Due scudetti inaspettati

salvadoreRilassatevi. Non stiamo parlando di QUEI due scudetti. Ventotto e ventinove non c'entrano.
Intanto, quelli non sarebbero inaspettati, sono roba nostra, stravinta meritatamente sul campo: ci spettano, eccome! Poi, per riaverli, come ci disse con grande chiarezza l'avv. Paco D'Onofrio, sarà la Juve stessa, qualora le cose vadano come auspicato, a doversi muovere. Lo faranno? Ad oggi, non ci è dato saperlo. Anzi, dopo la sentenza di primo grado a Giraudo, la strada sembra ancora lunga. Noi siamo pronti a sollecitare la società e, se del caso, ad affiancarla, essendo la Juve (nell'eventualità) l'unico soggetto giuridico legittimato a presentare tale richiesta.
Parliamo quindi non di scudetti sottratti che devono tornare a casa, ma di scudetti che arrivarono, in stagioni ormai lontane, senza che ce li aspettassimo.

Come quello del 1966/67.
L'Inter di Angelo Moratti, Italo Allodi ed Helenio Herrera veniva da tre scudetti negli ultimi quattro anni (e uno l'aveva perso nello spareggio contro il Bologna), due vittorie europee (Coppa Campioni) e due mondiali (Intercontinentale). Praticamente imbattibili: la nazionale italiana era costituita per addirittura otto undicesimi da interisti. I primi due mesi di campionato sembravano confermare i pronostici: l'Inter vinse le prime 6-7 partite consecutive... la sensazione era che non ci fosse nulla da fare.
Noi venivamo da alcune annate negative, mai in lotta per il titolo. La Juve di Heriberto Herrera, non bellissima a vedersi, era comunque estremamente solida. Il pacchetto difensivo (Anzolin; Gori, Leoncini; Bercellino, Castano, Salvadore), in particolare, funzionava assai bene: pochi i gol subiti. In mezzo, a costruire gioco, c'erano Del Sol, Cinesinho, Favalli e Menichelli. Il solo De Paoli di punta, eventualmente affiancato dall'estroso Zigoni; nel caso, uno tra Favalli e Menichelli rimaneva fuori.
Anche quando la corazzata interista, ormai giunta in prossimità della fine del suo ciclo, aveva dei momenti di pausa, gli episodi la premiavano ugualmente. Ci limitiamo a citarne un paio.
Ultima del girone d'andata: Lazio-Juventus 0-0. Cosa accadde di strano? Che, in realtà, la Juve aveva vinto, ma l'arbitro non se ne accorse: De Paoli segnò un goal straordinario, di rara potenza. L'arbitro De Marchi, data la violenza del tiro, non lo vide entrare e, quando il pallone rimbalzò nell'area piccola, pensò (forse) che avesse colpito la traversa. Nulla di fatto, e un punto perso (allora, a tanto ammontava la differenza tra pareggio e sconfitta).
Il vantaggio in classifica dei nerazzurri restò sempre tra i due e i quattro punti. A sette giornate dal termine, Venezia-Inter 2-3, con tre reti annullate (due delle quali regolarissime) al centravanti veneziano Manfredini. Il protagonista, l'arbitro Sbardella, dovette lasciare lo stadio da un'uscita secondaria... e la sera, alla Domenica Sportiva, i commentatori coniarono, per descrivere la sua prestazione, apparsa a tutti fin troppo rispettosa del blasone nerazzurro, l'espressione "sudditanza psicologica".
Perdemmo poi in casa del Milan, e il campionato sembrò finito anzitempo: quattro punti a quattro partite dalla fine... ma con lo scontro diretto da giocare.
Con un goal di Erminio Favalli a un quarto d'ora dalla fine del "derby d'Italia", il distacco fu ridotto a due punti; ne rimase poi solo uno alla vigilia dell'ultima giornata.
Nella settimana precedente l'ultimo turno, l'Inter perse la finale di Coppa dei Campioni contro il Celtic, antipasto di ciò che sarebbe poi accaduto a Mantova.
Nell'ultima giornata, noi facemmo il nostro dovere battendo la Lazio, mentre la squadra di Herrera si trovò di fronte un Mantova solidissimo (22 pareggi nelle precedenti 33 partite), difeso da un allora venticinquenne, ma già insuperabile, Dino Zoff... e finì per perdere partita e scudetto, con la papera del portiere Sarti, su un tiro-cross di Di Giacomo.
Fu l'incredibile sorpasso all'ultima giornata a permetterci di passare 13 a 11 nel computo totale degli scudetti vinti: diversamente, ci sarebbe stato il pareggio.
Giova ricordare che Giuliano Sarti aveva vinto nell'Inter scudetti, coppe Campioni ed Intercontinentali, ed era allora portiere titolare della Nazionale. Ma, giusto per rimarcare lo spirito sportivo che anima certe tifoserie, fu oggetto di scherno e di irripetibili quanto pretestuose accuse quando, un paio d'anni dopo, chiusa la sua carriera interista, fu acquistato dalla Juventus.

