Bye bye Zeman

ZemanCi sono persone che si distinguono per i fatti, per il lavoro e per i successi. Ce ne sono altre che vengono ricordate per le chiacchiere. Un campionario variegato nel panorama italiano, dove purtroppo, da diverso tempo la seconda categoria è molto più nutrita e affollata della prima.

In questa categoria entra di diritto Zdenek Zeman, giovanotto boemo aspirante ad un futuro da allenatore (di corde vocali) che in vacanza dalle parti di Palermo, ospite dello zio Cestmir Vycpalek (detto “Cesto”, gloria rosanero e juventina) vide alla tv le immagini dei carrarmati sovietici invadere Praga. E non tornò più a casa. Purtroppo.
Ne parliamo per via dell’ingaggio del tecnico da parte della Stella Rossa Belgrado, il club più prestigioso mai allenato in carriera, il giusto premio ad un allenatore sempre in primo piano, sempre sulla cresta dell’onda. "Ho sempre ammirato quella squadra" ha dichiarato Zeman alla presentazione, riferendosi alla squadra Campione d’Europa e del Mondo nel 1991. Un biglietto da visita di tutto rispetto, degno di un grande allenatore. A parole, lo è di sicuro. Con i fatti, è già più dura. Perchè l’allenatore che ha vinto (poche) partite per 5-4 e perso (tante) partite per 5-1 a 34 anni entrò nel settore tecnico del Palermo, per "esclusivi meriti propri". Certo, che lo zio Cestmir di cui sopra fosse dirigente rosanero all’epoca è solo un dettaglio, tutti abbiamo uno zio dirigente di serie A…o no?
Poi una carriera folgorante, spesa tra Licata, Messina, Parma, Foggia, Lazio, Roma, Napule, Avellino, Lecce, Fenerbahce, costellata di esoneri e retrocessioni da far impallidire persino il più fervente sostenitore del suo credo. E nonostante le vessazioni subite dalla banda di Truffatori di Torino, che lo osteggiano senza pietà dopo la sua denuncia nel nome di un Calcio Pulito. Lui che aveva puntato il dito contro "l'esplosione muscolare di Vialli e DelPiero", senza curarsi dei ritmi forsennati del suo Foggia, dal quale uscì un solo grande giocatore, Beppe Signori. Giocatore che si trasferì con lui alla Lazio, famosa per essere stata tra le più "chiacchierate" sull’uso della fantomatica creatina, il demone che il pm Guariniello cercò di combattere individuandolo come arma segreta dei successi degli accusati di Zeman, principale teste accusatore, mai nemmeno sfiorato da indagini su ciò che accadeva a casa sua.

Per esaltarne le doti da paladino della pulizia, dell’etica calcistica, della moralità, il cantore di cose giallorosse Antonello Venditti gli dedicò addirittura una canzone (?) nota come "La coscienza di Zeman", per la quale Italo Svevo ha rischiato di risvegliarsi tutto sudato. Ma probabilmente lo scrittore avrebbe avuto il consiglio giusto per l’allenatore boemo: seguire l'esempio del protagonista del romanzo.

Zeman è un esempio di questo povero, piccolo Paese, dove per trovare individui simili basta chiudere gli occhi e pescare nel mazzo. Qualsiasi carta esca va bene. O si adatta per andar bene. Zeman è stato il grande bluff, il simbolo dei veri potenti nella lotta ai presunti potenti. Colui il quale veniva interpellato per qualsiasi cosa riguardasse la Juve, dalle polemiche arbitrali al mercato, dall’atteggiamento dei tesserati juventini, sia pubblico che privato, fino ai pronostici sulle partite, ascoltato come se dalla sua bocca sempre semichiusa uscisse il Verbo. Un tuttologo cui mancava solo venissero chieste delucidazioni sulle previsioni del tempo, con quella sua tonalità sempre monocorde. Lo Zeman frignone perché il Sistema Moggi non lo lasciava lavorare e i giornalisti pronti a far da megafono alle sue "giuste lamentele" contro il Male del calcio italiano.

Erano talmente potenti i suoi nemici che, nonostante lo sport preferito tra gli appassionati italiani ad ogni inizio stagione fosse indovinare la giornata nella quale il boemo sarebbe stato esonerato (di solito prima dell’inverno…), ogni anno si trovava un presidente disposto ad assumerlo. Poi arrivò CALCIOPOLI, la caduta dei suoi bersagli preferiti, e Zeman torna a Lecce dopo l’ennesimo fallimento (Brescia), ma come da copione a Natale viene licenziato in favore di Papadopulo che trova una situazione disastrosa che rimette in piedi con silenzio e lavoro. Il boemo da allora si ritira, e nonostante fino ad oggi fosse senza squadra fa di tutto per rimanere ai margini, non inveisce più, non punzecchia più, a loro volta i giornali e le tv tanto ossequiose fino a pochi mesi prima non lo cercano più. Evidentemente, la sua funzione era finita.

Il Corriere dello Sport del 19 giugno lo saluta raccogliendo il suo sfogo di uomo incompreso e vessato da un sistema che pure non è più dominato dai "cattivi" Moggi e Giraudo, un comodo alibi venuto meno al boemo:

Zeman, si sente un po' emigrante?
«Direi di sì. Ma è il mio sta­tus. Solo che quarant’anni fa ho scelto l’Ita­lia, stavolta in­vece in Italia mi è stato fatto chiaramente capire che non potevo allenare».

S’è chiesto perché è rima­sto quasi due anni fermo?
«Sì e non ho trovato rispo­ste. Io penso di aver fatto be­ne, anche se c’è chi si affan­na a dire che non ho vinto nulla. Mi chiedo: e quanti hanno vinto? Però allenano in tanti, sino alla C2. Potrei anche aggiungere che al sot­toscritto il sistema non ha permesso di vincere, ma poi va a finire che dite che è il solito Zeman».

E’ cambiato qualcosa da Calciopoli in poi?

«Dal mio punto di vista, quasi niente. Perché a parte due personaggi usciti di sce­na, si notano sempre le stes­se facce in certi posti».

Ha qualche rimpianto prima di partire?
«I dieci anni che ho perso per colpa del siste­ma»

Aggiungiamo il suo curriculum negli anni 10 anni, persi per colpa del "sistema":
1998-1999 Roma - esonerato
1999-2000 Fenerbache - esonerato
2000-2001 Salernitana - esonerato
2002-2004 Avellino - esonerato
2004-2005 Lecce - esonerato
2006 Brescia - esonerato