Lazio: La vera storia del passaporto di Veron - Pagina 2



Pulici quindi ottiene dalla società il via libera a pagare la somma di 220 milioni di lire per una pratica che, normalmente, ha un costo di 4 mila dollari. Certo, l’idea di cambiare il nome dell’antenato è farina del sacco della Tedaldi ma Pulici, col beneplacito di Governato, è volato immediatamente in Argentina con il fine di poter disporre da subito di Veron comunitario. Marcello Petrelli, avvocato del calciatore, fa poi notare che i documenti sono stati spediti dalla Calabria l’8 settembre con posta ordinaria e sono giunti a Roma il giorno dopo, dove immediatamente è stato concesso il passaporto, materialmente ritirato da Pulici e dalla Tedaldi. Come hanno fatto i documenti ad arrivare in un solo giorno? Chi si è interessato e si è mobilitato per portarli a Roma in fretta e furia?
A febbraio 2001 (un anno dopo lo scoppio del caso) la giustizia sportiva non si è ancora mossa, forse spaventata dalle minacce di Cragnotti. Il finanziere, con una coda di paglia chilometrica, annuncia azioni legali contro la Federcalcio nel caso in cui si proceda a giudizio prima della certificazione di falso da parte della giustizia ordinaria. Nessuno ha voglia di rischiare grane e solo Campana, presidente dell’Assocalciatori, esprime tutta la sua perplessità: «Nel caso Ferrigno la magistratura sportiva è stata velocissima, nel caso Veron aspetta il giudizio di quella ordinaria» (Repubblica, 5 febbraio 2001)
Ai primi di marzo del 2001 il gip di Roma, Claudio Tortora, rinvia finalmente a giudizio Sergio Cragnotti, Nello Governato, Felice Pulici, i procuratori Gustavo Mascardi e Francisco Hidalgo, i dipendenti dello studio Alvarez, Maria Elena Tedaldi e Ilario Camaiani, nonché Gianfranco Orsomarso, che ha redatto il certificato anagrafico del finto avo a Fagnano Castello.
È il via libera per la giustizia sportiva: il 5 marzo 2001, arrivano i deferimenti del Procuratore Federale Carlo Porceddu: la Lazio è chiamata a rispondere della violazione dell’art.6 (illecito sportivo), commi 1 e 2, per responsabilità diretta ed oggettiva: a rischio lo scudetto conquistato grazie all’acqua di Perugia. La Lazio ha schierato irregolarmente Veron per 19 partite e il regolamento impone la sconfitta a tavolino e la penalizzazione di un punto per ogni partita in cui sia stato presente un giocatore illecitamente tesserato. L’accusa è grave e comporterebbe in aggiunta la retrocessione del club. Ma lo scoppio di di “Passaportopoli”, sei mesi prima, aveva già sistemato le cose. In seguito alla scoperta di numerose documentazioni fasulle riguardanti i calciatori, molte squadre si erano trovate coinvolte nello scandalo (Milan, Sampdoria, Inter, Roma, Udinese e Vicenza) e, fin da subito, era stato chiesto alla Federcalcio di accorpare tutti i processi in uno solo. In questo modo si sarebbe risparmiato tempo ma le pene sarebbero state per tutti più lievi, dal momento che era impensabile la retrocessione o la forte penalizzazione di quattro grandi della serie A come le due milanesi e le due romane.
A completare l’opera di salvataggio delle squadre implicate arriva poi (3 maggio 2001) la nuova norma che abolisce il limite di calciatori extracomunitari schierabili in campo. Qualcuno capisce che comincia a tirare aria di colpo di spugna e si prepara alla classica soluzione all’italiana: «e chi ha barato coi passaporti falsi? Dovrà pagare. Ma con questa norma, dichiarata illegittima, le sanzioni saranno più blande. Qualche minisqualifica da scontare magari in estate. Quando il campionato è fermo» (Repubblica, 5 maggio 2001). Il giorno prima Cragnotti, sentendo ancora nuvole pesanti addensarsi sulla sua testa, aveva messo le mani avanti: «A noi Veron interessava comunque, anche come extracomunitario», ma la puzza di bruciato restava fortissima.
E pensare che nei mesi precedenti i giornali si erano scatenati diffondendo allarmismo sulle sorti del nostro campionato. Fabrizio Bocca, su Repubblica del 9 febbraio 2001, crede fermamente nella stangata da parte dei giudici. Ma è solo l’anticamera della beffa:

Prepariamoci ad un terremoto in classifica, come non accadeva dai tempi del calcioscommesse, venti anni fa. Prepariamoci ai -9 e ai -12 e carichiamo le penalizzazioni: una partita adesso vale 3 punti e non 2 come nell’80. Saranno stangate e un caos totale probabilmente. Ma forse necessario per ridare credibilità ad uno sport che negli ultimi anni ha sistematicamente aggirato le regole.
Il caso Veron è scoppiato circa un anno fa: da allora nessuno della Federcalcio ha fatto niente per arrivare alla verità. Certo non c’è ancora una sentenza, ma esistono verbali. E c’è pure un ufficio indagini. I giocatori dell’Udinese Warley e Alberto sono stati bloccati alla frontiera polacca nel settembre scorso: il deferimento è arrivato solo adesso, cinque mesi dopo. E sulla spinta di un magistrato di Udine. Che ha scoperto anche il falso grossolano del passaporto di Recoba. Ma nessuno aveva controllato. Meglio, qualcuno aveva chiuso gli occhi. Nessuno si era mosso nemmeno quando in Francia si era arrivati alle squalifiche. Questo è il vero scandalo. Niente pene retroattive, la Lazio salverà il suo scudetto. Ma ora basta, da oggi si torna a parlare di responsabilità oggettiva: l’Inter e Udinese pagheranno per il solo fatto di aver schierato giocatori che non potevano stare in campo. Da oggi si torna a pagare e in maniera molto pesante. Anche per rispetto di quei “fessi” che le regole non le hanno violate.


