Il lettore disinformato già si sta chiedendo quanti giocatori siano stati trovati positivi ai controlli, oppure quanti e quali documenti compromettenti siano stati improvvisamente rivelati al volgo tifante. Niente di tutto questo. Il fracasso ha origini più semplici: accade che un signore dell’est Europa, di professione allenatore e di nome Zdenek Zeman, decide di dire la sua sull’argomento, rivelando sensazioni e deduzioni su certe “pratiche” troppo usuali negli spogliatoi delle squadre di calcio. Il 25 e il 28 luglio 1998, il Messaggero pubblica due interviste di Mimmo Ferretti al tecnico boemo il quale sputa parole di fuoco contro un calcio che ha preso una brutta piega e che, per dirla con parole sue, «deve uscire dalle farmacie». L’amatissimo gioco nazionale è malato: “sport” non va più a braccetto con “salute”, rivalità e competizione sono stati sostituiti da egoismo e profitto. Il calcio, secondo Zeman, sta seguendo la strada del ciclismo all’affannosa ricerca del miglioramento delle prestazioni atletiche: i farmaci, e l’abuso di essi, non solo hanno fatto la loro comparsa all’interno del pallone, ma lo hanno marcito nelle fondamenta.
Le dichiarazioni zemaniane sono la scintilla che innesca i sensori dei premurosi della carta stampata che immediatamente cominciano a stilare liste di proscrizione e a contendersi il primo posto nella gara del “ve l’avevo detto”. L’opinione pubblica spalanca la bocca e nei salotti bene torna di moda l’indignazione. Neanche i giochi di Seul, gli atleti dell’Est e le nuotatrici cinesi avevano potuto tanto.
Stimolati dall’incalzare dei cronisti, giungono le prime reazioni del mondo sportivo: prevale il basso profilo, nessuno ha voglia di spellarsi le mani e di ravanare in una materia tanto scottante. Si tende a minimizzare e a riportare il tutto nella dimensione di un pour parler estivo, nell’attesa del vero calcio di settembre. Tuttavia qualcuno che freme c’è e cinque parlamentari (Di Nardo, Cimadoro, Ostilio, Cavanascirea, Fabris) chiedono urgentemente un’interpellanza al vicepresidente del consiglio Veltroni. Dalle aule di Senato a quelle sportive il passo è brevissimo: immediatamente il Coni invita Ugo Longo (futuro presidente della Lazio) ad avviare un’indagine conoscitiva che, come vedremo, avrà magrissimi risultati.
Zeman è insaziabile e non vuol saperne di deporre le armi. Più affilato e insinuante che mai, il 7 agosto rilascia un’intervista a Gianni Perrelli, che sei giorni dopo L’Espresso titolerà “Anche il calcio ha il mal di Tour”. Finalmente si fa sul serio. Ecco il testo (quasi integrale) ove il tecnico sguaina la spada (o la stampella) e parte alla Enrico Toti contro l’ingiustizia e il sopruso (cito a pezzi, commentando di volta in volta):
Non sono un demagogo né un provocatore - dice di sé Zdenek Zeman – Sono un uomo di sport. Capto le voci, le atmosfere che girano nell’ambiente. Sento e vedo che non solo nel ciclismo, ma anche nel football, si cerca di sopperire alle carenze di preparazione coi prodotti di farmacia. Nel calcio non c’è ancora stato lo scandalo esplosivo. Ma tanto più uno sport è importante, tanto più si addensano i pericoli. So di molti medici che sono passati dalla bicicletta al pallone. So di molte società di serie A che si avvalgono dell’opera di farmacologi. Ecco, bisogna che il campionato non diventi come il Tour.
Zeman parte bene, guardingo, mettendo in luce delle sacrosante verità: così come in altri sport, anche nel calcio si fa ricorso a farmaci che non dovrebbero essere utilizzati poiché riservati al trattamento di persone realmente malate. Niente da obiettare se non fosse che il tecnico sostiene di “sapere” che “molte” società di serie A adottano queste pratiche.
