compagnia del marito, che corona un lungo ammiccamento con i rossoneri, un corteggiamento che dura da almeno due anni, cioè da quando il comasco smise la maglia della Juventus e, secondo alcune censurabili malelingue, smise anche di giocare a calcio. Il tutto mentre in quest’altra metà dell’idilliaco cielo milanese si registrano i dolori del povero Gattuso, al quale sovviene la malinconica idea di andarsene.
Tutto sotto controllo ovviamente, il Milan è una grande famiglia, non scherziamo nemmeno, basta promettere qualche euro in più e i problemi si dissolvono magicamente. Ma nonostante i roboanti acquisti di cui sopra, la magnificenza del “club più titolato al mondo” ha bisogno del colpo ad effetto. Ed ecco che il prescelto viene inseguito, corteggiato, lusingato. E’ un obiettivo chiaro, e una società seria e di vertice come il Milan se vuole un giocatore, lo prende, senza se e senza ma. Ma soprattutto lo fa alle sue condizioni. Come no? Per settimane si parla di Eto’o, poi di Adebayor, poi si punta al ritorno di Shevchenko. Risultati concreti zero, nonostante le dichiarazioni esplicite verso i vari obiettivi, mutevoli come il clima di questa estate. Alla fine arriva Ronaldinho, un giocatore di talento straordinario, che ha però il difetto di condurre da almeno due anni una vita stile John C.Holmes anni Settanta. Il giocatore promesso in campagna elettorale e poi più volte rinnegato (strategia raffinata, non v’è dubbio alcuno) è finalmente rossonero, con somma gioia e delirio totale di tutto il popolo milanista. Popolo che assiste al colpo teatrale di Fester, che firma il contratto che lega al Milan quello che sembra sempre più il sosia di Snoop Dogg (che avrà il numero 80: saranno i chili?), durante la conferenza di presentazione, con aria da consumato attore, tutto tronfio: “Son tre anni che inseguiamo Ronaldinho”.
Gli altri obiettivi? Dimenticati da tutti. Tutto questo, nell’attesa di sapere cosa farà Kakà, visto che quel povero straccione del russo trasferito a Londra ogni giorno parrebbe rilanciare offerte a suon di 50 milioni la volta.
In conclusione, il “sentimento popolare” (brutto termine, ma ci sta) che vuole le milanesi dominanti è più frutto di un lavoro mediatico che tecnico. E il rammarico sta nel fatto che con un minimo di coraggio e competenza, da quelle che ormai sono considerate le provincie dell’impero, anche in questo periodo di confusione, si potrebbe ragionevolmente mostrare la targa posteriore alle squadre della cara Milano. Peccato che chi storicamente ha gabbato le milanesi abbia fatto la formichina col braccino da tennista (ovviamente). Dopo aver acquistato il capellone 28enne che ancora non ha capito per quale Nazionale giocare in futuro, ha compiuto una serie di investimenti onerosissimi (?), quali quelli per Knezevic, Mellberg, Marchisio, De Ceglie e Giovinco ma, soprattutto, anche quest’anno si è distinta per la straordinaria capacità di trattenere i suoi campioni storici, il più giovane dei quali ha già festeggiato i trent’anni. Fino a quando non è arrivato il Grande Danese, che è la razza di un bellissimo quanto maestoso cagnaccio: Poulsen, venuto per portare anche qualità. Vabbè…
Il mister Ranieri, in questo inizio di stagione ha già dimostrato in più occasioni quale sarà l’andazzo: un anno all’insegna di tranquillità, serenità e pacatezza. Diversi esempi in questo senso si sono già notati quando l’allenatore romano si espresse con educazione e garbo a proposito dell’ombra di Lippi, finalmente allontanatasi da lui; allo stesso modo quando discusse di qualità di rosa e di solido camaleontismo. Un vero signore, con i nervi a posto, una vera garanzia per la stagione entrante, considerato che siamo a luglio. Prepariamoci ad una stagione emozionante. Per gli altri, forse. Altrove, precisamente da Roma, si va avanti da mesi al ritmo di una balla ogni ora (o forse mezz’ora), tra presunti acquirenti interessati alla società e fantomatici acquisti avvicinati al “club degli amorosi Sensi”. Che, per intenderci, non hanno una lira da investire sul mercato ma ai quali la stampa amica accosta Huntelaar, Julio Baptista, Iaquinta ecc.
Resta da vedere cosa combineranno a Firenze, tra marmocchi terribili e giocatori in cerca di riscatto, con un mister che non sarà lo “Specialone” ma il fatto suo lo sa.
Anche se sinceramente, contro questa Milano ormai mitizzata, mi sembra ci sia obiettivamente poco da fare.

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