Lo scudetto n. 15 fu, per certi versi, ancor più imprevedibile.
Affrontammo l'annata 1972/73 da campioni in carica, ma senza mai essere protagonisti fino in fondo. Il Milan di Rivera sembrava dominare: calcio ricco, spettacolare, moltissimi goal segnati (una media superiore ai due per partita), ma anche molti subiti, e un po' di discontinuità. La neopromossa Lazio era la novità, la sorpresa dell'anno: sempre lì a contendere il primato ai rossoneri, nonostante un'impostazione praticamente opposta: quasi nessuna concessione allo spettacolo, pochi goal segnati, pochissimi subiti.
Noi eravamo la sintesi tra le due, e continuammo per tutto il campionato a galleggiare a pochi punti di distanza, senza riuscire mai a superarle. A metà campionato, l'unico acuto: campioni d'inverno in coabitazione col Milan.
Il tecnico Vycpalek poteva disporre degli stessi uomini vittoriosi l'anno precedente, con in più Zoff (in luogo di Carmignani) e, grazie alla competenza e alla tempestività di Italo Allodi, il vecchio Altafini, sempre pronto a dare il suo apporto realizzativo negli scampoli di partita che gli venivano consentiti. Inoltre, dopo la malattia che gli aveva tolto la possibilità di partecipare all'intero girone di ritorno del campionato appena trascorso, era tornato in campo anche Bettega. Ma Milan e Lazio sembravano avere una marcia in più, e a noi non restava che limitare i danni.
Alla ventiquattresima, a sole sei giornate dalla fine, ci ritrovammo (dopo la sconfitta di Firenze) a cinque punti dai milanisti e a due dai laziali. A quattro partite dall'epilogo, dopo il polemico scontro diretto Lazio-Milan, la situazione si presentava già ben diversa: i duellanti in testa alla pari, noi due punti sotto. Nelle tre giornate successive, due pareggi per la Lazio, uno per il Milan, per noi solo vittorie. All'inizio delle partite dell'ultima di campionato, la classifica recitava: Milan 44, Lazio e Juve 43... con le tre contendenti tutte impegnate in trasferta.
Alla fine del primo tempo, arrivarono le prime informazioni dai campi, attraverso le voci di "Tutto il calcio minuto per minuto": il Milan di Rocco, completamente in bambola e svuotato dopo la vittoriosa finale di Coppa delle Coppe di quattro giorni prima, aveva già incassato 4 reti a Verona, la Lazio pareggiava a Napoli e noi perdevamo 1-0 a Roma. La storia (o la leggenda?) narra di un Boniperti che, nell'intervallo, andò negli spogliatoi a dare la carica ai nostri. E fu effettivamente una Juve diversa quella che rientrò in campo per la ripresa: al quarto d'ora, Altafini ci portò al pareggio, mentre nella "fatal Verona" si consumava fino in fondo il dramma del Milan (la partita terminò poi 5-3 per gli scaligeri) e a Napoli la Lazio era inchiodata sullo 0-0.
Si profilava un inedito spareggio a tre, ed iniziò in tv "90° minuto" (che, a fine stagione, cominciava circa 5' prima del termine delle partite), condotto da Valenti e Barendson. Mentre quest'ultimo descriveva quell'incredibile ultima giornata, Valenti (che in cuffia aveva le partite in diretta dalla radio) si alzò urlando semplicemente: "Cuccureddu!". Mancavano meno di tre minuti alla fine del campionato, e non c'era più necessità di alcuno spareggio: grazie al suo jolly sardo, la Juve aveva appena vinto, con quel tiraccio (splendido) da fuori area, che battè sotto la parte inferiore della traversa prima di insaccarsi, il suo quindicesimo scudetto. Il tardivo goal del Napoli confinò poi la Lazio al terzo posto. Purtroppo, una decina di giorni dopo, gli stessi protagonisti del nostro trionfo non riuscirono a ripetersi nella finale di Coppa dei Campioni, persa contro l'insuperabile Ajax di allora.

Anche il 2001/02, con quello che accadde nell'ormai mitico 5 maggio (oltre ad essere fra i momenti più piacevoli per ognuno di noi), può essere considerato tra i campionati che hanno prodotto scudetti inaspettati ma, dato che anche i più giovani fra i nostri lettori lo ricordano sicuramente molto bene, abbiamo preferito occuparci di vittorie più lontane nel tempo.
Certo, anche quelli del 1971/72 (su Milan e Torino), del 1976/77 (ancora sul Torino) e del 1981/82 (sulla Fiorentina) furono scudetti vinti all'ultima giornata con un solo punto di margine. Ma, in ognuno di quei tre casi, la vittoria arrivò come un premio tutt'altro che inaspettato, trattandosi di campionati condotti praticamente sempre al comando.

Invece, in entrambi i campionati descritti, forieri di scudetti imprevisti, la Juve non aveva mai dato la sensazione di potersi imporre sulle avversarie più accreditate. Sembrava andare avanti per inerzia, mantenendosi comunque a distanza non eccessiva dal primato. Ma quando, nel finale del campionato, il gioco si faceva duro, ecco emergere (al di là delle ovvie qualità tecniche) le risorse della squadra di razza, nata per primeggiare non appena se ne fosse presentata l'occasione... ovvero, quella mentalità vincente unanimemente riconosciutaci (perfino dagli avversari), da sempre caratteristica fondante e distintiva della juventinità.
Non sarebbe male ritrovarla.