Un'Europa da non lasciar perdere

blancNon si chiama neanche più Uefa che, a chiamarsi Uefa, evocherebbe parecchi ricordi, tanto dolci quanto importanti. Importanti come lo era la Coppa Uefa ai tempi delle "tre coppe": una lunghissima rincorsa che vedeva sfidarsi, a eliminazione diretta, squadre di grande livello, molto spesso le vincitrici del campionato in corso, come lo diventò la nostra Juve nell'anno della sua ultima finale, quella persa sfortunatamente nel 1995 contro il Parma di Scala, con quel goal meraviglioso di Vialli nella finale di ritorno a San Siro. Ricordo dolce perché ci riporta alla stagione del ritorno di una grande Juve, quella dell'esordio di Lippi. Stagione in cui, scherzi del destino, tutto vincemmo tranne quella Coppa Uefa, che avevamo alzato due volte negli anni del dominio rossonero, nel 1990 contro la Fiorentina e nel 1993 contro il Borussia Dortmund. Fu la prima delle cinque finali europee della Juve di Lippi, un piccolo record.

Oggi quel torneo si chiama Europa League e raccoglie, non in senso figurato, gli scarti della Champions League. A farla da padrone negli ultimi anni le squadre russe e ucraine, che affrontano il girone di Champions League nel loro periodo peggiore, a campionato finito o quasi, evidentemente logore (e questo la dice lunga sulla performance dell'Inter in Europa anche quest'anno), mentre in primavera, a campionato appena cominciato, sono più pimpanti che mai. Un torneo per "lavoratori stagionali", insomma.
L'edizione in corso, inaspettatamente, si è però vista impreziosita dal degradamento delle due "grandi malate" di quest'anno: il Liverpool e, per l'appunto, la Juventus, che diventano favorite d'obbligo, sia per blasone che per valori tecnici in rosa, per la vittoria finale.
Non è evidentemente il trofeo dei sogni, né una competizione normalmente nelle ambizioni di una squadra come la Juve. Da quando è stata inaugurata la nuova formula che l'ha resa un "residuo" della competizione maggiore, infatti, la Juventus l'ha giocata una sola volta, nel 1999-2000, primo anno di Ancelotti, sacrificandola per altro senza troppi indugi alle esigenze del campionato con una sconfitta a Vigo, contro il Celta di Makélélé, determinata da due sin troppo ingenue espulsioni nel primo tempo (il capitano Conte e un dolcissimo Montero).

Quest'anno bisogna invece, imperativo, arrivare fino fino in fondo, conciliando obbligatoriamente i risultati europei con la rincorsa al quarto posto in campionato. Non si butta via niente, non si può, nell'attuale momento di difficoltà. Guai a peccar di spocchia, l'unico valore che Blanc sembrerebbe aver trasmesso alla squadra, tanto è vero che si diceva certo di arrivare almeno agli ottavi di Champions League (al punto dal non sottoscrivere la consueta assicurazione contro l'uscita prematura dalla coppa?) chiaramente sovrastimando la sua creatura, ma anche peccando di presunzione nei confronti di due squadre comunque di livello come Bordeaux e Bayern
Le ragioni per affrontare seriamente l'Europa League sono anzitutto economiche. Per preciso volere di Platini, che intende riequilibrare il calcio europeo, i premi pagati sono aumentati del 400% rispetto all'anno scorso. Le cifre dunque non sono certo quelle della Champions League, ma bisogna anche tener conto di quanto lontano, verosimilmente, la Juve sarebbe andata nel massimo torneo continentale, in caso di qualificazione al secondo posto. Realisticamente agli ottavi di finale, che valgono 3 milioni. Per superare questa cifra bisogna, in Europa League, centrare la finale, che garantisce, tra biglietteria e premi, intorno ai 4,5 milioni di euro. La vittoria garantirebbe un ulteriore milione, più il diritto a disputare la lucrosa Supercoppa Europea, il prossimo anno.
C'è quindi la questione del ranking UEFA che serve per rimanere nella seconda fascia e trovare un sorteggio favorevole il prossimo anno. Bene: per il coefficiente, le vittorie in Europa League contano esattamente come quelle di Champions League (lo Shakhtar ha totalizzato più punti del Barcelona lo scorso anno). Ed è bene vincere per non complicarsi la vita ancora prima di partire il prossimo anno.
Ancora: il torneo, nonostante sia svalutato, può proporre sfide evocative come quella di giovedì con l'Ajax o quelle possibili con Liverpool, Roma o il Marsiglia del nostro Didier: sfide che alzano lo share e l'interesse internazionale verso la Juve, oltre a riempire lo stadio. Non parliamo poi, ancora, di un eventuale accesso in Supercoppa.
Inoltre, dopo quasi 4 anni, bisognerebbe in qualche modo riabituarsi a vincere qualcosina.

Una vittoria non salverebbe certo la stagione - un quarto posto e l'uscita ai gironi in CL rapppresentano un fallimento per qualsiasi Juve - ma aiuterebbe a partire meglio nella prossima, di stagione, con qualche milioncino in più, un sorteggio tranquillo e il blasone della Supercoppa.

Si parte con l'Ajax, si diceva. Dolci, ancora una volta, i ricordi: si vola fino agli anni '70 quando perdemmo in finale di Coppa Campioni, con l'onore delle armi, contro un Ajax, quello di Cruijff, troppo forte per tutti. Nel 1996 troppo forti per tutti eravamo noi che battemmo in finale i lancieri di Van Gaal, che l'anno prima aveva fatto piangere il Milan degli "Invincibili"; e così l'anno dopo quando li sconfiggemmo con un distruttivo 4-1 in semifinale. Ancora, l'ArenA ci fa venire in mente uno dei goal più belli della storia juventina, quel "tocco sotto" di Nedved nel 2004, che pietrificò l'intero stadio e anche chi guardava in televisione. Per un secondo abbondante, il tempo ha continuato a scorrere solo per Pavel che lo governava, più forte di ogni cosa.
Troppo facile dire: giochiamocela come avrebbe fatto lui. Alla morte.