Cassa di Risparmio Juventus

Blanc e SeccoAlle ore 19:00 del 1 settembre si è conclusa la sessione estiva del calciomercato. Quella che da sempre è definita la “fiera dei sogni” dai tifosi, che si ritrovano sotto l’ombrellone tra creme solari e giornali sportivi che, d’estate, si fanno sempre più sottili (anche se Europei ed Olimpiadi hanno ridotto la tradizionale “snellezza” estiva dei quotidiani), sognando nomi roboanti per la propria squadra, speranze per la verità molto spesso deluse.
In generale non è stato un mercato di botti; doveva essere l’estate di Cristiano Ronaldo al Real Madrid, affare saltato. Dovevano essere i mesi di Lampard all’Inter. Idem come sopra. Il Milan e il Barcellona le hanno provate tutte per Adebayor: nulla di fatto. I catalani hanno corteggiato anche Drogba; si sono “accontentati” del brasiliano Dani Alves e del bielorusso Hleb, soffiato all’Inter ancora manciniana. Altri grossi calibri, tipo Benzema, dovevano cambiare maglia. Nulla. Qualche botto nel finale, da parte di chi non ne aveva forse nemmeno bisogno ma, forse è ammalato di bulimia, o forse (più probabilmente) non vuole lasciare nulla al caso, bensì riaffermare le ambizioni che il blasone del club impone (Quaresma all’Inter, Robinho al Manchester City, Berbatov al Manchester United). Questo per ciò che riguarda l’Europa, dove i nomi che contano ci sono tutti, escluso quello del Bayern Monaco che è sostanzialmente ripartito con la stessa rosa della scorsa stagione, dove per rilanciarsi e vincere il campionato (pur non disputando la Champions League) fece il mercato che tutti ricordiamo.
Quanto alle italiane, andiamo ad analizzare la situazione. Il Milan, nella stessa situazione del Bayern Monaco della scorsa stagione, ovvero senza l'Europa che conta, ha scommesso molto; lo aveva fatto già lo scorso anno con Pato, ma quello era un rischio calcolato considerata età e prospettiva. Quest’anno il club di Via Turati ha rischiato di più, ma la campagna faraonica condotta dai vertici rossoneri sembra dar loro ragione. Da quel che si è visto nel Milan pur sconfitto all’esordio in campionato, Zambrotta sembra aver recuperato lo smalto di due anni fa (un fantasma in Catalunya e in Nazionale nel periodo blaugrana); Ronaldinho in mezza partita ha mostrato cose che in Italia negli ultimi 5 anni abbiamo visto fare solo dal “cugino” nerazzurro numero 8; Flamini sembrerebbe ancora in ritardo ma è stato impiegato su più ruoli con risultati non disprezzabili. C’era un’emergenza difensiva e si è corso ai ripari ingaggiando un giocatore magari non di primo piano ma tra i migliori sul mercato a quelle cifre (Senderos, prestito oneroso). Mi sbaglierò, ma l’unica sciocchezza è il ritorno di Sheva, visto in fotocopia rispetto ai due anni londinesi.
L’Inter ha rincorso Lampard (fallito), ha preso Muntari e Mancini e all’ultimo giorno anche Quaresma. Opulenza, pura e semplice opulenza. Mourinho voleva una rosa di 25 giocatori: se ne ritrova 30 perché voleva quel giocatore e nonostante le smentite “tattiche” l’ha avuta vinta lui. Potrebbe essere un problema far convivere tutte quelle teste, ma sarà certamente un problema in meno avere le spalle coperte in caso di infortuni, che, considerati i ritmi e la frequenza degli impegni, sono purtroppo fisiologici.
La stessa Fiorentina ha speso quasi 50 milioni di euro, per giovani di belle speranze (Jovetic), scommesse nemmeno troppo azzardate se consideriamo la concorrenza (Gilardino), esterni giovani ma già di valore (Vargas) e soprattutto a fronte di tutto questo è stata in grado di resistere agli attacchi della Roma per il suo uomo più rappresentativo, Mutu. Una telenovela breve ma che ha dimostrato la risolutezza e l’ambizione dei Della Valle, che hanno respinto un’offerta ricchissima da parte di una società che, strozzata dai debiti (che poi sia lei o la controllante fa poca differenza, o almeno dovrebbe essere così), pur faticosamente, si sforza di rimanere competitiva e si svena per Baptista e Menez, per sostituire Mancini e Giuly. Anche se il campo dovesse sentenziarne il fallimento tecnico, tanto di cappello all’impegno profuso da Rosella Sensi e dal suo staff.