[…] Di Pedalopoli, che in Francia è esplosa in maniera così clamorosa, si parla già da anni. Nel calcio si registrano solo bisbigli e maldicenze. Si vocifera di sostanze non proibite, ma ai limiti del lecito, e potenzialmente molto nocive, a cui farebbero ricorso alcuni campioni delle squadre più in vista. Prove, nessuna. I casi di doping, nel football degli ultimi anni, sono circoscritti all’assunzione del Lipopill che penalizzò per un anno la carriera di Angelo Peruzzi e Andrea Carnevale, e al consumo di cocaina che ha abbreviato quella di Diego Armando Maradona e Claudio Caniggia” Ma si rafforza intanto il sospetto che neanche il calcio italiano sia uno sport immacolato. Quali sostanze si celano nei medicinali reclamizzati da alcune case farmaceutiche, con depliant illustrativi che garantiscono agli atleti miglioramenti di condizione del 50 per cento? Zeman dice di averne ricevuti molti, e di essere certo che siano pervenuti anche ai suoi colleghi. Probabilmente li metterà a disposizione della Procura antidoping che indaga sul fenomeno per conto del Coni. Meravigliato dalle violente reazioni provocate dalla sua requisitoria, l’allenatore della Roma glissa sui nomi dei farmaci e delle ditte, si trincera dietro lo sguardo sornione e le pause meditate. Un atteggiamento serafico, tipico di quella sua filosofia del distacco che per amor di battuta potrebbe essere definita buddismo Zeman. Ma per rintuzzare l’accusa di non voler assumersi in pieno le responsabilità delle accuse, almeno su alcuni punti al tecnico preme fare chiarezza: “Premetto che non sono un farmacologo quindi non so dire nulla sulla nocività di certe pillole. Il punto però a me sembra un altro. I medicinali servono a guarire gli ammalati. Mentre chi fa sport dovrebbe essere sano. Quando mi obiettano che queste sostanze potrebbero essere prescritte anche a un bimbo di sei anni, io rispondo che se si è in buona salute a quell’età non serve niente. È mai passibile che di questi problemi non si parli in Federazione?
Passaggio fondamentale: Zeman afferma di aver ricevuto delle particolari brochures che, a sentir lui, sono state certamente visionate dalle società di calcio della massima serie. Il boemo avanza per mezze frasi e lascia molto ad intendere, non rivelando quali ditte e quali squadre sarebbero protagoniste di questa vicenda.
(nota: Zeman successivamente dichiarò di aver buttato via questi famigerati depliant, ma si disse sicuro che i prodotti ivi pubblicizzati erano stati senza dubbio usati da Ajax e Udinese)
Dai controlli antidoping non è però emerso mai nulla
«Per il momento va tutto bene. Dai campioni delle urine non risulta niente. Forse non uscirebbe nulla perfino se venissero introdotti gli esami del sangue. Si tratta in ogni caso di interventi tardivi. E chissà, quei farmaci magari non provocano alcun guasto. Ma chi può escludere che i danni si manifestino a distanza di anni? Se si intravedono rischi, occorre prevenirli, non aspettare che esploda il bubbone. Il problema è che i giocatori sono condizionati dagli interessi del momento e non si preoccupano tanto della salute. E i dirigenti pensano solo a sfruttarli al massimo, senza andare troppo per il sottile».
La squadra che ha reagito con maggior vivacità alla sua denuncia è stata la Juventus. Alcuni giocatori bianconeri hanno ironizzato sul suo bisogno di pubblicità. Dal momento che non ha mai vinto niente, sarebbe l’unico modo per calamitare i titoloni dei giornali
«Chi mi conosce bene, sa che la pubblicità cerco semmai di schivarla, È vero che non ho mai vinto niente. Ma non mi dà alcun fastidio. Ho un concetto diverso del successo. Mi sento appagato quando riesco a imporre il mio gioco e i miei principi. In quanto alla Juventus, si è chiamata in causa da sola».
