Il Paradosso di Kefeo - Parte VII

il quadro di calciopoli perde i pezzi… ovvero del mistero del quadro.

Torniamo a distanza di qualche anno nel museo per rivedere il dipinto, che tanto fece scalpore alla sua esposizione, perché, dopo un lungo silenzio, ci erano pervenute voci che qualcosa di strano era accaduto: chi diceva che fosse scomparso, chi giurava di aver saputo che fosse in restauro; molti però erano sicuri che tutto fosse come prima, come lo avevamo lasciato.

Non restava che verificare di persona.

Entriamo nel salone e già dall’uscio notiamo, in fondo, un vuoto eloquente stampato sulla parete: non c’è dubbio che il quadro è stato tolto dalla vista dei visitatori e trasportato chissà dove.

Ci guardiamo attorno per chiedere a qualcuno notizie, ma ci rendiamo conto che il museo è vuoto e immediatamente deduciamo che, sparita quell’opera, le altre esposte, pur notevoli, non avevano alcun richiamo sul pubblico.

Stiamo per andarcene, quando notiamo che all’interno dell’edicola dei giornali e dei souvenir c’è un giovanotto intento a risolvere un cruciverba.

Gli spieghiamo la nostra curiosità, ma quello, guardandoci come si guarda un nano alto un metro e ottanta, ci fa: “Ma cosa dice, non vede che il quadro è lì sulla parete, dove è sempre stato?”.

Buttiamo l’occhio nella direzione indicata dal nostro interlocutore, ma niente! Il muro ci rimanda il riquadro più chiaro, testimonianza del non recentissimo spostamento del dipinto.

Stiamo per replicargli, ma desistiamo, poiché è lui a interrogarci: "Rappresentazione teatrale comico-grottesca … cinque lettere … finisce per A …".

Rispondiamo: "Farsa!". E lui: "Come dice?". "Farsa … - ripetiamo, alzando la voce - … Farsa!".

Perplesso, dopo aver simulato la scrittura della parola nelle caselle del cruciverba, ci ribatte: "Non c’entra, peccato!"

Ci allontaniamo e incrociamo lo sguardo divertito del custode, intento a lustrare le cornici delle opere esposte, il quale ci anticipa, dicendo: "Tutti i giorni la stessa storia e ogni giorno il numero dei curiosi cresce. Oramai vengono mica per vederla, ma per sapere che fine ha fatto. Non sprechi il suo tempo, qui dentro le diranno tutti la stessa cosa, dal direttore all’ultimo inserviente. Tutti, tranne me. Perché, vede … a me quell’opera non è mai piaciuta. Venga con me, da solo non la troverà mai. Questa costruzione è piena di cunicoli e sotterranei, ci vorrebbe la pazienza di Giobbe per girarli tutti".

Ci accompagna lungo un percorso tortuoso, che solo la penna di Dante potrebbe descrivere, muniti di una sola torcia a pile. La nostra guida ci spiega che, in concomitanza con lo spostamento del quadro, nei sotterranei era sparita anche la corrente elettrica e non c’era stato verso di ripristinarla.

Non si vede granché, ma alla fine raggiungiamo uno sgabuzzino, in cui entriamo a mala pena.

Viene sollevata una coperta e finalmente appare il capolavoro. Manifestiamo l’impressione che non sia più quello di una volta e quello sorridendo ci fa: "Ha cominciato a perder pezzi via via. Si scollavano dalla tela, lasciando intravvedere un altro dipinto sotto, e più si tentava di rattopparlo più i pezzi continuavano a cadere".

Di getto, istintivamente gli chiediamo: "Ma sotto … si capisce quale dipinto ci sta?"

E lui: "E come si fa? Finché quaggiù non torna la luce, non riusciremo a saperlo. Ci dobbiamo accontentare di quel che si vede con questa torcia".

Dopo vari tentativi di scorgere qualcosa di più, torniamo, faticosamente, a ritroso in superficie e incrociamo nuovamente il ragazzo dell’edicola. Questi ci saluta, aggiungendo: "Trovata … cinque lettere … Epica, era Epica".

Lo gratifichiamo con un "Bravissimo!" e usciamo con questo pensiero: "Chissà quanto avrà studiato, ma per i giovani d’oggi non ci sono adeguate prospettive di lavoro".

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