Avrete notato che da questo discorso esula la Juventus. Non è un caso. Perché con tutte le realtà menzionate la Juventus non c’entra nulla. Non c’entra con le grandi d’Europa che si son contese i pochi grossi giocatori perché in queste trattative la Juve non è mai entrata, salvo in quella per Van der Vaart, bocciato 6 mesi fa da Ranieri con la motivazione: “Ho Del Piero in quel ruolo”. In quel periodo l’Amburgo chiedeva intorno ai 17 milioni. E’ costato al Real Madrid quanto Tiago costò alla Juve l’anno scorso. Le fandonie su Lampard erano, appunto, fandonie. Ma i grandi nomi, il “pensare in grande” sono argomenti sconosciuti per questa Juventus nata nell’estate del 2006. La Juve dello “spenderemo come il Manchester United” (Monsieur Blanc, al ritorno in serie A). Abbiamo visto tutti.
La Juve dei parametri zero, a meno che non siano contesi, giovani e magari pure buoni, come Flamini, che difatti si è accasato al Milan, che fa la Coppa UEFA, alla faccia del "i campioni vengono solo se giochi la Champions League". Come infatti hanno dimostrato Bayern Monaco l'anno scorso e Milan quest'anno. Flamini, 24 anni, tra l'altro tifoso della Juve e fan di Didier Deschamps, era uno che poteva servire.
La Juve ha finito poi per pagare 9,75 milioni di euro Poulsen, giocatore già “fatto”, a 28 anni. Un Poulsen uscito dal cilindro dopo tre mesi di estenuante tira e molla con Xabi Alonso e il suo procuratore, alla fine bocciati ufficialmente per “scelta tecnica”. e non perché il basco costasse il doppio… La Juve che “acquisterà tre campioni, uno per reparto”, ed ancora adesso stiamo attendendo da due anni. Perché vada pure per Sissoko (trovato mentre marciva in panchina ad Anfield), magari per Amauri (incredibile trattativa condotta assurdamente alla luce del sole per 4 mesi senza la minima strategia e forza contrattuale per chiudere), ma in difesa il “campione del reparto” ancora non lo abbiamo acquistato. Mellberg? Se vogliamo scherzare va bene, ma da uno che in carriera non ha mai giocato una gara di Champions League e ha subito due retrocessioni sul campo con i club d’appartenenza, non possiamo pretendere che diventi un “campione” a 31 anni, quando persino nel suo vecchio club veniva dirottato in fascia per far posto in mezzo, nientepopodimenoche, all’ex-milanista Laursen! Sorvolando sul 26enne ex-livornese Knezevic (un altro che la retrocessione sul campo se l’è guadagnata giusto l’anno scorso…), vien da chiedersi se Chiellini valga come nuovo acquisto, dopo la vicenda che la scorsa estate lo vide praticamente accasato al Manchester City, come il buon Legrottaglie (lui che fenomeno non è, ma resta una spanna sopra tutti coloro i quali lo hanno raggiunto in questi due anni), il cui trasferimento in Turchia saltò per problemi burocratici. Capita che la Juve oggi abbia questi centrali difensivi, e se alla coppia titolare viene un raffreddore (o peggio, quello che in realtà è capitato a Chiellini), avendo già Andrade rotto recidivo (perla sontuosa, in senso ovviamente ironico, dello scorso mercato), non sarebbe il caso di muoversi per tempo (che c’era tutto) e acquisire un giocatore di spessore?