Non si direbbe che la Juventus si sia chiamata in causa da sola, dal momento che è stato Zeman per primo a fare i nomi di Vialli e Del Piero, accusandoli di aver guadagnato una sospetta massa muscolare. Un ottimo modo per denunciare, non c’è che dire. Lo stesso concetto, espresso contro un’altra società, sarebbe stato immediatamente catalogato come diffamazione e la vicenda si sarebbe chiusa.
Non può però negare di aver manifestato a più riprese sorpresa per le esplosioni muscolari di alcuni giocatori della Juve.
«È uno sbalordimento che comincia con Gianluca Vialli. E arriva fino ad Alessandro Del Piero. Io dico che ho praticato diversi sport e pensavo che certi risultati si potessero ottenere solo con il culturismo, dopo anni e anni di lavoro specifico. Sono convinto che il calcio sia tutto un altro tipo di attività. Almeno il mio calcio, che in una sola parola definirei positivo».
Pare però che anche lei, quando approdò cinque anni fa nella Lazio, abbia somministrato ai suoi giocatori dosi di creatina, una sostanza lecita che gli juventini non hanno mai fatto mistero di assumere.
«Per ristabilire la verità, diciamo che ho assecondato l’andazzo. All’inizio della stagione, I cinque o sei laziali che a quell’epoca erano nel clan azzurro mi dissero che si erano abituati a prender la creatina su consiglio dei responsabili della Nazionale. Io mi limitati a parlarne con il dottore della Lazio e a fare in modo che la sostanza fosse somministrata sotto stretto controllo.
Pare quasi che Zeman si ritenga l’unico depositario della verità, mentre qualsiasi cosa abbia la sfortuna di uscire dalla bocca di uno juventino sia menzogna. Interessante notare come anche la Lazio del boemo (1994-98) fosse ben conosciuta per le sue qualità atletiche e, a questo proposito, calzano perfettamente le dichiarazioni dell’ex giocatore biancoceleste Paolo Negro («Con Eriksson non abbiamo mai preso creatina, con Zeman sì») e quelle del difensore Giuseppe Favalli, che vedremo più avanti.
Ma lei ha parlato dei problemi del doping coi suoi colleghi o coi medici?
«Ne parlo, naturalmente, con il medico della Roma Ernesto Alicicco. Abbiamo più o meno le stesse sensazioni. Da sempre c’è il coadiuvante che io chiamo dello zuccherino. Qualche sostanza tonificante immessa nelle flebo. O la miscela tra aspirina e caffé che stimola le energie. A volte l’effetto è solo psicologico. Ma ho l’impressione che negli ultimi tempi si stia esagerando. Le pressioni sui calciatori si fanno sempre più pesanti. Ed è sempre più difficile resistere alle tentazioni della pillolina magica. Sarò anche un romantico, legato a una concezione del calcio in cui i giri di campo contano più della chimica. Ma non sono un ingenuo. Sono certo che molti giocatori di serie A, forse anche nella stessa Roma, non sappiano rinunciare a certe sostanze».
Di nuovo: Zeman è “certo” che molti giocatori si siano giovati di particolari aiuti. Ma a parte le accuse ai calciatori della Juventus non vengono fatti altri nomi. Nessuno farà mai luce su eventuali altre società, nonostante lo stesso Zeman parli anche della Roma.
Ma perché il tema è una sorta di tabù? Se ne parla sottovoce e non è mai stato affrontato a livello ufficiale.
