In bianconero ladroni, in azzurro campioni

Donadoni

"Solo rubare, sapete solo rubare". Questa la hit più ascoltata del calcio italiano e ha accompagnato ciascuno di noi dai tempi delle figurine Panini fino a quelli della playstation. Ce lo hanno gridato in tutti i modi. Famose le battute di Prisco sulle dita della sua mano o quelle sugli arbitri arrivati a piedi allo stadio e tornati in auto a casa. La hit più ascoltata del calcio italiano ha attraversato indenne gli anni di Boniperti e quelli della Triade, fino ad arrivare all’odierna Juve del sorriso non risparmiata anch’essa, incredibilmente, dalle ingiurie più becere e scontate.
Ed è così che indimenticabile resta il remix cantato durante Genoa – Juve di serie B, dove i secondi vi si trovavano per le note vicende legate alla farsa delle intercettazioni e i primi per aver dimenticato 250.000 euro in una valigetta. La cosa strana è che a cantare siano proprio i supporter genoani, ma ciò non dovrebbe stupire se si considera che i più abili esecutori del pezzo che domina le classifiche da decenni si trovano a Milano dove i rapporti con la merce rubata è cosa arcinota.
Se c’è però un momento in cui tutti i fratelli di Mameli dimenticano le oscure origini bianconere di alcuni dei suoi figli, questo è il momento in cui, con cadenza biennale, gli Schillaci o i Bettega di turno vestono la maglia della nazionale.
La maglia azzurra bacia i nostri rospi che da ladroni, diventano improvvisamente campioni e quindi se il tifoso del Bar Sport lincia il Del Piero di turno se deve cercare un capro espiatorio delle disfatte azzurre, poi è pronto a salire sul carro del vincitore quando gli stessi bianconeri si rivelano determinanti per i successi del bel paese.
Sin dalla notte dei tempi del calcio la maglia azzurra vive una dolcissima maledizione: tutti i suoi obiettivi e tutti i suoi successi passano per le maglie bianconere.
La prima nazionale vincente che la storia ricordi è infatti pesantemente condizionata dallo strapotere juventino. Viene troppo spesso dimenticato che l’ossatura della Nazionale campione del 1934 era la Juve del quinquennio d’oro, quella capace di stravincere cinque scudetti consecutivi dal 1930/31 al 1934/35 e che, incredibilmente, non è mai passata alla storia come la "Grande Juve", attributo riservato all’unico Torino vincente della storia e a una delle poche Inter vincenti del centenario.
"Eroici" e "grandi" sono invece i giocatori bianconeri campioni del mondo in maglia azzurra, trattasi di Combi, Bertolini, Ferrari, Monti e Orsi, oltre l’interista Allemandi che aveva giocato nella Juve in passato (1925/27). A questi vanno aggiunti Borel e Rosetta che giocarono una sola gara a testa e Caligaris che, pur non giocando nessuna gara, con 59 presenze, rimase dal febbraio 1934 fino al 1971 recordman di presenze in azzurro.
Ancora eroici sono i nazionali nel 1938 e ad alzare la coppa del mondo per la seconda volta ci sono i bianconeri Foni e Rava, i due esterni difensivi che raccolgono l’eredità di Rosetta e Caligaris.
Per ritrovare un’altra vittoria della nazionale bisogna aspettare che le scelte della Juve, che nel frattempo si è deliziata soprattutto con campioni stranieri tipo Charles e Sivori, si concretizzino sui giocatori italiani e bisogna, quindi, fare un salto di trent’anni. Agli Europei del 1968 è decisivo Anastasi che vestirà la maglia della Juve, mentre nella rosa della Nazionale troviamo i bianconeri Bercellino, Castano e Salvadore.
Dieci anni dopo, passando per i mondiali del 70 memorabili solo per quell’Italia Germania 4 a 3, si arriva ai Mondiali argentini del 78 e va in scena la più bella nazionale di sempre. Neanche a dirlo, si tratta di un ItalJuve che si fa spazio tra mille polemiche. Otto undicesimi degli azzurri sono bianconeri e a conquistare il quarto posto troviamo Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli, Causio, Benetti e Bettega, tutti titolari inamovibili.
