Le regole ci sarebbero

PrioreschiTuttosport - 27-08-2012

E ADESSO tutti scoprono che la giustizia sportiva non offre la possibilità di difendersi e chiedono a gran voce di cambiarla. Bene! Senza spirito polemico domando: dove erano oltre due anni fa? All'epoca la Figc, dopo aver mendicato pareri alla Corte di Giustizia Federale e all'Alta Corte del Coni, ha partorito una norma ad personam per radiare Moggi, Giraudo e Mazzini, che prevedeva la celebrazione di un nuovo procedimento disciplinare: una farsa perché si basava sulle sentenze rese", che erano sentenze della giustizia sportiva passate in giudicato, e quindi non consentiva alcuna possibilità di difesa. Sono anni che dico che la giustizia sportiva non dà garanzie di difesa, ma siccome tutti ritenevano - sbagliando - che la questione riguardasse solo i cattivi Moggi, Giraudo e Mazzini, nessuno ha speso una parola o mosso un dito. Adesso che tutti - giocatori, allenatori, dirigenti e avvocati - sono stati toccati nel vivo si grida allo scandalo. Meglio tardi che mai.

Anche perché la soluzione del problema è molto più semplice di quanto si pensi e non richiede riforme epocali. Sarebbe sufficiente che i giudici sportivi applicassero correttamente delle norme che già esistono nell'ordinamento sportivo. ma che tutti fanno finta di non conoscere. Mi riferisco anzitutto all'ari. 33 n. 2 dello statuto della Federcalcio, il quale stabilisce che "le norme relative all'ordinamento della Giustizia Sportiva devono garantire il diritto di difesa". Così come l'art. 41 n. 9 del CG.S prevede che: "La Commissione disciplinare è investita dei più ampi poteri di indagine, in ordine alla assunzione delle prove". E infine i principi di Giustizia Sportiva emanati dal Coni prevedono il "rispetto del principio del contraddittorio". Questo vuol dire che gli organi disciplinari sportivi sono tenuti a rispettare i principi costituzionali, appunto del contraddittorio e del giusto processo, che implicano una effettiva possibilità di intervento e di interlocuzione anche sotto il profilo del diritto alla prova della difesa.

Ed infatti, su questa linea si è mossa, per la prima volta, l'Alta Corte del Coni che, decidendo sulla radiazione di Moggi, ha stabilito che «l'ordinamento della giustizia sportiva, per quanto autonomo e indipendente, non può sottrarsi ai principi fondamentali irrinunciabili contenuti nella Costituzione Italiana e negli atti anche essi fondamentali dell'Unione europea, dovendo, invece, interpretare ed applicare le norme dello stesso ordinamento sportivo alla luce degli anzidetti principi fondamentali soprattutto quelli attinenti alla persona umana e alla sua tutela (sul punto che riguarda il giusto processo)».

Se gli organi della giustizia sportiva applicassero, come sarebbe loro dovere e come richiederebbero elementari principi di civiltà giuridica, questi criteri, non leggeremmo più nelle loro decisioni le mostruosità giuridiche che abbiamo letto in questi giorni, come quella ad esempio che le indagini difensive non contano nulla. Non si farebbero più procedimenti disciplinari sulla base di parziali atti di indagini preliminari, quando queste peraltro non sono ancora concluse. Cosa non consentita dall'art. 2 co. 3 della legge 401/89. E soprattutto, per i procedimenti disciplinari basati sulle dichiarazioni di un cosiddetto "pentito" (che già troppi danni hanno fatto nella giustizia ordinaria e francamente non se ne sentiva la mancanza in quella sportiva), deve essere data a tutte le parti la possibilità di interrogarlo in contraddittorio, perché non c'é esigenza di celerità che possa essere anteposta al sacrosanto esercizio del diritto di difesa. Se la giustizia sportiva non capisce questo, allora io credo che quanto prima è destinata ad essere spazzata via da un giudice ordinario o sovranazionale. '

Maurilio Prioreschi - Avvocato, difensore di Moggi nel Processo Calciopoli.