«Perché il calcio smuove troppi interessi e conviene a tutti chiudere un occhio sugli aspetti negativi. Le cito un fatto emblematico. Dei problemi di droga di Maradona si parlava già quando il Napoli lo acquistò dal Barcellona. Non riesco a persuadermi che a ignorarli fosse proprio Ciro Ferrara, suo compagno di squadra, che nella polemica contro di me non si è certo distinto per buona educazione. Maradona ha continuato a giocare da fuoriclasse. E gioca ancora oggi. Ma a Ferrara vorrei ricordare che se non si fosse chiuso un occhio, se qualcuno avesse preso a cuore la sua tossicodipendenza, lo si sarebbe potuto salvare da una mesta parabola. Ma ormai il business prevale su tutto. Il mondo del calcio è dominato dalla finanza, oltre che dalle farmacie»
(l’articolo si conclude con considerazioni varie sul governo del calcio europeo, sui Mondiali appena conclusi e sul prossimo campionato, nda).
Zeman non ricorda che il Pibe cominciò ad avere familiarità con la cocaina già a Barcellona e che Napoli fu solo l’atto finale di una tragica escalation. Inoltre, i rapporti che il campione argentino intratteneva con la camorra sono ben noti ed è verosimile che abbiano costituito una sorta di vincolo inscindibile tra lui e la sua tossicodipendenza. Certamente, ad un livello più ampio, l’accusa non è priva di fondamento, ma è di pessimo gusto gettare discredito su Ciro Ferrara (che casualmente all’epoca militava nella Juventus), il quale fu tra i pochi a stare vicino a Maradona nel momento in cui molti gli avevano voltato le spalle.
Una volta pubblicata l’intervista (già ampiamente anticipata da molti quotidiani) si scatena la bagarre e i personaggi chiamati in causa mostrano i denti: Del Piero annuncia querele, Vialli (passato al Chelsea) accusa Zeman di destabilizzare l’ambiente («è un terrorista»), il suo amico Mancini ne prende le difese («Spero che Zeman abbia delle prove, altrimenti fare accuse così generiche mi sembrerebbe banale. Gianluca fisicamente è sempre stato così»).
Il giorno seguente, la Magistratura prepara un fascicolo che induce il procuratore aggiunto della Procura di Torino, Raffaele Guariniello, a convocare calciatori e tecnici per delle udienze. In un ANSA si apprende che questi «intende accertare l’eventuale uso di sostanze proibite soprattutto da parte dei più giovani, in particolare minorenni» (29 agosto1998. Ottimo intento, cosa abbia a che fare con la Juventus non lo si è ancora scoperto).
Zeman non si fa sfuggire l’occasione e il 12 agosto rincara la dose: «Avverto l’esigenza di partire tutti alla pari in campionato». A stupire è la repentina correzione di tiro del tecnico che, premuratosi dapprima di sottolineare la capillarità del problema doping, passa poi direttamente ad allusioni su chi si avvantaggerebbe con pratiche illecite. Quest’ultima provocazione suscita lo sdegno dell’allenatore bianconero Marcello Lippi (che entrerà poi in una duratura polemica con Zeman) e ancora di Vialli, il quale opportunamente sottolinea come nessuno si fosse mai permesso di avanzare insinuazioni sul frizzante Foggia zemaniano, passato alla storia per l’esasperato tatticismo e per le abilità podistiche dei suoi calciatori. In un’affollatissima conferenza stampa la Juventus affida la sua risposta ufficiale al medico sociale Riccardo Agricola, il quale afferma: «Zeman fa confusione tra integratori, sostanze lecite e sostanze illecite. Gli integratori sarebbe un delitto non usarli perché l’organismo di un atleta va riequilibrato dopo i pesanti carichi di lavoro cui deve sottoporsi. È chiaro che l’eccesso di tali sostanze è dannoso».
