La lezione del Dottore

umbertoLa speranza è diventata realtà. L’attesa per una presidenza degna della storia e del prestigio della Juventus è stata lunga. Quattro anni sono trascorsi da quel fatidico 7 maggio in cui John Elkann prese le distanze dalla dirigenza che di lì a poco sarebbe stata inghiottita dalle sentenze di Calciopoli. “Siamo vicini alla squadra e all’allenatore” disse il nipote dell’Avvocato, consegnando, di fatto, anche la società alle pesanti sentenze sportive che la condannarono. Lo sconsolante andamento della Juventus di quest’anno ha accelerato un destino che pareva segnato. Andrea Agnelli presidente, riprendendo un solco bruscamente interrotto in quella maledetta estate. Andrea presidente come il nonno Edoardo che guidò la Juventus (dal 1923 al 1935) nella leggendaria impresa di conquistare cinque scudetti consecutivi dal 1930 al 1935, come lo zio Gianni, presidente dal 1947 al 1954, ma soprattutto come il papà Umberto, giovanissimo presidente della Juventus della prima stella, quella di Boniperti, Sivori e Charles, che si aggiudicò tre scudetti in quattro anni. Umberto rilevò a ventidue anni la società in uno stato di profonda crisi. Dopo un breve periodo di reggenza diventò presidente nel 1956, un anno in cui la Juventus conquistò la salvezza alla penultima di campionato vincendo contro la Triestina. Tale era la crisi che negli ambienti torinesi si vociferava addirittura di una possibile fusione con il Torino che versava in gravi difficoltà. Nell’estate del 1957 arrivarono in un colpo solo Charles e Sivori e la storia bianconera si colorò di una delle pagine più belle e affascinanti della propria storia. La crisi di oggi non è certo paragonabile a quella di allora, ma i punti di contatto sono evidenti.

Anche oggi Andrea, come successe a Umberto, è chiamato a rifondare una società dopo un periodo grigio di risultati, aggravato dall’indimenticato atteggiamento rinunciatario assunto dalla proprietà e dalla dirigenza juventina riguardo alla vicenda di Calciopoli. La storia si ripete a cinquant’anni e passa di distanza. Il Dottore, sebbene fosse persona razionale con l’occhio lungo sul bilancio, in quella fatidica estate del 1957 prese il coraggio a due mani. Gli arrivi di Charles e Sivori non furono quelli di due giocatori qualsiasi, ma il meglio allora in circolazione. Omar Sivori era considerato il miglior calciatore argentino e, vestendo la maglia bianconera, avrebbe poi anche vinto il pallone d’oro del 1961, mentre il gallese John Charles era il meglio che potesse esprimere il campionato inglese. Furbo, rapido e dotato di classe sopraffina, così era Sivori; potenza, colpo di testa e fisicità rappresentavano invece le caratteristiche del “gigante buono” gallese. Segnarono 50 gol in due nel campionato del decimo scudetto (28 Charles, 22 Sivori) integrandosi alla perfezione nei meccanismi offensivi bianconeri. Quelle della Juventus della prima stella furono scelte coraggiose e impegnative economicamente, ma lungimiranti, e tali da consentire l’apertura di un ciclo di vittorie straordinarie. Arrivarono tre scudetti e due coppe Italia nell’arco di quattro anni, in cui mancò l’affermazione in ambito europeo soprattutto per mancanza di mentalità. Contava il campionato e gli intermezzi settimanali della Coppa dei Campioni venivano considerati dai giocatori come delle solenni seccature. Andrea la lezione della storia l’ha certo studiata, lo si è capito dalla breve conferenza stampa dell'esordio. Il presidente che ogni juventinovero aspettava da almeno quattro anni è chiamato a scelte coraggiose per rifondare quadri societari e tecnici. Si faccia il possibile per tralasciare le vie di mezzo. Serve semplicemente il meglio per riannodare i fili di una grande storia spezzata un’estate di quattro anni fa.