Anche il trionfale campionato del mondo del 1982 è preceduto da mille polemiche, ma pure qui l’ossatura della nazionale è costituita da sei juventini (Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli, Rossi) su undici e solo per caso a conquistare il titolo al Bernabeu non ne troviamo un settimo. Quel Roberto Bettega, pupillo di Bearzot e nefasto (ndr. per gli altri) protagonista della dirigenza bianconera vent’anni dopo, cui sostanzialmente si deve la qualificazione ai mondiali, è infatti fermato qualche mese prima da un grave infortunio.
La nazionale del 1986 è invece figlia di una grande rivoluzione e non ci sono bianconeri a fare miracoli.
Neanche a dirlo quella nazionale non va lontano, mentre quella del 1990 è straordinariamente aggrappata al bianconero Totò Schillaci. L’attaccante della Juve, fresco di convocazione in nazionale, paga in modo sorprendente il suo essere juventino: ad attenderlo al raduno azzurro di Coverciano vi è una folla di esagitati, soprattutto fiorentini, che lo omaggiano con insulti e sputi. Il siciliano non ha colpe particolari se non quella di essere juventino. L’inconsistente Italia di Vicini, che dovrebbe avere "ner Principe" Giannini il suo predestinato e mediatico trascinatore, va avanti solo grazie agli occhi spiritati di Totò che dedica i suoi gol proprio a quei contestatori, augurandosi testualmente "di averli fatti saltare dalla sedia ad ogni marcatura".
Ai mondiali statunitensi del 1994 l’Italia è invece "Baggiodipendente". Le sue sorti, più che al noioso gioco del nuovo vate del calcio, sono legate a doppio filo ai due bianconeri Roberto e Dino Baggio che tirano giù più volte dall’aereo il Conte Eiacula.
Ma l’apoteosi si raggiunge nel 2006, nel pieno dell’estate più calda che il calcio italiano ricordi.
In Italia imperversa lo scandalo di Calciopoli e a più riprese viene chiesto il ritiro dei bianconeri dalla truppa azzurra. I più attaccati sono il ct Lippi e il capitano Cannavaro, rei di essere troppo "vicini" al Boss di Monticiano, capoclan dell’omonimo Sistema. Pesanti critiche le riceve anche Buffon per il coinvolgimento in alcune scommesse sul calcio estero. Ma l’italietta beota e giustizialista dimentica in fretta e, ammirando i suoi figli prediletti, gioisce a squarciagola per un titolo mondiale conquistato in un crescendo rossiniano che porta a una finale che sembra giocata a Villar Perosa. I bianconeri schierati sono i migliori in campo: Buffon, Cannavaro, Zambrotta, Camoranesi e Del Piero, oltre alla chioccia Peruzzi e a Ciro Ferrara. Dall’altra parte annotiamo invece Vieira, Trezeguet e Thuram, senza dimenticare Henry, Zidane, Perrotta, Inzaghi e naturalmente l’allenatore campione del Mondo, quel Marcello Lippi che incarna il simbolo della Juve più ladrona della storia, quella della Triade. Fortuna vuole che a vincere sia la Juve A, quella che parla italiano, e non la B, quella che parla francese.
L’Italia odierna, quella del 2008, dopo le polemiche dimissioni del bianconero Lippi, è affidata a un discepolo di Sacchi, l’inconsistente Donadoni che però esce, soffrendo, ai quarti. Il putto di Sacchi viene tirato giù dall’aereo prima da Buffon, che para un giusto rigore assegnato alla Romania, e poi da un sontuoso Chiellini, timidamente bacchettato per aver fatto fuori Cannavaro in allenamento, ma riesce ugualmente a prenderle di santa ragione da Olanda, Romania e Spagna.
Ma non c'è motivo di preoccuparsi, la dolce maledizione continua e l’Italia tornerà protagonista non appena la Juve riprenderà a rubare con convinzione.