Nel frattempo le inchieste del Coni proseguono e dopo numerosi interrogatori a calciatori, dirigenti, tecnici e medici sociali si giunge alla conclusione che «non esiste doping nel calcio» (25 agosto 1998. La situazione è davvero paradossale, ma non resterà un unicum. Si spendono fiumi di parole affermando che la magistratura ordinaria non deve intervenire nelle questioni di quella sportiva ma, in questo caso, interviene eccome. Quando, al contrario, la giustizia ordinaria decreta l’archiviazione delle carte sulle intercettazioni di Calciopoli dichiarando che non c’è «nulla di penalmente rilevante», la giustizia sportiva magicamente si interessa dell’argomento. Che ci sia di mezzo in entrambi i casi la Juventus è ovviamente pura coincidenza). Tuttavia, agli inquirenti del Comitato Olimpico preme sottolineare come «l’apporto farmacologico [sia] diventato parte integrante dell’allenamento» al punto che le modalità dell’uso dei farmaci «sono tenute nascoste quasi fossero patrimonio di conoscenza da preservare per avvantaggiarsi nella competizione sportiva, assumendo quindi valenza di vero e proprio differenziale competitivo».
Il responso della commissione di indagine del Coni, sebbene parzialmente concorde con quanto affermato da Zeman, sembra porre la parola fine sulla questione. Ma il pm Guariniello decide che è necessario andare avanti: il 29 agosto, le cartelle cliniche dei calciatori della Juventus e del Torino vengono messe sotto sequestro.
L’inchiesta sembra interessare solo il capoluogo piemontese nonostante dichiarazioni successive dello stesso Zeman abbiano poi posto l’accento sulla diffusione globale del fenomeno. Queste frasi sono davvero contraddittorie se si considera tutto quello che da questo punto in poi accadrà:
Io non volevo denunciare niente, ho soltanto detto certe cose, ho soltanto espresso un parere perché, per quello che mi arriva, so che nel calcio si usano troppi farmaci. […] E non penso di essere stato il primo tirar fuori certi discorsi: anche in passato c’è stata gente che ne ha parlato, forse non è stata ascoltata”. Il tecnico, continuando sulla stessa linea, afferma anche di essere a conoscenza di un circuito farmaceutico interno a tutte le squadre: “Il problema principale di molte società oggi è quello di trovare un bravo farmacologo. […] Se a me arrivano ogni settimana decine di depliant di case farmaceutiche che pubblicizzano questo o quel prodotto e mi viene assicurato che lo usano la squadra X e la squadra Y e migliora di un cinquanta, sessanta per cento il rendimento io sostengo che tutto questo non è normale. Quali squadre? Quasi tutte. Sì, quelle di serie A. Non si fa pubblicità con le squadre di serie C2, se mai con quelle grandi, con quelle forti… I nomi delle case farmaceutiche non li ricordo, ma sono pronto a mostrarvi i depliant (Il Messaggero, 28 luglio 1998).
Il 4 settembre Guariniello dispone delle indagini nei laboratori capitolini dell’Acqua Acetosa, responsabili delle analisi delle urine dei calciatori di Serie A e B. Dalle verifiche emergono irregolarità e carenze relative ai controlli antidoping, le quali portano alle dimissioni del presidente del Coni Pescante e poi alla chiusura dei laboratori stessi (Per la vicenda dei laboratori dell’Acqua Acetosa rimando alla ricostruzione fatta da Mauro Barletta nel suo «Il calcio in farmacia» (Lindau), che rivela particolari inquietanti sui procedimenti relativi alle analisi antidoping (pagg.115-130)). In seguito a questi avvenimenti, cresce il partito degli accusatori della Juventus. Qualcuno sospetta lo zampino della Signora nelle anomalie dell’Acqua Acetosa, anche se a nessuno sovviene come la stessa Juve a Roma conti molto poco e che, se i controlli erano irregolari, tutte le squadre ne avrebbero potuto, in un certo senso, usufruire.
Il sasso ormai è lanciato e il treno in corsa non si può più fermare: è il momento del processo. Non quello sportivo, ma quello vero e proprio, che la magistratura ordinaria avvia quasi quattro anni più tardi, nel gennaio 2002.