Nel frattempo, l’allenatore della Roma Capello, parla di classifiche da riscrivere e di campionati falsati:

L’anno scorso Veron ha giocato come comunitario, adesso è tornato extracomunitario. Non vedo per quale motivo se uno ha barato deve essere assolto: chi ha sbagliato paghi. Ma noi non riusciamo a far pagare niente. Ci lamentiamo della giustizia ordinaria, ma se la giustizia sportiva non fa niente… Faccio l’esempio della Lazio ma anche dell’Inter. Sono stati penalizzati dei club che si trovavano in una posizione regolare. Analizziamo tutte le situazioni e rifacciamo la classifica. Non credo che la Juventus sarà più contenta di noi. Se fossero state applicate le regole degli altri paesi, avremmo una classifica seria e reale (Repubblica, 4 febbraio 2001)

A lui si accoda Moggi, che può finalmente togliersi un sassolino dalla scarpa: «se penso a quello che abbiamo passato noi l’anno scorso, quando ci davano dei ladri…». Cragnotti invece si infuria e chiede 64 miliardi di danni perché, a detta sua, le dichiarazioni di Capello hanno fatto scendere il titolo Lazio in Borsa del 3%. Follia.
A fine maggio, il Procuratore Federale è in procinto di emettere le richieste di condanna ma ormai alle stangate non crede più nessuno: «Porceddu chiederà penalizzazioni (da 3 a 6 punti) per i club e squalifiche (da 3 a 6 mesi) per i 14 calciatori coinvolti. Ma c’è aria di minisanzioni» (Repubblica, 9 maggio 2001). Infatti, le richieste sono una farsa: un anno di inibizione a Veron, Cragnotti, Governato e Pulici, più un ammenda di tre miliardi alla società. Ma oltre ogni rosea aspettativa vanno le sentenze della Commissione Disciplinare, presieduta da Sergio Artico, il 27 giugno 2001: tutti prosciolti, solo una multa di 2 miliardi e un anno di squalifica al povero Pulici che si era tanto dato da fare per quel passaporto (l’arbitrato del Coni ridurrà la multa a un miliardo e la squalifica di Pulici a 4 mesi, completando la farsa). Incredibile l’assoluzione di Governato nonostante si legga, nella sentenza che «fu lui ad autorizzare il Pulici ad inviare in Calabria l’osservatore Franco Nanni per prelevare i certificati rilasciati dal Comune di Fagnano Castello, così come in precedenza aveva autorizzato il viaggio di Pulici in Argentina. Il Governato, infine, riferì al proprio Presidente, affinché provvedesse alla liquidazione, l’entità indubbiamente rilevante del compenso richiesto dalla Tedaldi, senza formulare alcun rilievo al riguardo/i>». Per Cragnotti, invece, la sentenza afferma che egli non è colpevole in quanto fu solo informato del buon esito della pratica, anche se desta «[i]perplessità che abbia disposto la liquidazione di ben 110.000 dollari per un’attività che, in buona sostanza, si riduceva ad una ricerca genealogica ed anagrafica». A tarallucci e vino anche le sentenze riguardanti le rimanenti squadre coinvolte (vedere sezioni su Milan, Roma e Inter), con la sola Udinese a pagare un poco più delle altre.
Lo scudetto della Lazio è salvo, non perché la società sia innocente, ma per un cavillo legislativo delle norme federali: il comma 2 dell’articolo 19 del Codice di Giustizia Sportiva infatti recita: «L’obbligo di deferimento per la posizione irregolare di calciatori che abbiano preso parte ad una gara deve essere adempiuto entro il quindicesimo giorno dallo svolgimento della gara stessa, e comunque non oltre sette giorni dalla chiusura del campionato o del torneo cui la gara si riferisce». Insomma se schiero dei giocatori irregolarmente e non vengono scoperti entro quindici giorni la faccio franca. Se addirittura li schiero all’ultima giornata, devo aspettare solo una settimana prima di passarla liscia. Lo scudetto della Lazio non è regolare ma i giornali non se ne accorgono. Invece la Juventus perderà due titoli per fatti ancora tutti da dimostrare, accaduti due anni prima. Ritorna il monito di Orwell: la legge è uguale per tutti ma qualcuno è più uguale degli altri.
Dal punto di vista della giustizia ordinaria l’accusa è di falso, secondo l’articolo 482 del codice penale. Il rinvio a giudizio, inizialmente stabilito per il maggio 2001, slitta fino al 17 ottobre 2002, data della prima udienza. In seguito, sui giornali, si perdono le tracce del processo. Si ha solo una notizia del febbraio 2004 quando si apprende che Cragnotti, detenuto nel carcere di Regina Coeli, rifiuta di comparire in una successiva udienza. Da lì in avanti più nulla.