Ovviamente no, perché l’importante sembra essere la quantità, non la qualità. E’ un dogma di questa dirigenza: meglio tre giocatori da 10 milioni l’uno che uno da 30. Non funziona sempre così. Ogni tanto sarebbe giusto avere anche qualche certezza, oltre che incognite. Ci saremmo risparmiati i Tiago (merita un capitolo a parte), gli Almiròn, gli Andrade, e i parametri zero che devono integrare la rosa nei casi di emergenza o nella rotazione, ma non più di uno per volta. Ma l’altra sera a Firenze, Grygera e Mellberg erano in campo, Salihamidzic ha rischiato di giocare al posto di Marchisio e Knezevic (non un parametro zero ma poco ci manca) era pronto a prendere il posto del primo centrale difensivo che si fosse acciaccato. Ma se i centrali piangono, le fasce non ridono: Grygera e Molinaro sono sinceramente imbarazzanti, soprattutto se pensiamo che a breve si dovranno confrontare con Van der Vaart, Higuain, Arshavin e Denisov. E qui, per pietà e paura, mi fermo, preferisco conservare gli antidepressivi per quelle sere in cui certe paure si materializzeranno, piuttosto che iniziare a provare frustrazione fin da ora.
A centrocampo, infortuni a parte e inserimento di Poulsen (un ripiego comunque, di certo non un fuoriclasse in grado di far fare il salto di qualità: se sta bene, gioca Zanetti tutta la vita), la squadra è solida ma affidata al temperamento e alla qualità di Nedved e Camoranesi, rispettivamente classe ’72 e ’76. Quanto reggeranno? Considerata la cronica indisponibilità di Marchionni e le incognite sui giovani Marchisio e De Ceglie (quest’ultimo come viene visto da Ranieri? Centrocampista? Difensore?) un centrocampista di qualità in più sarebbe stato ben accetto. A meno di non voler considerare tale Giovinco, che però pare molto più portato ad offendere che a coprire (con quella stazza sarebbe eresia sostenere il contrario).
L’attacco è forse l’unico reparto completo, che però non sfugge a malumori, con un Del Piero carico ma un po’ presuntuoso ed egoista, un Trezeguet che sembra scontento del gioco (???) di Ranieri e due arieti come Iaquinta e Amauri, quest’ultimo l’uomo più pagato e forse quello che davanti può “pesare” di più.

Capitolo Tiago: giocatore misterioso che non è stato lasciato ai margini come Almiròn, il quale ha accettato una sistemazione in “parcheggio” sia nella scorsa stagione che in questa. Con Tiago le hanno provate tutte, centrocampo a quattro, centrocampo a tre, rombo con lui vertice alto o basso, quadrilatero e persino…trapezio isoscele! E’ sempre mancato soprattutto un ingrediente: il cuore. E la società è rimasta ostaggio del giocatore e del suo lauto stipendio nonostante si sia sforzata di trovare diverse destinazioni all’ex-Lione, puntualmente rifiutate. Un segno dei tempi cambiati: un tempo un atteggiamento simile avrebbe prodotto conseguenze disciplinari consistenti ai danni del giocatore, oggi questo comportamento viene addirittura premiato con l'inserimento del pavido portoghese (in campo) nella lista di Champions League a scapito del giovane e propositivo Ekdal che, in poche amichevoli, ha dimostrato un'autorità e un carattere che in Tiago non abbiamo mai nemmeno intravisto, se non, appunto, nell'ultimo periodo e per i motivi appena esposti, che nulla hanno a che fare con il rettangolo di gioco. C’è chi sostiene che sia una vendetta del suo manager Jorge Mendes (potentissimo procuratore portoghese di Mourinho e di quasi tutta la Nazionale lusitana, in orbita Inter) per non aver preso Stankovic, una mossa che, a ben vedere, è stata l’unica nota positiva di tutta la sessione di mercato, nonostante le dichiarazioni di stima espresse da parte di vari tesserati bianconeri verso il serbo, esternazioni che hanno non poco infastidito i tifosi juventini.
In sostanza, con l’ingresso nel tabellone principale di Champions League in tasca, la Juve avrebbe potuto spendere a maggior ragione, visto che il disavanzo acquisti/cessioni attuale dovrebbe aggirarsi intorno ai 13/14 milioni di euro, facilmente ammortizzabili con un buon girone europeo. Cosa che invece non è stata fatta; la questione rappresenta un grave rischio, vista la forza degli avversari sorteggiati. C’è il fondato timore di non poter incrementare il bottino a primavera, rimanendo al palo nel torneo tanto strombazzato dalla dirigenza ( “ossessione Champions League” la definirei) e trovandosi di nuovo a ragionare col bilancino del farmacista e dovendo accontentarsi degli avanzi al banchetto delle grandi. Che non è proprio da Juve.
Almeno non della Juve che siamo stati abituati ad amare.