BATTIBECK! Il lodo Elkann (con un inedito moggiano!)

battibeckL'ABISSO
Caro Battitore,
come diceva quel fantasista del Borussia: "E se guarderai a lungo nell’abisso, anche l’abisso guarderà dentro di te." Ora: non sto citando Nietzsche per darmi un tono, ma perché chi meglio di uno che a Torino ci è diventato pazzo può parlare a noi tifosi juventini? Siamo notevolmente più in basso del fondo: depressione caspica, direi. Stiamo tutti guardando nell'abisso, perciò perdonerai se mi inabisso.
Lancio la provocazione definitiva, visto che Andrea non si fa avanti. Lodo Gabetti-GrandeStevens-Elkann, ma sopratutto Elkann. Bisogna solo convincere Margherita. Lei interrompe la causa per l'eredità, loro le mollano la Juve. Fine. E sai perché sono sicuro che i De Pahlen faranno meglio degli Elkann? Perché si sono scelti un avvocato con i controcoglioni (scusami, è l'abisso), mica uno che ti manda in B.
Il Ceo ci ha messo in ginocchio. No, non il Chievo, non sto parlando veneto. Parlo new economy per la newventus. Il si-i-o. Quello con l'embiei ad Harvard. Quello a cui John Elkann ha dato in mano tutto. E lui, l'arrogante, si è tenuto tutto. Dimostrando non solo di non capire nulla di calcio, ma anche di essere un pessimo si-i-o, un arrogante che cumula cariche, invece di pensare alla struttura professionale migliore. Ed eccoci, dove siamo. Tecnicamente falliti. Ah già, abbiamo lo stadio.
Io, da quando è iniziata Calciopoli, avevo capito subito chi era il nostro nuovo modello: non l'Arsenal del nuovo Emirates, ma la Reggiana di Franco Dal Cin. Si è costruita lo stadio di proprietà ed è finita in C. La speranza è davvero che questo stadio non torni buono come parcheggio.
Secco si metta in ginocchio. Umiltà, perdinci. Si è svegliato l'altro ieri e ha ricevuto la porta sul grugno dal Parma per Lanzafame. Per rifarsi, va a Bari e porta a casa Yago, che in Puglia manco sapevano chi fosse. Come se servisse a qualcosa. Poi Paolucci, l'attaccante di scorta dell'ultima in classifica.
Ora, ascoltami, perché è la prima e ultima volta che farò un complimento all'Inter (è l'abisso è l'abisso), ma io credo proprio che Branca & Co abbiano lavorato anche a Natale pur di portarsi a casa la nemesi macedone (Pandev vs Pancev). Loro Pandev, noi Paolucci. E neanche abbiamo dato battaglia per Pandev, neanche un'offertina, un abbozzo di tattica di disturbo.
Ferrara, infine. Va bene tutto, ma veda di non cianciare e ghignare a vanvera con i giornalisti. Quando la Juve sta messa così, bisogna avvampare di vergogna. Porpora davanti alle telecamere, se mai ci si presenta. Altro che Rocky. Rochi. Un filo di voce per chiedere scusa e poi a lavorare.
I giocatori. A lavorare.

BEI TEMPI, QUANDO PIANGEVA «SOLO» IL TELEFONO
Carissimo,
non avevo dubbi che ti saresti buttato negli abissi e sui temi fissi. Se piangeva il telefono (Domenico Modugno, do you remember?), figurati se non piange il piatto e non piangono coloro che, con le pezze al sedere, lo offrono alla pietas del primo che passa, il dadaista Galliani o il disneyano Campedelli. Coraggio. Ti giuro che mi sarei fermato qui, se non avessi provocato il mio amor proprio. Ma l’hai provocato, e allora vado avanti. Presto, la testa di Ciro Ferrara rotolerà in piazza e «per» la piazza. Quella stessa piazza che, salvo rare eccezioni, aveva gridato abbasso Claudio (Ranieri) e viva Ciro all’atto del cambio della guardia. Parla pure di Margherita e dei suoi «petali» - tre più cinque, se non sbaglio: più o meno, i giocatori che ci servirebbero per rifare il guardaroba - alludi pure all’avvocato che ci avrebbe mandato in B (invece ci salvò dalla C); continua pure nel tuo delirio. Dal momento, però, che il rischio B è immanente e concreto, ti propongo due buste con dentro due Luciano Moggi; dimmi tu quale preferisci per la rifondazione.
BUSTA NUMERO UNO
Il 26 settembre 1999, la Juventus di Carlo Ancelotti perdeva a Lecce per 2-0. Sconfitta netta, al di là dello scarto, senza ombre, senza alibi. La Triade non aveva gradito l’atteggiamento e, naturalmente, il risultato. Alla ripresa degli allenamenti, Luciano Moggi si presentò al Combi. Toscano in bocca, carta di giornale in mano. Chi c’era, lo ricorda come un monologo. Traduco: «Venite un po’ qua. Tutti, sì: e anche te, mister. Vi voglio attorno a me». Si mise gli occhiali, spalancò il giornale, lesse: «Volevo rammentarvi la formazione della squadra che vi ha battuto: Chimenti, Juarez (dall’87’ Di Carlo), Vitali, Savino (dal 71’ Pivotto), Balleri, Conticchio, Lima, Piangerelli, Traversa (dal 65’ Colonnello), Lucarelli, Sesa. In panchina... Allenatore: Cavasin. Per favore: chi è che me la ripete?». Pausa. Brusìo. «Ecco, bene. Noto che dalla vergogna non me la ripete nessuno. Meglio così. E adesso, andate a lavorare». Per la cronaca, e per la storia, non era la Juventus di Grygera e Paolucci: era la Juventus di Zidane. Che sarebbe poi affogata nella piscina di Perugia.
BUSTA NUMERO DUE
Il 9 febbraio 2005 Luciano Moggi, all’epoca direttore generale della Juventus, e Paolo Bergamo, all’epoca designatore di serie A e B (con Pierluigi Pairetto), si fecero per telefono questa «grigliata»:
M: Ora invece ti dico quello che mi ero studiato io.
B: Vediamo cosa torna con quello che ho studiato io.
M: Vediamo un pochino se...
B: Vediamo chi ha studiato meglio. Chi ci metti in prima griglia di squadre? Di partite?
M: Aspe’... Fammi piglià il foglietto! Perché io me la son guardata oggi per bene. Allora io ho fatto: Inter-Roma...
Eccetera eccetera eccetera.
Morali della favola. Il Moggi migliore e il Moggi peggiore. Carissimo, se proprio devo tornare in B, preferisco tornarci per aver perso a Lecce. Intesi?
Il Battitore Libero


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